Sull’attualità della neolingua e su come non esserne succubi.
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di Gaia Bisignano
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Il rapporto tra il potere e il linguaggio è stretto e antico e la propaganda ne è la naturale derivazione. In un Paese come la Polonia, che ha vissuto una stagione totalitaria, il tema ha ricevuto l’attenzione di importanti intellettuali, uno di questi è stato Michał Głowiński, che oggi presentiamo con la recente uscita del volume intitolato Zła mowa (La mala lingua).
Quello che la casa editrice Wielka Litera propone è un compendio che riunisce oltre vent’anni di riflessioni dello scrittore e critico letterario Michał Głowiński (1934) sul linguaggio della politica e della propaganda ai tempi della Repubblica Popolare di Polonia, pubblicate a partire dagli anni Novanta, in quattro diversi volumi: Marcowe Gadanie, Komentarze do słów 1966-1971 pubblicato nel 1991, Peereliada, Komentarze do słów 1976-1981 del 1993, Mowa w stanie oblężenia 1982-1985 del 1996 e Koncówka (czerwiec 1985-styczeń 1989) del 1999. Vale la pena menzionare anche un’altra importante raccolta di studi teorici sui meccanismi di funzionamento e sulle strategie adottate dal linguaggio propagandistico della Repubblica Popolare di Polonia, che Zła mowa non contiene, ossia Nowomowa po polsku, uscita nel 1990 e ripubblicata nel 2009 (Nowomowa i dalsze ciągi. Szkice dawne i nowe) in un’edizione ampliata, che contiene anche gli scritti più recenti dell’autore, inerenti il linguaggio politico della Polonia contemporanea.
In Italia sono stati pubblicati, all’interno di una rassegna di studi di polonisti italiani del 2007 intitolata pl.it Rassegna italiana di argomenti polacchi – nella traduzione di Luigi Marinelli e Lucyna Gebert – tre testi dell’autore: La neolingua – una ricognizione e La neolingua alla polacca nel 1988, inclusi entrambi nella raccolta pubblicata in Polonia nel 1990, e Il dramma della lingua, un articolo pubblicato nel 2006 sulla pagina culturale del quotidiano “Gazeta Wyborcza”, sul linguaggio dello schieramento politico allora al potere.
Definire Zła mowa una semplice raccolta di saggi sulla cosiddetta “neolingua” del socialismo polacco, sarebbe riduttivo. Non renderebbe giustizia, in primo luogo, all’autore di questi scritti – Michał Głowiński – personalità affascinante, che senza dubbio meriterebbe un articolo a parte; basterà dire che è uno dei più illustri critici letterari polacchi contemporanei, professore emerito dell’Università di Varsavia, esponente di spicco della corrente strutturalista polacca degli anni Sessanta, autore di romanzi, studi e monografie d’importanza fondamentale per chiunque si occupi di letteratura polacca. In secondo luogo, sarebbe riduttivo per l’opera in sé, che è una vera e propria “cronaca” del linguaggio politico della Polonia del socialismo reale, che l’autore portò avanti “clandestinamente” – consapevole dell’impossibilità di darla ufficialmente alle stampe – per quasi due decadi, dalla fine degli anni Sessanta, al crollo della Repubblica popolare nel 1989.
Al lettore italiano questo libro, in molti suoi aspetti, ricorderà forse due saggi sul linguaggio politico della Seconda Repubblica, usciti nel 2010: da un lato il breve saggio di Gustavo Zagrebelsky Sulla lingua del tempo presente, dall’altro le riflessioni di Gianrico Carofiglio nel suo La manomissione delle parole. Benché il contesto storico e politico siano, com’è logico supporre, completamente differenti, analogo risulta invece il procedimento di analisi delle singole espressioni linguistiche, soprattutto nel caso di Zagrebelsky, che nel suo saggio dimostra come l’impoverimento della lingua rifletta la degradazione della vita pubblica, attraverso l’analisi di undici espressioni linguistiche diventate di uso quotidiano che, spostate dal campo semantico che era loro proprio, in vent’anni hanno finito con l’assumere significati nuovi.
Nell’introduzione ai tre saggi pubblicati in italiano – che il volume Zła mowa non include – Lucyna Gebert suggerisce di leggere l’intera opera di Głowiński sulla neolingua del regime come «una sintesi della storia recente della Polonia vista da un’angolazione insolita: quella della lingua»; e in effetti, sfogliando le pagine di Zła mowa, ci accorgiamo che le brevi riflessioni dell’autore su espressioni, frasi o singole parole – lette sui giornali o udite alla radio e meticolosamente annotate – seguono un ordine cronologico, ciascuna di esse porta infatti una data diversa. Il lettore può dunque leggere il libro dall’inizio alla fine, come una fosse cronaca appunto, ma può anche scegliere una lettura più libera, “per voci”, scegliendo di volta in volta la parola o l’espressione che troverà più interessante.
