Accanto e all’ombra di Lem, la fantascienza polacca ha un altro nume tutelare meno conosciuto all’estero: Janusz Zajdel
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di Salvatore Greco
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A guardarlo in foto, sembra a tutti un volto familiare. I capelli lunghi, la barba curata, gli occhiali spessi a fondo di bottiglia. Potrebbe essere benissimo un qualche cugino di nostro padre un po’ troppo preso dai Beatles negli anni ’70, o magari un cantautore impegnato. I lettori toscani, umbri, emiliani o di quelle parti lì potrebbero cercare una qualche foto d’epoca di una festa dell’Unità e trovare due o tre uomini lì immortalati che gli somigliano tanto.
Ma l’uomo in foto non è un cantautore, né un fan dei Beatles né tantomeno un militante del Pci dei tempi belli. È invece un fisico polacco, appassionato lettore e scrittore di fantascienza. Uno che a quel genere ha dato tanto, al punto che oggi il più importante premio per la narrativa di fantascienza in Polonia porta il suo nome: premio Janusz Zajdel.
Prima di parlare di lui, delle sue opere e del suo impegno politico (sì, anche di questo), sarà bene chiarire un po’ di coordinate su cosa voglia dire fantascienza in Polonia.
Il primo, legittimo, pensiero di molti sarà andato a Stanisław Lem. E non c’è nulla di più giusto. Lem è uno degli autori più importanti della fantascienza mondiale, uno che a tutto diritto si inserisce nei canoni internazionali del genere, e non solo. Sarebbe tuttavia un errore ritenere quella di Lem una scheggia impazzita, l’unica stella di un cielo buio. La fantascienza nel secondo Novecento è popolarissima nei Paesi oltrecortina quanto, se non più che in Occidente. La letteratura sovietica si fa fregio da decenni di Stella Rossa, romanzo del 1908 dello scrittore e rivoluzionario Aleksandr Bogdanov; all’inizio degli anni Sessanta, sempre in Unione sovietica i fratelli Strugackij sono già autori conosciuti e apprezzati; in Polonia negli stessi anni il succitato Lem discute, e litiga, con i colleghi americani sul senso vero di fare fantascienza; tra Unione sovietica e Paesi satelliti, il conto di riviste e autori amatoriali è quasi impossibile da tenere.
I motivi di questa passione capillare non sono poi difficili da ritrovare. Dagli anni Cinquanta, il mondo apparentemente pacificato del dopoguerra vive sotto la minaccia strisciante della distruzione nucleare, matura in alcune coscienze la consapevolezza di vivere dentro, o in presenza di, uno Stato totalitario. E poi, su un altro versante, ci sono gli anni della corsa allo spazio, le prime missioni, si comincia a fantasticare di colonizzazione di stelle e pianeti.
Scrivere di fantascienza in quegli anni serve a sublimare le paure, a immaginare scenari, anche a godere del sogno più atavico di tutti: quella della conquista delle stelle. A est in particolare, dove varie vicissitudini storiche hanno sancito il primato dell’impegno sociale sull’intrattenimento, la fantascienza è soprattutto questo. Poca spettacolarità, con nessuna Hollywood da cui attingere, ma tanta riflessione, mista a incanto, verso un mondo difficile da interpretare a fondo.
È in questo contesto che emerge Janusz Zajdel. Varsaviano, classe 1939, fisico del dipartimento di radioprotezione dell’Università di Varsavia. Uno che passa le sue giornate di lavoro a studiare metodi per sopravvivere a una catastrofe nucleare.
In quegli stessi anni, il giovane dottor Zajdel inizia a scrivere. Comincia la collaborazione con una piccola rivista che si chiama Młody Technik, il giovane tecnico. È un periodico divulgativo, ciclostilato, dedicato alla divulgazione verso i giovani di temi scientifici e tecnologici anche complessi e Zajdel ci pubblica prevalentemente articoli scientifici, poi, nel 1961, la sua firma dentro a un numero chiude qualcosa di nuovo: un racconto. Un racconto di fiction su una rivista di scienza, ma la contraddizione è solo apparente.
1961, dicevamo. E nel 1961 accadono molte altre cose: ad aprile il cosmonauta Gagarin viene sparato nello spazio e ci resta per più di un’ora e mezzo; a Cuba un gruppo di mercenari addestrati dalla Cia viene respinta da Castro alla baia dei porci; negli stessi mesi Kruščev e Kennedy si incontrano a Vienna per parlare di atomica e Berlino; in autunno esce a Varsavia la prima edizione di Solaris. La fantascienza è in grande salute e il mondo non fa nulla per toglierle il motivo d’esistere.
Zajdel all’inizio è uno di quei tanti amatori di cui si diceva prima. Un fisico che per gioco scrive un racconto e lo pubblica. Poi ci prende gusto, ne scrive altri, ne scrive tanti. Nel 1965 capisce che ne può venire fuori qualcosa e pubblica la sua prima antologia. L’anno dopo esce anche il suo primo romanzo. Va detto con sincerità: questi primi lavori oggi sono poco interessanti per lettori il cui gusto si è formato prevalentemente sulla letteratura anglosassone. E anche a leggerle con il filtro di Lem, non si può notare come le ambizioni sono simili ma i risultati assai distanti.
I lavori migliori di Zajdel arrivano relativamente tardi, negli anni Ottanta, per altro pochi anni prima della sua prematura scomparsa, in concomitanza con una sterzata stilistica che diventerà il suo marchio di fabbrica.
