Le siepi – Maria Karpińska #2

Le siepi - Maria Karpińska

Durante quel periodo mi veniva facile provare disprezzo per gli altri. L’empatia e l’orgoglio mi venivano difficili, provare nostalgia era praticamente impossibile, il disprezzo invece era una sensazione facile, comune, si potrebbe dire. Innanzitutto, c’erano gli amanti delle cosiddette piante poco impegnative a risvegliarlo. “Poco impegnativo” è uno slogan che serve solo ad offendere i potenziali clienti. Quanta poca considerazione di se si può avere, per comprarsi un ficus al centro commerciale e, uscendo dal parcheggio sotterraneo, rallegrarsi che gli serva poca acqua?

Quando pensavo al “poco impegnativo” mi assaliva un’ondata di disprezzo, ma anche un’insalubre soddisfazione, un attimo dopo. “Poco impegnativo” nella realtà può voler dire anche insidioso. Il pericolo si insidia anche nell’apparente confort che si vende gratis insieme al vaso. Qui non si tratta affatto della pianta che secca, se non viene annaffiata per un po’, cosa che, comunque, non dovrebbe succedere. O che appassisce se messa al buio, nonostante l’etichetta dica che sarebbe stata bene ovunque. È l’umana noia ad uccidere le piante. Questo genere di dilettanti, scocciati persino di svolgere quelle piccole mansioni, mette i vasi sul balcone al pieno sole di metà agosto, facendone bruciare le foglie o, ancor peggio e più frequente, dando loro troppa acqua. Eppure è così, che senz’acqua le piante muoiono e con troppa marciscono.

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Le siepi – Maria Karpińska #1

Le siepi - Maria Karpińska

Si può sapere che combini?

«Sopravvivo», ansimai. Traboccavo orgoglio per i risultati ottenuti, mescolato a una gioia semplice, infantile. A breve (troppo poco, purtroppo), la libertà che ingurgitavo avidamente mi avrebbe colmato i polmoni fino a farmi annegare. Ma prima che ciò succedesse, l’avrei inghiottita a bocca spalancata, di più, sempre di più.

In momenti come questi, che capitano alle persone di età compresa tra i 15 e i 25, distinguere le azioni segnate con un “molto bene” da quelle con “molto male” risulta praticamente impossibile. “Molto male” è sempre sfocato, come la vista di un miope dall’oculista, e appare come un “molto bene”; di seguito il “molto bene”, persino se chiaro e ben a fuoco ha sembianze sbiadite, tristi, repellenti. L’uomo è come un cavallo coi paraocchi, vede solo quel che ha davanti a sé, e se la visione l’aggrada, allora perde la testa. Nell’esempio descritto, quell’uomo, o quel cavallo, sono io e quel che vedevo davanti a me era una palma.

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Aruspici – Wit Szostak #3

Noi qui invece viviamo oltre il mondo, abbiamo un mondo oltre tutti i mondi e qui non arriva niente che noi non vogliamo, perché solo le persone che invitiamo noi hanno accesso a questo nostro mondo. Sul tetto della stazione pende una vecchia insegna a caratteri neri CURAMONDI, così si chiamava questa stazione quando ancora era una stazione. Doveva esserci una stazione termale qui vicino perché gli uomini saggi che tanto tempo fa venivano sulle montagne a cercare la verità, scoprirono le acque sorgenti in collina, quella che cura dalla tristezza e dalla malinconia, ma poi scoprirono che quell’acqua non curava e le persone tornavano a essere tristi. Prima di tutte le guerre mondiali qui c’era più di una pensione, poi caduti in rovina, ora sono tutti diroccati, che emergono dai giardini, e nessuno ci va più. Su uno di questi c’è una civetta, su un altro un pappagallo, ognuno aveva il proprio simbolo segreto. Poi costruirono la stazione dei treni, troppo grande, i piani erano di farla troppo grande, nella sala d’attesa fecero addirittura una fontana, che ancora oggi è lì, abbiamo la fontanella in casa, qui da noi alla stazione. La sera sciaborda allegramente, l’acqua colpisce l’altra acqua e c’è questo sciabordio che fa addormentare. Forse funziona così quest’acqua, che fa addormentare, che col suo sciabordio assopisce la tristezza e la malinconia, con quel movimento di acqua sull’acqua immobile. Io resto spesso a guardare la fontana, le due acque che si incontrano e mi sento soddisfatto della mia vita, che occupo con il guardare l’acqua e col berla proprio dalla fonte.

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Soltanto Lola – Jarosław Kamiński #3

Non questo. Qualcos’altro.

Mancanza di igiene.

Già l’ho scritto. Poi.

E poi vedemmo i nostri fare i prigionieri. E guardavamo e fumavamo sigarette. E quei tre. Due civili un prete. Al muro del cortile. Proprio vicino a noi. Vicino alla nostra bettola. Prima il prete poi quell’altro e alla fine l’ultimo. E guardiamo e non fumiamo più. Quanti anni aveva quell’ultimo. Quindici sedici. Un chierichetto. Aveva il viso da chierichetto.

Gente siete impazziti tutti.

