Il Cohen di Maciej Zembaty

Zembaty PoloniCultFot. A.Pawloski/Reporter

La fortuna di Leonard Cohen in Polonia passa anche dall’ispirazione del suo traduttore e divulgatore: Maciej Zembaty.

di Luca Ventura Saltari

Maciej Zembaty è un eroe. Non ha salvato vite sacrificando la propria come ha fatto Ludwika Wawrzyńska e non si è immolato per protesta come Jan Palach. Il suo è un eroismo minore, quello di Prometeo e forse anche un po’ quello di Sisifo: ha tradotto in polacco quasi tutte le canzoni di Leonard Cohen.

Certo, anche in italiano esistono traduzioni, come Suzanne, Giovanna D’Arco e Nancy cantate da De Andrè o La famosa volpe azzurra interpretata da Ornella Vanoni, ma niente di ciò è paragonabile al lavoro di Zembaty, per costanza e proporzioni.

Pensate a una canzone dell’autore canadese; probabilmente Zembaty l’ha tradotta: Hallelujah è Alleluja, So Long, Marianne è “Żegnaj, Marianne”, The Stranger Song, tradotta insieme a Maciej Karpiński è “Piosenka obcego”. La più richiesta dal pubblico polacco, come riferì Zembaty in un’intervista a Brett Grainger, era “Tańcz mnie do miłości kres”, ovvero, come il lettore polonofono avrà già capito, Dance Me to the End of Love.

Fu nei primi anni Settanta che Zembaty venne a conoscenza dell’opera del cantatore canadese. Più precisamente nel 1972, quando stava lavorando a una sceneggiatura con il regista polacco Jerzy Skolimowski. Fu nell’appartamento dell’amico regista che, frugando tra i vinili, a Zembaty capitò tra le mani il primo disco di Leonard Cohen, Songs. Nell’intervista con Grainger, il cantautore polacco parla di quella scoperta come di uno “shock” e di una “illuminazione”. Dopo averlo ascoltato, decise che anche i suoi connazionali che non avevano dimestichezza con l’inglese o accesso alla cultura nordamericana (non dimentichiamo la situazione politica del tempo) dovevano avere la possibilità di godere della musica e, soprattutto, dei testi di Cohen.

Del lavoro che occupò quasi l’intera carriera di Zembaty, analizzeremo solo tre esiti: le traduzioni di Suzanne, Memories e Famous Blue Raincoat. Tanto viene lasciato fuori, e questa mancanza è soltanto un’ulteriore dimostrazione dell’inverosimile prolificità del traduttore.

Come miele

Suzanne, essendo la prima canzone di Songs, fu la prima canzone ascoltata da Zembaty e la prima che si dedicò a tradurre. Intervistato da Brett Grainger, il nostro eroe ammise che questo lavoro lo occupò per sei mesi, più o meno lo stesso tempo che Cohen aveva impiegato a scriverla.

Nel testo originale c’è un verso in apparenza semplice e in realtà quasi intraducibile: “and the sun pours down like honey”. Il problema riguarda la polisemia del verbo “pour”, che dà allo stesso tempo l’idea di pioggia che cade (“pouring rain”), di un liquido che viene versato (“to pour honey into one’s ear”). In questa circostanza, a ‘si versa’ oppure ‘cola’, che renderebbero conto della relazione di ‘pour’ con ‘honey’, e a ‘scroscia’ con il quale si sottolineerebbe il contatto di ‘pours’ con ‘the sun’ (ma suggerendo un terzo elemento, evocato dalla parola ‘pour’, cioè la pioggia), De André preferisce ‘scende’, che con il suono scrosciante e quasi polacco (sz) con cui comincia, compensa foneticamente, almeno in parte, ciò che viene perso dal punto di vista semantico.