Per riferirsi a questo particolare tipo di lingua, Głowiński si servì del termine nowomowa (in italiano: ‘neolingua’), già noto ad una parte del pubblico di lettori in Polonia, grazie alla pubblicazione in polacco del famosissimo romanzo di George Orwell 1984, tradotto da Juliusz Mieroszewski e pubblicato nel 1953 presso la casa editrice “Kultura” di Parigi. Il termine nowomowa, infatti, non è altro che un calco della parola inglese newspeak e, nell’accezione attribuitagli da Głowiński, indica la lingua del socialismo reale in Polonia. Il termine è stato successivamente adottato in tutti gli studi sulla lingua polacca di quel periodo. La nowomowa era la lingua della propaganda, della burocrazia, dei discorsi ufficiali e, come tale, pervadeva la quotidianità ed era soggetta a operazioni di manipolazione e deformazione costanti, che la portavano ad assumere un carattere apodittico e a veicolare giudizi monodirezionali, impedendo in tal modo ogni possibilità di dialogo o di replica.
La prima espressione linguistica presa in esame da Głowiński, datata 11 agosto 1966, è la parola oni, ovvero “loro” – pronome personale di terza persona plurale – che negli anni della Polonia popolare era una delle espressioni utilizzate dalla società polacca, con forte connotazione negativa, in riferimento a coloro che governavano il Paese – gli uomini del Partito – a sottolineare la presa di distanza da parte dei cittadini dal potere centrale, di un “noi” collettivo che non si identificava e non voleva identificarsi con quel “loro” che li governava.
Proseguendo in una lettura per voci e facendo un salto temporale di quasi un decennio, in data 23 maggio 1977, leggiamo l’espressione “intervento negli affari interni (della Repubblica Popolare di Polonia n.d.t.)”. Con tale perifrasi, la propaganda del regime usava commentare qualsiasi voce critica venuta dall’esterno in merito alla situazione politica interna. Chiunque affermasse ad esempio che nella Polonia di allora non venissero rispettati i diritti umani, anche solo nel dichiarare pubblicamente la sua opinione, metaforicamente “interveniva” negli affari interni dello Stato polacco. Non sono ammesse voci critiche all’interno di un regime che sia totalitario o autoritario; per questo motivo, nel linguaggio della propaganda, ogni critica mossa nei confronti dell’operato di chi governa diventa automaticamente un attacco, tanto pericoloso da rischiare di provocare “lesioni alla Patria” – altra espressione annotata da Głowiński, in data 6 febbraio 1977 – danneggiando in tal modo l’immagine che il mondo ne ha.
Nel brano che chiude il libro, datato 11 gennaio 1989, l’autore s’interroga sulla sorte della neolingua nella Polonia democratica. Sebbene esprima fin da subito la convinzione che il cambio di forma statale non porterà alla scomparsa della neolingua, sembra comunque guardare al futuro con cauto ottimismo.
Che ne è della neolingua nella Polonia d’oggi, a distanza di quasi trent’anni dal crollo del socialismo reale?
A giudicare dagli scritti più recenti e dalle interviste rilasciate a giornali e periodici, l’autore di Zła mowa sembra non lasciare spazio a illusioni: anche oggi, nella Repubblica non più “popolare” di Polonia, la neolingua è viva e gode di ottima salute. Verrebbe da dire che il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
Nel caso qualcuno si fosse chiesto quale sia la ragione che ha spinto una casa editrice a riproporre in forma di compendio e in veste, se vogliamo, “più divulgativa”, i testi di uno dei pionieri dell’analisi del discorso propagandistico in Polonia, una risposta, in parte allusiva, può giungerci dal sottotitolo che leggiamo sulla copertina del libro: “Jak nie dać się propagandzie”, ossia “come non essere succubi dalla propaganda”. A un’analisi più attenta, il titolo stesso sembra voler mettere in risalto la pericolosità insita in questo tipo di lingua che, non a caso, non è più definita nowomowa, ma appunto zła mowa, che in polacco può significare non solo “mala lingua” , ma anche “lingua del male”.
In una recente intervista dall’eloquente titolo “Il progresso è una meravigliosa illusione”, rilasciata al trimestrale Książki – supplemento del quotidiano Gazeta Wyborcza – in occasione dell’uscita di Zła mowa, Głowiński dimostra, come già aveva fatto nell’articolo intitolato Il dramma della lingua del 2006, quanto il problema della manipolazione del linguaggio da parte della politica sia drammaticamente attuale e come, “per una sorta di scherzo maligno della storia” com’egli stesso afferma, espressioni linguistiche che aveva analizzato cinquant’anni addietro e che credeva ormai dimenticate, siano tornate a riecheggiare nel discorso politico e nella lingua polacca del tempo presente. Basti pensare ad alcune espressioni linguistiche che ultimamente ricorrono sempre più spesso nel discorso politico, come la già citata perifrasi “intromissione negli affari interni” dello Stato polacco, in riferimento alle critiche sull’operato dell’attuale partito al governo, espresse recentemente da parte di molti Paesi membri dell’Unione Europea.
Per evitare dunque una nuova regressione linguistica – che secondo Głowiński è già in atto – e che il linguaggio della politica, amplificato dai mezzi di comunicazione di massa e assimilato da noi senza senso critico, finisca per addormentare le nostre coscienze, è necessario conoscere i meccanismi e soprattutto le espressioni linguistiche di cui il discorso politico e propagandistico si serve, per riuscire a non esserne succubi.