Rejs: solcando le acque del socialismo (sur)reale.

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A bordo della nave da crociera che racconta, ridendo, amarezze e assurdità di una Polonia che fu.

Si dice che per capire davvero un popolo bisogna comprenderne l’umorismo. Ridere assieme, in fondo, è una delle cose più intime che esista e cogliere istintivamente i simboli comici di una cultura che non ci è nativa significa aver raggiunto con essa un legame di grandissima profondità. Per questo motivo, perché crediamo che capire i polacchi significhi capire come e di cosa ridono, dopo avervi presentato Seksmisja continuiamo la scia della commedia cult in Polonia con Rejs.

Diretto da Marek Piwowski, Rejs esce nel 1970 e ci mette poco a diventare uno dei film in assoluto più amati dai polacchi. Il motivo è presto detto, un po’ come Seksmisja, Rejs mette assieme una comicità semplice fatta di gag ed equivoci, ma nel frattempo svela le contraddizioni e le assurdità del socialismo reale senza farne una vera e propria denuncia, ma con sincera autoironia, quell’autoironia salvifica che oggi in Polonia sembra essersi un po’ perduta.

La vicenda si svolge durante una crociera (“Rejs” significa proprio questo) che si svolge sulla Vistola, una piccola gita in battello lungo il fiume insomma. Tutto comincia quando, poco prima della partenza della nave, due perdigiorno decidono di prendervi parte; naturalmente la mancanza del biglietto non pare costituire il minimo problema per i due che superano l’inetto marinaio-bigliettaio con il più vecchio dei trucchetti e, quando salgono sulla nave, al capitano e agli ufficiali dicono di essere dei funzionari. Basta la parola a far nascere l’equivoco che è alla base di tutto. Uno dei due viene scambiato per un kaowiec, ovvero un coordinatore culturale del Partito, una sorta di animatore “ufficiale” e come tale viene trattato. Particolarmente significativa la sequenza in cui il capitano della nave ne stila una sorta di curriculum, scoprendo che si tratta di un perfetto inetto ignorante e non se ne stupisce affatto.

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L’equivoco si gonfia causando una situazione assolutamente surreale e -paradossalmente- del tutto accettata, dal momento in cui il nostro “eroe” si immedesima sinceramente nel ruolo di coordinatore culturale (per il quale ha tutte le carte in regola essendo sufficientemente gretto da poter essere davvero un burocrate di partito) e si prende la briga, senza alcun motivo apparente, di organizzare una sorta di “evento culturale” in onore del capitano.

Qui l’assurdo raggiunge livelli impensabili attraverso la collaborazione del vasto diorama umano dei passeggeri che prima si prestano a una sorta di assemblea di partito dal tono surreale (perdonate le ripetizioni, ma non lo diremo mai abbastanza) dove tutti hanno quasi paura di parlare, si nascondono dietro frasi grottescamente ipocrite e iniziano ad applaudire, senza la minima convinzione, la performance senza senso di un giovane poetastro dopo che un uomo ha fatto partire per sbaglio la claque tentando di far partire l’accendino inceppato.

È chiara la feroce parodia di un mondo, quello della Polonia socialista, nel quale si seguono convenzioni rigide e assurde portate avanti da burocrati cretini in ossequio a non si sa bene cosa. Un castello di stolide sciocchezze fondato su se stesso e alimentato dalla pigra volontà di autoconservazione.

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In tutto questo il “comitato” incaricato di questo omaggio al capitano si perde in elucubrazioni filosofiche e artistiche assolutamente fuori contesto e del tutto inadeguate al livello, come quando uno degli ospiti della crociera si mette a discutere del rischio di formalismo in una canzonaccia o come quando il falso commissario, calato fin troppo bene nella parte, critica il pessimismo malinconico poco socialista di una canzone d’amore suggerita da un altro crocierista, canzone che non aveva nemmeno ascoltato perché stava platealmente dormendo.

Una fiera dell’inettitudine o, anche peggio, dell’intellettualismo vuoto al servizio di uno spettacolo che alla fine nessuno vuole davvero. Di certo non il capitano – eternamente perplesso rispetto a quello che vede, non il finto commissario che si era intrufolato solo per fare un viaggio a sbafo né tantomeno gli ospiti della crociera che magari vorrebbero -semplicemente- godersela.

Insomma tra le gag sempre buffe e alcune trovate più raffinate(la sequenza dell’uomo che si lamenta dei film polacchi perché lenti e dai dialoghi brutti e lo fa all’interno di una sequenza lentissima e dai dialoghi orrendi è un capolavoro di metaironia), il senso del film è tutto nella domanda che ci si pone dall’inizio alla fine, incessantemente, a ogni scena, situazione, sequenza: ma perché? La stessa domanda che i cittadini polacchi negli anni più bui si sono posti spesso e al contempo tempo non abbastanza e che qui Piwowski usa come uno strumento potente di ironia e autoironia, in fondo l’unica vera salvezza quando al perché non c’è una vera risposta.

Per vedere il film restaurato, in streaming e con i sottotitoli in inglese:

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=IkEf42l6vo4]

Salvatore Greco

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