Beats of Freedom

Jarocin_Festiwal_1984

Il rock in Polonia. Musica e Libertà.

La musica è da sempre stata per me via privilegiata per avvicinarmi alla cultura di un Paese e soprattutto alla sua lingua. Quando misi piede per la prima volta a Varsavia, incapace di comunicare in polacco ma al contempo desideroso di imparare questa lingua, mi impegnai a fondo per conoscere la musica di questo paese. Era un modo per prendere i proverbiali due piccioni con una fava: imparare una lingua attraverso qualcosa di piacevole. Chopin sì, lo conosciamo tutti…e poi?
Beh, per stare alla classica, andrebbe ricordato almeno Ignacy Jan Paderewski (1860-1941): pianista, compositore e…premier. Ma di tutto ciò, magari un’altra volta. Io ero interessato piuttosto al rock, al cantautorato, alla musica cosiddetta “leggera” nel senso più ampio del termine.
Gli amici mi hanno dato gli spunti iniziali, il resto è stato un’avventura fatta di molta casualità e curiosità.

Una cosa in particolare mi colpì, adesso ovvia: quella musica era così…maledettamente familiare!! Voglio dire, prigioniero inconsapevole di stereotipi cari alla cosiddetta “Europa occidentale”, non mi aspettavo che a quelle latitudini il rock – proprio quel rock a cui siamo abituati – fosse giunto presto e in maniera sontuosa. Dopo un concerto dei Rolling Stones al Pałac Kultury i Nauki di Varsavia letteralmente preso d’assalto dai fans il 13 aprile 1967, Czesław Niemen cantava la prima canzone di protesta del rock polacco, Dziwny jest ten świat [È strano, questo mondo], un pezzo di storia della musica polacca, e la cantava come se avesse masticato fino a un minuto fa le sonorità dei Pink Floyd – The piper at the gates of Dawn è dello stesso anno – del rock progressivo e psichedelico, dei Beatles. Dopo Niemen arrivarono (per me, nelle mie disordinate e asistematiche esplorazioni) i Budka Suflera, un gruppo rock che nella sua hit più conosciuto, Jolka Jolka pamiętasz [Jolka Jolka, ti ricordi…?] oltre a raccontare una malinconica storia d’amore, offrono uno spaccato sulla vita dell’emigrazione polacca a Londra nel dopoguerra. E che dire allora del punk-rock dei T Love (gruppo fondato a inizio anni ’80 a Częstochowa), dei Republika, dei Lady Punk? Dei Dżem di Ryszard Riedel, morto di droga nel 1994 e assurto a mito e simbolo del rock? O del metal di un gruppo come i Turbo, che spianerà la strada (per chi ama il genere) a Behemoth e Vader? Sono tutti gruppi nati tra gli anni ’70 e i primissimi Ottanta, durante uno dei periodi più duri della Polonia comunista. Sono nati perché quella che è stata definita la “generazione perduta” (chi aveva tra i venti e i trent’anni negli anni ’80) non poteva tacere; in qualche modo occorreva buttare fuori il disagio, parlare delle e denunciare le ingiustizie e le storture del sistema; occorreva socializzarle, incontrarsi, riconoscersi, aggregarsi. E luogo d’aggregazione fu il festival di Jarocin (la prima edizione ebbe luogo nell’80). Una vera e propria Woodstock polacca, tollerata dalle autorità che forse speravano di attenuare gli effetti di un disagio giovanile montante, permettendo ai giovani di distrarsi in questo modo. Ripetuto annualmente, Jarocin è stato il luogo dove gran parte dei talenti che ho appena nominato sono emersi.

Vi propongo un recente film documentario, sottotitolato in inglese, Beats of freedom. Un’affascinante storia del rock in Polonia che è anche una storia della Polonia nel dopoguerra. Buona visione!

Francesco Cabras

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