 

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Sotto il sole – Julia Fiedorczuk #3

Il cielo splendeva sopra gli alberi e dilagava la luce tra le fessure delle nubi. Di notte il gelo mordeva, stringeva la terra in una morsa. Misha aprì lentamente gli occhi. Il freddo disegnava fantastici fiori sui vetri delle finestre, l’aurora invernale si colorava d’arancio. Sua madre trafficava in cucina. La porta della stufa cigolava, le fiamme scoppiettavano. Luda dormiva ancora. Le sue palpebre pesanti si richiusero e il ragazzo scivolò ancora nel sonno. La porta si schiuse.

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Canzone del cuor di serpente – Radek Rak #3

Si dice che una femmina pretenda ogni cosa dal proprio uomo, e un uomo soltanto una cosa dalla femmina; il che a volte è sacrosanta verità, e altre una gran bella sciocchezza.

Dopo quella notte Kuba temeva che Malwa sparisse, una volta e per sempre, lasciandolo con un pugno di ricordi in mano e con la fame nel cuore, una fame che non avrebbe conosciuto pace. O la paura che diventasse qualcosa di peggio: Malwa sparita e la testa così piena di incantesimi da non potersi mai più ricordare di lei.

Successe qualcosa del tutto diversa e molto più grave.

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Aruspici – Wit Szostak #2

 

Non ci sono più binari, sono coperti dalla terra, ora hanno una propria vita sotterranea ricoperta dal terreno e dalle serre in cui Marta coltiva piante e verdure. Non ci sono più binari, li abbiamo sepolti sotto il giardino di Marta, ma c’è ancora la sbarra e lo scambio ferroviario, anche se qui di treni non se ne vedono più. Quando splende il sole mi siedo vicino alla sbarra e resto lì. Mateusz allora dice che Błażej controlla lo scambio. Ma io non controllo niente, quindi neanche qui do una mano. A volta passano le macchine per la strada. Se potessi io le farei passare qui, tanto i treni non ci sono più. Mi starebbero a sentire e passerebbero di qui, e io sarei il vigile. Così mi ha detto Mateusz. E ha pure trovato un berretto dove priva si metteva il capostazione. Era sicuramente un signore molto vecchio e molto buono che se ne stava tutto il giorno seduto al binario, pressava il tabacco nella pipa e contava le nuvole. Si diventa intelligenti a contare le nuvole e allora pure io me ne sto seduto col cappello da vecchio capostazione, che di certo è morto tanto tempo fa, perché era vecchio già nei racconti di mio fratello, e quei racconti sono di tanto tempo fa, quindi il capostazione è sicuramente morto, e io continuo a contare le nuvole e a volta di sera mi sento più intelligente. Solo che dura non più di quindici minuti, e a volte pure meno, specialmente quando Marta mi chiama a cena, e allora quell’intelligenza svanisce, scappa via da me e non torna più.

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Soltanto Lola – Jarosław Kamiński #2

Ma non adesso. Non adesso. Qualcos’altro ci trattenne a Varsavia. Sciocchezze. Prima o poi lo dirò. Adesso non ho la forza per.

E poi la libertà.

Arrivammo a Praga e al confine con l’Austria e dormimmo tra i rovi in catapecchie abbandonate costruzioni eccetera. E ricordo la birra nelle locande e la notte passata dal curato in campagna e tylko holki ne zapomnete u bohu o qualcosa del genere e la mattina in montagna. E il freddo e la pelle d’oca. No. Non in montagna, in un campo e sulla paglia. E mi svegliarono i baci umidi e pensai fosse Lola invece no. Era una mucca.

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Sotto il sole – Julia Fiedorczuk #2

«Raccontami qualcosa, Daijan.»

«Va bene», rispose «Ascolta attentamente: tanto, tantissimo tempo fa, sul versante asiatico degli antichissimi monti Urali che si estendono per migliaia di chilometri, sorgeva un piccolo villaggio nel punto più a sud, su un fiume che a quell’epoca si chiamava Jaik. Tolte le stagioni delle piogge, quando le acque si accumulavano e provocavano alluvioni, lo Jaik era solo un fiumiciattolo. D’estate seccava quasi del tutto, d’inverno gelava. All’inizio, il villaggio era composto da poche persone appena. Tutto intorno si dispiegava la steppa, le immense distese dell’Asia centrale, piatte, poi ondulate dai rilievi, levigate da un vento ostinato che d’estate trasportava la polvere del deserto e d’inverno le tormente di neve. Gli uomini morivano, ne nascevano altri, stagione dopo stagione, secondo un ritmo immemorabile. I nomadi abbeveravano le proprie mandrie allo Jajk. I baschiri ci allevavano il bestiame. Mandrie di antilopi e asini brucavano intorno alle tende. Le montagne vicine custodivano il segreto del proprio principio. Mi stai ascoltando?»

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Canzone del cuor di serpente – Radek Rak #2

Si racconta che Kuba e Vecchio Topo lavorassero a servizio presso la locanda di Rubin Kohlmann a Kamienica, come due goy di shabbat.
«Ohi, ohi, ohi, chemiprendauncolpo! Che sarebbe questa roba?», l’ebreo piazza un tocco di argilla sotto il naso prima del ragazzo, poi del vecchio. «Questa la chiamate argilla? Che argilla e argilla, dico io! Ecco come si finisce a mandare due goy a fare l’argilla. Con un pugno di fango e merda di vacca!»
Nessuno dei due apre bocca per rispondere, il vecchio principia persino a rullarsi del tabacco. Sanno bene che Rubin ha bisogno di sbraitare, dato che è l’unica distrazione che si concede. E si lamentava dei suoi goy di shabbat più di qualsiasi cosa.

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