Ritratti: Samuel Eilenberg

Samuel Eilenberg, PhD

Strutture o processi? Eilenberg e la scuola matematica di Varsavia

di Roberto Reale

La ricerca matematica non è mai avulsa dal contesto culturale in cui essa si svolge, e da cui trae, in modo più o meno evidente, le sue radici. La scuola francese che va sotto il nom de plume collettivo di Nicolas Bourbaki, la prima a tentare un’unificazione universale della matematica contemporanea nei monumentali Éléments de mathématique, si dimostra ad esempio particolarmente sensibile al concetto di struttura e al predominio assoluto del formalismo:

Dans la conception axiomatique, la mathématique apparaît en somme comme un réservoir de formes abstraites – les structures mathématiques ; et il se trouve – sans qu’on sache bien pourquoi – que certains aspects de la réalité expérimentale viennent se mouler en certaines de ses formes, comme par une sorte de préadaptation.

Come Jean Dieudonné, membro di primissimo piano della scuola, scrive nell’articolo-manifesto L’architecture des mathématiques (in Les grands courants de la pensée mathématique, Paris: Actes Sud, 1948).

Una prospettiva che avrà impatto immenso non soltanto sugli sviluppi successivi della matematica, ma, naturalmente, sul pensiero filosofico, letterario, artistico in Francia (dallo strutturalismo lacaniano, o alla Lévi-Strauss, alle avanguardie Oulipo) e in Europa dal dopoguerra ad oggi. Eppure, i frutti migliori li colsero coloro che seppero superare questo punto di vista. Primo tra questi fu Samuel Eilenberg.

Eilenberg nacque da una famiglia di ebrei di Varsavia il 30 settembre 1913, quando la Polonia era ancora parte dell’Impero Russo. Ebbe la fortuna di studiare all’università della capitale nella prima metà degli anni ‘30, un periodo fecondissimo per la matematica polacca: in gara virtuosa con la scuola di Lwów, si riunivano nell’ateneo varsovino studiosi del calibro di Stefan Mazurkiewicz, Kazimierz Kuratowski, Wacław Sierpiński, Stanisław Saks e Karol Borsuk. Sotto la guida di quest’ultimo nel 1936 Eilenberg conseguì il dottorato di ricerca, con una tesi sulla topologia del piano.

E del resto di topologia, ossia di geometria nel senso più ampio e più astratto del termine, Eilenberg continuò ad occuparsi negli anni successivi, pur aprendosi gradualmente alle “sollecitazioni” algebriche che venivano, per esempio, dalla scuola tedesca. Saunders Mac Lane, che formerà poi con Eilenberg un sodalizio di straordinaria tenacia, scrive entusiasticamente in Samuel Eilenberg (1913-1998) (in Notices Amer. Math. Soc. 45 (10) (1998), 1344-1352):

In 1938 he published another influential paper on the action of the fundamental group on the higher homotopy groups of a space. Algebra was not foreign to his topology!

Samuel Eilenberg

Nel 1939 Eilenberg si lasciò convincere dal padre ad emigrare negli Stati Uniti, affidandosi ai colleghi Oswald Veblen e Solomon Lefschetz, allora a Princeton, perché lo aiutassero a trovare un impiego.  Dal 1940 al 1945 insegnò all’università del Michigan, nel ‘46 fu visiting professor a Princeton, poi all’università dell’Indiana e infine alla Columbia University, a New York, dove rimase per tutta la vita, conseguendo nel frattempo la cittadinanza statunitense. Morì il 30 gennaio del ‘98.

Forse la caratteristica più appariscente del lavoro di Eilenberg è la quantità e la qualità delle sue collaborazioni con altri gruppi o studiosi: tra le tante, estremamente fruttuosa fu quella con Henri Cartan e l’altra, a cui abbiamo già accennato, con Mac Lane. In entrambi i casi furono gettate le fondamenta di discipline cruciali per la matematica contemporanea.

