Il brano che segue è tratto dal romanzo Pod słońcem di Julia Fiedorczuk (Wydawnictwo literackie, 2020). Tutti i diritti appartengono a Julia Fiedorczuk e a Wydawnictwo Literackie.
I diritti per la traduzione italiana sono liberi e gestiti in esclusiva da Nova Books Agency s.c.
Per informazioni: agent@novabooksagency.com
La traduzione dal polacco è di Francesco Annicchiarico.
Continua da qui.
Il cielo splendeva sopra gli alberi e dilagava la luce tra le fessure delle nubi. Di notte il gelo mordeva, stringeva la terra in una morsa. Misha aprì lentamente gli occhi. Il freddo disegnava fantastici fiori sui vetri delle finestre, l’aurora invernale si colorava d’arancio. Sua madre trafficava in cucina. La porta della stufa cigolava, le fiamme scoppiettavano. Luda dormiva ancora. Le sue palpebre pesanti si richiusero e il ragazzo scivolò ancora nel sonno. La porta si schiuse.
Nadzieja si annodò lo scialle di lana alla testa. Nonostante questo, uscendo dalla baita, il gelo la sferzò senza pietà. Si strinse per sentirlo di meno, e si affrettò verso il pollaio. La brina segnava le orme dei piedi, i suoi e quelli dei bambini, profondi, quando ancora non si era ghiacciata. Cristalli di ghiaccio si addensavano sui rami del melo, sulle foglie ritorte, annerite, che non erano riuscite a cadere. La luce faceva capolino di attimo in attimo. Le galline del pollaio si stringevano compatte, così si riscaldavano l’una all’altra. “Ciiip, cip cip cip cip”, Nadzieja le chiamava. Sparse il becchime, gli animali mangiarono. Lei uscì di nuovo al gelo. Le parve di sentire qualcosa, ma il soffio potente del vento attutì tutti i suoni. Tremava per il freddo.
Misha si svegliò di nuovo, stavolta all’improvviso, come per un rumore. Trattenne il respiro e si mise a origliare, ma era solo il fuoco che crepitava nella stufa. Sua madre non era nella stanza, Luda si era girata dall’altra parte. Dal vetro proveniva la luce, dall’altra parte si vedeva l’azzurro, poi nient’altro.
Tirò fuori dalla coperta il cavallino di pezza. “Clop, clop, clop”, disse facendo galoppare il cavallino sulla trapunta. “Clop, clop, clop”, il cavallino arrivò fino a sua sorella che dormiva. Ogni mattino era per Misha l’inizio di un’avventura, che durava da mattina a sera, finché si poteva. Quasi scoppiava dal ridere, che il cavallino fosse arrivato da sua sorella, e lei che ancora dormiva.
«Luda, Luda», ticchettò sul braccio della sorella.
«Che c’è», rispose controvoglia, senza aprire gli occhi.
La porta cigolò di nuovo, più forte, più violentemente del solito. Misha alzò la testa e vide sua madre, e dietro di lei due uomini, Grzegorz e qualcun altro ancora, che trascinava un grosso sacco. Lo posarono sul pavimento, e Misha realizzò che quel sacco aveva una testa. Con la barba. E le mani. E i piedi. “Nell’altra stanza”, disse sua madre e gli uomini lo fecero.
Ora anche Luda era sveglia. Lei e Misha si fissarono negli occhi. “Papà”, spiegò lei. Misha non capì. Come, papà? Perché non si muove. Dall’altra camera provenivano le voci inquiete di sua madre e di quell’uomo. Grzegorz uscì correndo. Senza fare caso ai bambini, corse in cortile per tornare subito con una pentola piena di neve. La mise sulla piastra e poi sulla stufa. Luda si alzò e mise il vestito di lana sulla camicia da notte. Provò a sbirciare nell’altra camera, dalla porta socchiusa. Misha si era scocciato di giocare e buttò a terra il cavallino. Si infilò sotto le coperte con tutta la testa. Decise che avrebbe aspettato in quel modo la fine di quelle stranezze.
Ma ci volle un po’ di tempo. Durò tutto il mattino. Luda e Misha avevano fame. Gironzolarono per casa tra gli adulti che entravano ed uscivano, fino ad ora di pranzo, e per pranzo solo patate. Poi subito dopo, l’altro uomo se ne andò via e Grzegorz portò un dottore per dare un’occhiata a quel papà. Lo visitò a lungo, per un bel po’ non si sentirono voci provenire dall’altra stanza. E poi disse che papà avrebbe vissuto o forse no. C’era ancora l’anima, in lui, ma nascosta in profondità. Non avrebbe saputo dire quanto era rimasto lì, tra i calami congelati del fiume, prima che Grzegorz e quell’altro lo trovassero e per miracolo lo riconoscessero. Per fortuna… Si doveva aspettare. Lasciò qualche unguento e poi andò via.
Al pomeriggio Grzegorz uccise una gallina. Nadzieja la spennò con l’acqua bollente, in breve la stanza si riempì d’odore di carne cotta. Misha cominciò a realizzare che papà, non del tutto vivo, non del tutto morto, sarebbe rimasto a lungo con loro. Quando nessuno faceva attenzione, sgattaiolò nell’altra camera per guardarlo meglio. Le sue palpebre tremavano leggermente. Aveva le sopracciglia folte e grigiastre, da cui spuntavano dei peli, tanto lunghi che al bambino venne voglia di strapparli. E così fece.