Żyrardów – la città di una fabbrica, la fabbrica di una città

Zyrardow cover

Viaggio nella storia e nell’identità di Żyrardów, ex villaggio operaio della Polonia centrale

di Salvatore Greco

Nelle stazioni della rete suburbana di Varsavia, si possono incontrare due tipi di treni. I primi sono rossi, piccoli, bene illuminati, pieni di pendolari e biciclette, e a volte anche di turisti con la valigia. Sono i treni della Szybka Kolej Miejska, la linea urbana veloce che collega le stazioni interne della capitale polacca a quelle dell’hinterland metropolitano. I locali li chiamano eskaemki, sonorizzando le consonanti della sigla, SKM appunto, e aggiungendo quel suffisso –ki (ka, al singolare) che sa un po’ di vezzeggiativo. Poi ci sono dei treni un po’ più vecchi, dipinti di un verde che un tempo deve essere stato brillante, spesso la luce dentro è scarsa, e li popolano perlopiù lavoratori stanchi o assonnati che arrivano a Varsavia da un po’ più lontano. Sono i treni delle ferrovie della Masovia, Koleje Mazowieckie, e nel gergo dei pendolari sono i kaemki.

Zyrardow

Mentre un giro sugli eskaemki ci porterà al massimo a cittadine dell’hinterland trasformate in enormi quartieri-dormitorio di Varsavia, i kaemki arrivano più lontano, in luoghi pressoché sconosciuti ai turisti, ma dalla storia spesso molto interessante. Salendo su un treno KM e viaggiandoci per circa 45 km sulla linea R1, si può a una città dal nome bizzarro in cui vale la pena fermarsi, un posto quasi unico in Polonia, e dalla storia inaspettata: Żyrardów.

Il nome di Żyrardów suona bizzarro ed esotico alle orecchie di molti polacchi. I locali spesso ne conoscono l’origine, per averla imparata a scuola o letta sulle targhe di alcuni monumenti cittadini, ma già tra i varsaviani non è difficile incontrare persone, anche colte, che non hanno idea di cosa significhi quel nome così buffo.

Serve a questo punto una breve spiegazione fonetica. Żyrardów si pronuncia più o meno “Jerarduf” con la J intesa nel suono che essa possiede nella lingua francese. Quel puntino sopra la z, che qualcuno dei lettori potrebbe avere scambiato per una macchia sul monitor, è un simbolo che indica palatalizzazione. Se provate a spingere la punta della lingua verso il centro del palato mentre pronunciate il suono “z”, quello “j” sarà presto fatto.

Questo bislacco nome suona strano ai polacchi, quasi francese, e non a torto. Żyrardów in effetti deve il suo nome a un francese, un certo Girard. Philippe De Girard, per essere precisi, uno che a metà Ottocento portava una barba alla Cavour ed era uno stimato ingegnere in patria. E poi anche in Polonia, a partire circa dal 1829.

Nel 1829, Żyrardów non esiste su nessuna carta geografica, e del resto neanche la Polonia. È da qualche decennio ormai che il potente stato polacco-lituano è sparito dalle mappe, smembrato dalle potenze vicine. La parte centro-orientale dell’antica potenza si chiama ancora Regno di Polonia, ma è un protettorato fantoccio sotto il controllo dell’impero russo. Negli uffici pubblici si parla russo, russi sono i soldati per le strade, per andare da Varsavia a Cracovia bisogna superare il confine con l’impero austriaco mostrando alle guardie di dogana un passaporto russo. La gente però parla polacco, soprattutto in campagna. Di sicuro parlano polacco i contadini di un posto non lontano da Varsavia che si chiama Ruda Guzowska.

Con un secolo di rispettabile ritardo, anche nell’impero degli zar arriva la rivoluzione industriale. La vulgata vuole che la Russia zarista fosse uno stato industrialmente molto arretrato, e certo lo era rispetto al Regno Unito o alla Germania, ma aveva comunque un suo apparato industriale, specialmente nelle provincie più occidentali.

Nella Polonia zarista per esempio si producono filati. All’inizio dell’Ottocento, non è certo un’industria esuberante, ci sono piccole fabbriche locali, e gestite in modo un po’ antiquato. Da queste parti d’Europa, di Adam Smith si parla poco e l’iniziativa imprenditoriale è perlopiù nelle mani dello Stato. Così il governo del Regno di Polonia, negli anni Venti dell’Ottocento, chiama a Varsavia l’ingegnere De Girard, famoso per avere inventato una macchina innovativa per la filatura del cotone. De Girard arriva a Varsavia nei primi anni Venti, ospite del principe Drucki-Lubecki, ministro del tesoro del Regno, che gli dà un mandato semplice: avviare un grosso centro produttivo di filati in Polonia. De Girard accetta la sfida e pone le sue condizioni. Ci servirà un fiume, per l’energia, e un bel po’ di spazio. All’epoca gli impianti più grossi sono a Marymont, oggi un quartiere di Varsavia, ma quel posto non va bene, è troppo vicino alla città.