Con Cartan, riunendo in un’esposizione organica e unitaria tre filoni le cui radici risalivano parecchio indietro nel tempo, Eilenberg scrisse il primo trattato sistematico sull’algebra omologica: Homological algebra, appunto, uscito nel ‘56 per i tipi della Princeton University Press. Non possiamo purtroppo addentrarci nei dettagli della disciplina, il cui “cuore” fu ben sintetizzato da Mac Lane nella sua review (in Bull. Amer. Math. Soc. 62 (6): 615–624):

Homological algebra deals both with the homology of algebraic systems and with the algebraic aspects of homology theory.

In altri termini, l’algebra omologica dimostra con la sua stessa esistenza la fecondità e la profondità tra un certo modo di trattare la geometria (quello della topologia algebrica) e l’algebra tout court. Né più né meno che una contaminazione tra due mondi soltanto in apparenza ben distinti, una “ingerenza” i cui vantaggi sono evidenti, come i due autori significativamente premettono all’esposizione formalmente rigorosa della teoria:

The invasion of algebra has occurred on three fronts through the construction of cohomology theories for groups, Lie algebras, and associative algebras. The three subjects have been given independent but parallel developments. We present herein a single cohomology (and also a homology) theory which embodies all three; each is obtained from it by a suitable specialization. This unification possesses all the usual advantages. One proof replaces three. In addition an interplay takes place among the three specializations; each enriches the other two.

Al di là dei tecnicismi, c’è un punto fondamentale da tener presente: il linguaggio dell’algebra omologica nasce dallo studio di un processo (di un trasferimento di strutture) più che dalla “contemplazione” di strutture date, staticamente, una volta per tutte, à la Bourbaki. Entrano sulla scena frecce, mappature, diagrammi: questi ultimi dotati di percorsi, e se avviene che due percorsi con un inizio e una fine comuni diano origine alla stessa mappatura “composta”, allora il diagramma si dirà commutativo.

I processi, che il programma di Bourbaki dominato dalla centralità delle strutture non riusciva ad esprimere in modo soddisfacente (“It chanced to use instead an elaborate notion of an échelle de structure which has proved too complex to be useful”, ne dirà Mac Lane), tornano al centro della riflessione matematica. Le strutture monadiche della concezione bourbakista si evolvono, attraverso il lavoro di Eilenberg e di altri, in oggetti dotati di un loro dinamismo (una mappatura, un modo per “trasferire struttura”).

Dall’algebra omologica era allora inevitabile approdare a un progetto ancora più ambizioso, ancor più “generale”, ossia di più ampia applicabilità e dunque più “fondativo”: la teoria delle categorie. Eilenberg e Mac Lane non soltanto ne ebbero, incontestabilmente, la paternità, ma ebbero anche la visione lucidissima del senso “metamatematico”, e dunque epistemologico e cognitivo, della nuova disciplina, se è vero che già nel seminal paper a quattro mani General theory of natural equivalences (in Trans. Amer. Math. Soc. 58 (1945), 231-294) così ne scrivono (enfasi nostra):

In a metamathematical sense our theory provides general concepts applicable to all branches of abstract mathematics, and so contributes to the current trend towards uniform treatment of different mathematical disciplines.

In particular, it provides opportunities for the comparison of constructions and of the isomorphisms occurring in different branches of mathematics; in this way it may occasionally suggest new results by analogy.

The theory also emphasizes that, whenever new abstract objects are constructed in a specified way out of given ones, it is advisable to regard the construction of the corresponding induced mappings on these new objects as an integral part of their definition. The pursuit of this program entails a simultaneous consideration of objects and their mappings (in our terminology, this means the consideration not of individual objects but of categories).

La costruzione della mappatura “indotta” come parte integrante della definizione; il dinamismo del processo versus la staticità della struttura; la considerazione simultanea di tutti gli oggetti e di tutte le loro mappature sono i capisaldi di un autentico paradigm shift, nel senso kuhniano. Al punto che oggi una matematica senza categorie sarebbe non meno impensabile di un sistema solare con il Sole volteggiante attorno alla Terra.

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