Sokrates Starynkiewicz – il generale russo che amava Varsavia

starynkiewicz

Varsavia, primo dicembre 1875. Fa molto freddo, come è lecito aspettarsi da queste parti in una sera di fine autunno. Alla stazione Petersburski è appena arrivato un treno da San Pietroburgo. Quando la locomotiva è ormai ferma e sbuffa gli ultimi aliti di vapore, tra i pochi passeggeri che scendono c’è un uomo dallo sguardo severo, il volto segnato da un paio di occhiali piccoli e ovali, e da un paio di baffi folti che gli coprono le labbra. Sotto il cappotto, su cui ha appuntata l’aquila bicipite, porta una divisa da ufficiale dell’esercito imperiale. Tra i suoi bagagli c’è una valigia piena di documenti, uno dei quali attesta che lui, il maggior generale Sokrat Ivanovič Starynkevič, è stato chiamato a fare le funzioni del sindaco di Varsavia. In fondo al foglio, la firma di Alessandro II Romanov, zar di tutte le Russie.

Ancora non lo sa, ma governerà Varsavia per sedici anni e ci rimarrà per altri dieci, fino alla sua morte nel 1902. Non sa neanche, e di certo non lo immagina, che sarà un amministratore incredibilmente amato. All’epoca è solo un ufficiale russo in pensione, chiamato a governare una città pacificata nel sangue, capitale di una provincia orgogliosamente ribelle. Non parla neanche bene il polacco. Sa solo che da quelle parti il suo nome suonerà Sokrates Starynkiewicz.

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Buon compleanno Lato!

Grzegorz Lato

I campionati iridati del 1974, per molti, hanno rappresentato il massimo: il calcio più bello, i giocatori più forti, partite memorabili. Ebbene, di quella edizione, il protagonista si laureò capocannoniere con 7 reti. Velocità, concretezza, senso del gol: lo scorso 8 aprile ha compiuto 70 anni Grzegorz Lato, funambolica ala della Polonia più bella di sempre, quella arrivata terza ai mondiali alle spalle di Germania Ovest e Paesi Bassi. Un’icona del decennio, ricordato da tanti tifosi azzurri per le sfide con la nazionale e non solo per i pochi capelli che, già al tempo, aveva. Della selezione biancorossa, a proposito, fece parte anche a Spagna ’82, dove vinse un’altra medaglia di bronzo. “Vecchio” e “scarsocrinito” – dicevano di lui i media. Aveva 32 anni. Altri tempi, se si considera che, ora, “vecchio” a Messi (33 anni) e a Cristiano Ronaldo (35) non lo dice nessuno.

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Janusz Zajdel – l’altro padre della fantascienza polacca

Zajdel

A guardarlo in foto, sembra a tutti un volto familiare. I capelli lunghi, la barba curata, gli occhiali spessi a fondo di bottiglia. Potrebbe essere benissimo un qualche cugino di nostro padre un po’ troppo preso dai Beatles negli anni ’70, o magari un cantautore impegnato. I lettori toscani, umbri, emiliani o di quelle parti lì potrebbero cercare una qualche foto d’epoca di una festa dell’Unità e trovare due o tre uomini lì immortalati che gli somigliano tanto.

Ma l’uomo in foto non è un cantautore, né un fan dei Beatles né tantomeno un militante del Pci dei tempi belli. È invece un fisico polacco, appassionato lettore e scrittore di fantascienza. Uno che a quel genere ha dato tanto, al punto che oggi il più importante premio per la narrativa di fantascienza in Polonia porta il suo nome: premio Janusz Zajdel.

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Sienkiewicz l’africano

Sienkiewicz africano

Uno degli autori più noti della letteratura polacca, anche per chi ne è a digiuno o quasi, resta Henryk Sienkiewicz, celebre autore di grandi classici quali Quo vadis? e Il diluvio (Potop). Eppure pochi, vista l’attitudine del letterato a scrivere romanzi storici, sospetterebbero che il premio Nobel per la Letteratura del 1905 sia stato anche un intraprendente viaggiatore e un affermato reporter. Fra il 1876 e il 1878, quando era appena trentenne, trascorse due anni negli Stati Uniti scrivendo numerosi articoli da corrispondente per quotidiani e periodici come Gazeta Polska, Przegląd Tygodniowy e Przewodnik Naukowy i Literacki. Tornato in Europa, lo scrittore polacco visse a Londra e Parigi e visitò Italia, Spagna e Turchia. Non basta, perché Sienkiewicz si recò anche nel continente africano in un viaggio tutt’altro che scontato in quell’epoca per un affermato uomo di lettere di mezza età. Lo fece per spirito d’avventura, curiosità personale e per conoscere in prima persona distanti luoghi remoti dei quali intendeva scrivere. In quest’ultimo proponimento si nota la netta differenza con un quasi contemporaneo di Sienkiewicz, lo scrittore italiano Emilio Salgari, che non visitò mai quell’esotica Malesia nella quale ambientò i propri fortunati romanzi d’avventura.