De Girard allora studia bene la cosa con i funzionari governativi per un po’, finché l’occhio cade sul villaggio di Ruda Guzowska; c’è un fiume, c’è spazio, sorge su una potenziale linea di collegamento con Cracovia, e persino con Vienna. È fatta, è ideale.

Nel 1829, nasce una società per azioni denominata “Karol Scholz e soci” dove Karol Scholz è un consigliere prussiano della banca di Polonia, e i soci sono piccoli magnati locali. Saranno loro a finanziare il grosso progetto industriale di trasferimento del comparto tessile lontano da Marymont. Girard viene nominato direttore esecutivo dei lavori e si procede alla costruzione dei primi impianti, che entrano a regime nel luglio del 1833.

Alle fabbriche servono operai, così i braccianti di Ruda Guzowska vengono convertiti in filatori, ma non bastano, il progetto è ambizioso. Ne arrivano altri dal resto del regno, ma serve anche manodopera qualificata, gente che sappia trattare le macchine e ripararle alla bisogna. Arrivano allora anche artigiani dalla Prussia, operai boemi e in breve attorno alle fabbriche si costituisce un vero e proprio formicaio. Scholz e soci nel frattempo costruiscono accanto agli stabilimenti case per gli operai perché ci possano abitare. E spontaneamente nascono piccole attività, negozi, barbieri. In breve, è nata una città. In onore dell’uomo che ha permesso tutto questo, la città prende il nome di Philippe de Girard. Ovvero, Żyrardów.

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Agli inizi, l’attività non decolla. Scholz e soci sono degli investitori generosi, ma sono solo banchieri, non sanno niente d’industria. Vengono salvati dall’arrivo di due gentiluomini prussiani. Si chiamano Karol Hielle e Karol Dittrich, sono imprenditori del tessile con una certa esperienza, e intendono rilevare le fabbriche di Scholz.

Sotto la gestione di Hielle e Dietrich, Żyrardów si specializza nel lino e diventa una potenza industriale. Aumentano le linee produttive, vengono assunti ben 9000 operai e operaie, i prodotti che escono dalle fabbriche arrivano nei negozi di Varsavia, Łódź, ma anche Mosca, Kiev, Pietroburgo. Ci sono rappresentanti di Hielle e Dietrich alle grandi fiere internazionali del tessile e si fa il nome di Żyrardów persino a Philadelphia. La linea ferroviaria internazionale, progettata per collegare Vienna a Varsavia, farà tappa pure a Żyrardów.

La crescita abnorme della fabbrica è ormai un prodotto del capitalismo maturo. Un altro di questi prodotti è la coscienza di classe degli operai. Hielle e Dietrich si ritengono degli imprenditori illuminati, e le condizioni di lavoro nelle loro fabbriche non sono peggiori che altrove in Europa, per certi versi sono anche migliori, ma tra gli operai si mugugna. C’è un partito socialista nella Polonia zarista, si chiama Proletariat, e ci sono riunioni, manifestazioni, dibattiti. Quando Hielle e Dietrich provano a dimezzare le paghe, la fabbrica decide per lo sciopero. Lo cominciano le operaie, le rocchettatrici, mentre gli uomini all’inizio stanno a guardare e poi si uniscono, ma solo quando non hanno più filo pronto da lavorare. In una settimana tra il 23 e il 28 aprile del 1883, le operaie e gli operai di Żyrardów incrociano le braccia e sfidano i fucili zaristi. Alcuni rimangono feriti, in tre muoiono, ma la battaglia è vinta: i loro stipendi non saranno toccati.

Con la coscienza di classe, cresce anche la coscienza collettiva della città. Per citare un famoso adagio, gli operai vogliono certo il pane, ma anche le rose, e allora di propria iniziativa a Żyrardów sorgono botteghe, un ospedale, un dopolavoro, scuole per i bambini, una chiesa e pure una piccola sala da bowling per i quadri dirigenti.

Le cose continuano così, non senza disordini e scioperi della classe operaia sempre più organizzata, fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Żyrardów si trova sulla linea del fronte tra le forze dell’impero russo, in ritirata, e quelle degli imperi centrali in avanzamento. La guarnigione zarista, prima di fuggire, fa saltare in aria le fabbriche. È la vecchia tattica della terra bruciata che funzionò contro Napoleone, ma che intanto manda in rovina decenni di sviluppo della città. Alla fine della guerra, mentre si andava costituendo la nuova repubblica di Polonia, a Żyrardów si forma un Consiglio di delegati operai che prende il controllo delle fabbriche e le rimette in attività.