Come risolve il problema Zembaty? Vediamo le alternative:

And the sun pours down like honey (originale Cohen)

Słonce kapie złotym miodem (Zembaty)

Il sole gocciola (in forma di) miele dorato (traduzione letterale Zembaty)

Il sole scende come miele (De André)

kapie, da me grezzamente tradotto come ‘gocciola’ è il verbo che si usa quando si vuole parlare di un rubinetto che perde (“woda kapie z kranu” “l’acqua gocciola dal rubinetto”). like honey è tradotto złotym miodem, ovvero “alla maniera del miele dorato”, “in forma di miele dorato”. per un altro esempio di questo uso in una canzone si veda Nie ma ciebie di Kayah e il suo “niewinnością białym śniegiem”). Grazie a uno dei sette casi della lingua polacca, l’autore non deve ricorrere ad alcuna parola semanticamente povera come invece è costretto a fare De André (“come”) o lo stesso Cohen (“like”). Entrambi gli autori sono costretti a “rallentare” il processo di formazione dell’immagine, al contrario di Zembaty, che con uno strumentale si sposta, senza particelle intermedie, dal verbo al “miele dorato”. Si potrebbe invece discutere sulla pertinenza dell’aggettivo złoty, dorato, assente nell’originale, certo importante dal punto di vista metrico, ma dall’effetto leggermente barocco.

Ritoccare i ricordi

A differenza di Suzanne, un classico per i fan di vecchia data, Memories è una delle canzoni di Leonard Cohen musicalmente meno apprezzate e fa parte di un album, Death of a Ladies’ man considerato da molta critica un fallimento. Di questo si dà la colpa alla scelta di farsi produrre da Phil Spector, il cui wall of sound non andrebbe d’accordo con i testi e la voce di Cohen. Ciò può essere vero per l’album in generale, ma nel caso di Memories si è di fronte a un perfetto esempio di canzone in cui il testo e la musica si giustificano a vicenda.

Memories parla di un corteggiamento avvenuto negli anni cinquanta, il cui esito è un classico bene ma non benissimo (la ragazza accetta il contatto del pretendente, ma rifiuta di farsi vedere nuda). L’ambientazione anni cinquanta è suggerita dalla musica del pezzo stesso, a base di coretti e sassofoni in stile “Incanto sotto il mare”. In un concerto alla televisione tedesca del ‘79, Cohen presentò la canzone dicendo che era basata sulla sua “estremamente noiosa e patetica vita al liceo di Westmount, a Montreal”, prima di lanciarsi in un’azzeccatissima interpretazione monocorde. Questa informazione ci conferma che l’azione ha luogo tra il 1948 e il 1951, anno in cui il giovane Cohen s’iscrisse alla McGill’s University. Se consideriamo che la canzone comincia con la frase “Frankie Laine cantava Jezebel”, e che il singolo di Frankie Laine è esattamente del 1951 le coordinate spaziotemporali si fanno più precise. Ma come trasmettere questa “ambientazione” al pubblico polacco, per il quale Jezebel di Frankie Laine, negli anni Settanta, non era una memoria condivisa come lo era per il pubblico anglofono? A dirla tutta, per i polacchi del tempo, il riferimento a quella canzone significa tanto quanto voleva dire per me, la prima, la seconda e la terza volta che ho ascoltato la canzone di Cohen, ovvero fino a quando non ho cominciato a raccogliere informazioni per questo articolo.

Se mi sto tirando in causa personalmente è solo per dire che, pur non capendo il riferimento a Jezebel, e pur non avendo ascoltato per molto tempo l’introduzione esplicativa che Cohen fece alla tv tedesca di cui abbiamo parlato sopra, ho sempre capito Memories, pur ignorando il preciso riferimento storico. Per quello, comunque, in parte mi aiutava la musica, con i coretti e il sax: siamo negli anni cinquanta. Ma capire Memories non consiste in quello. La dominante del testo non è certo l’ambientazione, quanto l’autoironia del narratore, evidente quando rivela i dettagli del suo spavaldo e assurdo approccio (“mi avvicinai alla ragazza più alta e più bionda/e le dissi “adesso non sai chi sono, ma molto presto mi conoscerai” o ancora, riportando la battuta di lei: “so che sei affamato/lo sento nella tua voce”).