Gli anni Ottanta in Polonia non sono un decennio qualsiasi. Le difficoltà dell’apparato socialista sono evidenti, l’opinione pubblica dà segnali di scontento, nasce Solidarność (a cui Zajdel aderisce subito) e arriva la repressione. Che sia davvero per scongiurare una nuova primavera di Praga o meno, Jaruzelski proclama la legge marziale con tutto quello che ne consegue. Con Solidarność fuori legge e controlli massicci da parte delle autorità, aumenta la rabbia degli oppositori e si diffonde sempre più il malcontento per il totalitarismo e il controllo sovietico sulla Polonia. Con questo retroterra, e con l’impossibilità di parlarne apertamente, uno strumento importante arriva proprio dalla fantascienza e Zajdel decide di usarlo.
Per la verità, il nostro aveva imboccato la sua nuova strada già l’anno prima, pubblicando uno dei suoi libri più famosi: il cilindro di Van Troff (Cylinder van Troffa, 1980). In questo romanzo, un gruppo di esploratori galattici fa ritorno verso la terra dopo un lungo viaggio e trova una quota elitaria dell’umanità ad abitare la luna mentre aspetta che la maggior parte della popolazione, rimasta sulla terra e sterilizzata, si estingua lentamente. È un romanzo in cui si attiva il meccanismo, oggi piuttosto noto al genere, dell’eroe che per primo si accorge delle storture del mondo in cui vive e ha il compito di svelarlo agli altri. Il mondo tratteggiato da Zajdel, con il suo controllo capillare su ogni aspetto della vita dei terrestri sulla luna, sembra già una grande allegoria del totalitarismo sovietico, ma forse perché mascherato dentro una trama avventurosa e amorosa (uno degli esploratori va sulla terra in declino a cercare l’amata), non crea all’autore problemi con le autorità.
Il grande bivio della fantascienza polacca arriva proprio qui, ed è Zajdel che lo imbocca con più decisione di tutti. Non si tratta di semplice distopia o di uso della fantascienza per riflessioni sul presente, ma dell’uso consapevole e sistematico di un genere che parla di mondi lontani per raccontare, attraverso metafore ed allegorie, l’esistente. Non a caso, in polacco si preferisce parlare precisamente di fantastyka socjologiczna, fantascienza sociologica, anziché distopia. Gli scenari che Zajdel allegorizza non sono potenziali, sono reali.
Ancora più avanti in questo processo vanno i romanzi successivi di Zajdel, Limes inferior, uscito nel 1982 ma scritto negli anni precedenti, e soprattutto Wyjścia z cieni (Uscendo dall’ombra), il più diretto e potente tra questi, uscito nel 1983.
Leggendo Wyjścia z cieni ci si stupisce a ogni pagina. Non è tanto la trama, piuttosto schematica, ad attrarre quanto la chiarezza del messaggio sociale e il modo in cui attacca apertamente il sistema politico polacco del tempo. Al centro delle vicende di questo libro, c’è il piccolo Tim, un ragazzino qualunque che a scuola ha problemi in storia, con grande disappunto dei suoi insegnanti per i quali quella materia è fondamentale. Nel mondo in cui vive Tim, infatti, la terra è governata da una razza aliena, i Proxy, a loro dire creature amichevoli che abitano la terra per difenderla dai temibili alieni predatori Elgomaje. La popolazione della terra viene educata a considerarli dei salvatori, li accetta in buona parte, alcuni persino collaborano con loro, come se non si rendessero conto che l’invasione dei Proxy ha ritardato lo sviluppo della terra e anzi l’ha riportata indietro sul cammino delle scoperte scientifiche e tecnologiche. Dopo una serie di passaggi, Tim non solo scopre che la storia che gli inculcano a scuola è piena di falsità, ma entra a far parte della resistenza attiva con lo scopo di rendere consapevole il resto della popolazione della grande truffa in cui tutti sono invischiati.
La semplicità con cui, anche a distanza di anni, è facile cogliere le allegorie di questo romanzo, dà da pensare. È evidente sotto ogni aspetto che i Proxy invasori e manipolatori siano, nell’idea di Zajdel, i sovietici, e lo è altrettanto il senso della vera e propria chiamata di responsabilità che l’autore e il suo alter-ego fanno nel romanzo. La fantascienza diventa un’arma perfetta in grado di descrivere senza indicare, e di esprimere in letteratura un sentimento attuale e montante. Dal punto di vista estetico, si tratta di un’opera non priva di limiti stilistici e che contiene piccole forzature con le quali un lettore contemporaneo potrebbe non essere clemente, ma il suo valore rispetto al contesto è di estremo interesse.
Janusz Zajdel avrà tempo di fare uscire altri due romanzi, più o meno nello stesso solco, e di lasciare nel cassetto molto altro materiale, prima di morire prematuramente nel 1985 a soli quarantasei anni. Oggi la ricezione delle sue opere è molto inferiore al successo degli anni Ottanta, ma il suo ruolo nello sviluppo della fantascienza polacca è innegabile e il valore delle sue opere è riconosciuto, in particolare dagli addetti ai lavori.
Autori che hanno scritto e pubblicato nel filone della fantascienza impegnata, come Rafał Kosik o Anna Kańtoch, gli devono molto e devono averlo pensato entrambi, ritirando più volte negli anni quel premio per la fantascienza che porta il nome di Janusz Zajdel.