Sembra ricominciato un periodo di floridità per Żyrardów, che saluta nel 1923 un altro ospite francese in città. È Marcel Boussac, un uomo che oggi, al solo sentirlo nominare, gli abitanti più anziani di Żyrardów storcono la bocca con disprezzo. Il connazionale del beneamato Girard arriva in città con la fama di traffichino, di uno che ha fatto i soldi con i rifornimenti all’esercito durante la guerra, ed è diventato proprietario di un grosso cotonificio in Francia.

Boussac rileva le azioni vacanti delle fabbriche Hielle e Dietrich e si impossessa anche delle altre con delle speculazioni spericolate, mettendo da parte l’autonomia operaia. Dopodiché, inizia a trattare la sua nuova proprietà come una concessionaria dei suoi cotonifici. Il fatturato cala, i licenziamenti si susseguono in massa, i quadri dirigenti vengono spostati a Varsavia e la città sfiorisce nelle mani di quest’uomo che le cronache raccontano odioso e cinico. Anni più tardi, giornali e storici avranno a dire che quello di Boussac era un vero e proprio tentativo di boicottaggio e smantellamento di un pericoloso concorrente. La fase francese finisce in una bolla, com’era iniziata, quando nel 1936 le fabbriche vicine alla bancarotta vengono rilevate dalla Banca dell’agricoltura.

Non si prospettano tempi eccellenti per Żyrardów. Passano infatti tre anni e la città viene occupata da un esercito straniero per la seconda volta nel giro di un ventennio. Questa volta gli occupanti sono i nazisti della Wehrmacht, e la fabbrica non viene distrutta, ma continua a produrre. Per il Reich. Della multietnica comunità operaia di Żyrardów e dintorni fanno parte anche circa cinquemila ebrei, che vengono stipati nel ghetto costruito in uno dei quartieri più moderni della città. Nel febbraio del 1941 saranno tutti fatti convergere nel ghetto di Varsavia e, da lì, al campo di sterminio di Treblinka.

Quando l’Armata Rossa entra in città per liberarla dall’occupazione, Żyrardów è l’ombra di se stessa, impoverita e da ricostruire. Una città nata a misura di operai sembra il sogno ideale del nuovo potere socialista in Polonia e in quegli anni in cui Żyrardów rifiorisce, le fabbriche si ampliano e si specializzano, i semilavorati usciti dalle macchine arrivano sui mercati di mezzo mondo, la città si dota di un conservatorio, scuole professionali, persino un istituto cinematografico. Non è tutto un idillio da realismo socialista, le condizioni di vita sono modeste e la criminalità si diffonde, ma nell’economia arrancante della Polonia socialista, Żyrardów è un’eccezione.

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Eccezione che non impedisce, negli anni Ottanta, agli operai degli stabilimenti tessili di unirsi convintamente alla causa di Solidarność che apre presto una sezione nei filatoi e porta dalla sua l’intera comunità. È innegabile però che il passaggio al capitalismo comporti gravi sconvolgimenti per la città. Nel mercato libero, l’industria tessile di Żyrardów è improduttiva e la fede liberale degli ideatori della nuova Polonia è spietata nel tagliare i rami secchi. I filatoi chiudono pian piano e la città fa fatica a ritrovare un’identità. Disoccupazione e incertezza fanno di Żyrardów negli anni Novanta un posto poco appetibile, dal tessuto sociale frammentato e disfunzionale. Chi ci è passato o ci è vissuto, non ne parla granché bene.

Ancora oggi, a cercarlo bene, c’è un piccolo imprenditore del lino a Żyrardów, si chiama Andrzej Borzykowski ed è specializzato in tessuti di alta qualità. Il suo stabilimento, piccolo per la verità, si trova in via Dittrich, intitolata proprio al nome di uno dei due magnati tedeschi che iniziarono qui la grande storia industriale e operaia di Żyrardów.

Sulla stessa strada, in uno degli ex-stabilimenti dei bei tempi andati, sorge oggi il Museo del lino intitolato a Filip de Girard, dove sono conservate le macchine ma anche alcune mostre permanenti davvero notevoli che mostrano la vitalità della città e dell’industria tessile in Polonia, in particolare prima della seconda guerra mondiale. Un altro degli impianti più grandi, il vecchio stabilimento di tessitura, oggi ospita un centro commerciale e degli spazi di ristorazione nella migliore tradizione del post-industriale gentrificato.

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Quella di Żyrardów è davvero una storia esemplare nel contesto della Polonia moderna e contemporanea, racconta una vocazione industriale che raramente si associa a quest’area in quegli anni, e anche un’identità operaia e combattiva che con ancora più fatica ci fa pensare alla Polonia di questi tempi.

Non spicca per bellezza oggi Żyrardów, ma per gli appassionati di atmosfere post-industriali che capitano da queste parti, è un appuntamento da non mancare.

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