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Una formica contro il nazismo – vita e musica di Mieczysław Fogg

Nestor Perlongher, in una delle poesie tratte da Austria-hungría, porta la murga, la musica del carnevale argentino e uruguagio sulla Vistola. La sua è una poesia che sfida l’idea di un’identità (in questo caso nazionale, ma, più spesso, sessuale) fissa, statica, immutabile. La trovata di incrociare il carnevale argentino con il fiume polacco sembra quindi azzeccata, se non fosse, che, dopo aver ascoltato un po’ di musica (“Buenos Aires” dei Maanam) e sfogliato qualche libro (di Gombrowicz, per esempio) l’Argentina non sembra più così lontana dalla Polonia e l’accostamento di Perlongher molto meno stridente.

Ad attenuare l’impressione di inconciliabilità tra questi due mondi contribuisce anche l’ascolto di alcuni pezzi di Mieczysław Fogg, come “Tango milonga”, “Jesienne róże” (Rose autunnali) e quella che forse è la sua interpretazione più celebre, “To ostatnia niedziela” (Questa è l’ultima domenica). Composte tra gli anni 20 e 30, furono interpretate da diversi artisti, ma, soprattutto quest’ultima, è associata indelebilmente al nome di Fogg.

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Ritratto di Witkacy

Witkacy Witkiewicz

“Było nas trzech, Witkiewicz, Bruno Schulz i ja, trzech muszkieterów polskiej awangardy z okresu międzywojennego” (eravamo in tre, Witkiewicz, Bruno Schulz e io, i tre moschettieri dell’avanguardia polacca tra le guerre). È così che Witold Gombrowicz definisce, nelle pagine del suo Dziennik due dei suoi compagni. Insieme formarono davvero un trio rivoluzionario all’interno della storia della letteratura polacca. Simili eppure diversi, rappresentarono -ma continuano a farlo – la voce discordante di chi voleva il cambiamento. Oltre all’immagine dei tre spadaccini di Dumas, a me piace considerarli anche come un Donchisciotte con tre personalità, accomunate tutte, però, dalla lotta contro i mulini a vento – o il peso di una letteratura da rinnovare.

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Il vario mondo di Czesław Niemen

Niemen

– di Luca Ventura Saltari – Niemen in Italia Nasceva ottant’anni fa, in un paesino dell’attuale Bielorussia, un uomo che avrebbe lasciato un’orma importante nella musica rock polacca e che oggi continua ad essere praticamente sconosciuto in Italia: Czesław Niemen. Ad essere nato a Stare Wasiliszki il 16 febbraio 1939…

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Perché abbiamo ancora bisogno di Kapuściński

Fot. Maciej Zienkiewicz / Agencja Gazeta

 

Cosa c’è di nuovo da raccontare nel 2019 su Ryszard Kapuściński? Cosa aggiungere a una figura di intellettuale che ha prodotto numerosi premi a suo nome, che gli studenti delle scuole polacche (e non solo) trovano sui libri di letteratura di scuola, che ha ispirato un film animato ispirato alla sua figura e ai suoi viaggi? Probabilmente nulla. A dodici anni dalla sua morte, Kapuściński si è cristallizzato, accademizzato, è un maestro riconosciuto dalla grande e fervida tradizione polacca del reportage anche se tutti poi, dopo le lodi, pongono le distanze: è un classico, ma non mi ispiro a lui. È stato anche oggetto di un tentativo, piuttosto malriuscito, di damnatio memoriae da parte del suo ex allievo Artur Domosławski che ha sollevato un polverone ma anche causato una poderosa alzata di scudi verso il reporter che -ormai deceduto- non avrebbe potuto nemmeno difendersi da solo.

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Urszula Zajączkowska, l’artista-botanica tra video e poesia

Zajączkowska

Botanica di formazione e professione, Urszula Zajączkowska sembra servirsi dell’arte per continuare sotto altre forme le ricerche cominciate in laboratorio. Lo fa con grande poliedricità: dirige film, scrive poesia, suona il flauto. Proprio perché, come artista, si serve di più di un mezzo espressivo, l’ossessione al centro della sua opera è ancora più evidente: il rapporto dell’essere umano con la natura.

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Ritratti: Samuel Eilenberg

Eilenberg

Eilenberg nacque da una famiglia di ebrei di Varsavia il 30 settembre 1913, quando la Polonia era ancora parte dell’Impero Russo. Ebbe la fortuna di studiare all’università della capitale nella prima metà degli anni ‘30, un periodo fecondissimo per la matematica polacca: in gara virtuosa con la scuola di Lwów, si riunivano nell’ateneo varsovino studiosi del calibro di Stefan Mazurkiewicz, Kazimierz Kuratowski, Wacław Sierpiński, Stanisław Saks e Karol Borsuk. Sotto la guida di quest’ultimo nel 1936 Eilenberg conseguì il dottorato di ricerca, con una tesi sulla topologia del piano.

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