Zembaty, in questa occasione, forse per la paura che serpeggia dietro molti lavori traduttivi, quella di non essere capito, decide di spiegare, aggiungendo qualcosa alla sua traduzione. Fa un’operazione simile a ciò che fece Cohen davanti alle telecamere tedesche, ma Zembaty lo fa con insistenza, fornendo molti dettagli, più di una volta. Se il primo verso di Cohen è Frankie Lane, he was singing Jezebel (tradotto senza problemi da Zembaty in “Frankie Lane właśnie śpiewał Jezebel”), le prime parole pronunciate del cantautore polacco sono invece le seguenti:

“Anni cinquanta. Canada. Una sporca palestra in una qualche scuola canadese. Le ragazze ballano tra loro, i ragazzi sono un po’ bevuti, si appoggiano alla spalliera. Nelle tasche hanno bottiglie di un vino alla frutta, da 21 centesimi, forse anche da 19”.

A giudizio di chi scrive, il risultato di questa espansione è goffo e finisce per allungare e appesantire Wspomnienia; ed è un peccato, perché la traduzione delle strofe originali, in sé, non perde nulla dell’ironia di Memories (la vera dominante, la vera costante da tradurre).

New York, Milano o Varsavia?

“Milano è un po’ fredda, ma qui vivo bene. Si fa musica all’angolo quasi tutte le sere”. Così, su traduzione di Sergio Bardotti e De André, Ornella Vanoni canta Famous Blue Raincoat di Leonard Cohen. Il problema è che l’originale dice New York is cold, but I like where I’m living. There’s music on Clinton Street all through the evening, ovvero “New York è fredda, ma mi piace dove vivo. C’è musica a Clinton Street tutta la sera”.

Vedere come è stato distorto in italiano il testo originale, vittima di un addomesticamento italocentrico, può farci apprezzare ciò che altrimenti sembrerebbe una banalità: il mantenimento dei realia americani: New York e Clinton Street. Forse anche per questa fedeltà, la traduzione di Zembaty è stata molto apprezzata, a giudicare dalle numerose interpretazioni: Zbigniew Zamachowski, Przemisław Gintrowski, Robert Kasprzycki.

Figlia della versione di Zembaty è anche quella di Magda Umer, volta al femminile. Che la filiazione non sia diretta da Cohen, ma filtrata da Zembaty risulta chiaro dopo aver paragonato i seguenti versi:

Cohen: your enemy is sleeping and his woman is free (il tuo nemico dorme e la sua donna è libera)

Zembaty: twój wróg sypia nadal twardo i żona nudzi się (il tuo nemico dorme e sua moglie si annoia)

Umer: twój wróg sypia nadal twardo i on męczy się (il tuo nemico dorme e suo marito si stanca/si tormenta)

Sembra evidente che, mentre nudzi się, si annoia, è un’aggiunta interpretante di Zembaty, in fondo ricavabile da Cohen (una persona libera si può annoiare), il “męczy się” della Umer non è ricavabile da free (anzi, sembra quasi in contrasto con questo aggettivo), ma è invece una variazione del “nudzi się” zembatiano (una persona può stancarsi, tormentarsi e annoiarsi). La versione della Umer, però, merita un discorso più approfondito.

 Famous Blue Raincoat racconta, sotto forma di lettera (l’ultimo verso è Sincerely, L. Cohen), con brevi accenni, una storia d’amore a tre. L’argomento è ricorrente in Cohen, non solo nelle canzoni, ma anche nel suo romanzo del 1966, Beautiful Losers. Essendo scritta in prima persona, essendo i personaggi eterosessuali, tutti i riferimenti a sé stesso e al ‘rivale’ sono al maschile. Il più importante, forse è my brother, my killer, riferimento possibilmente anche biblico (una mitologia, quella delle Scritture, a cui il canadese attinge volentieri, come dimostrano, tra le altre,  Last Year’s Man e Story of Isaac). La frase è resa magistralmente da Zembaty, con il vocativo di Mój bracie, mój kacie (fratello mio, boia mio). La Umer avrebbe potuto semplicemente recitare il testo di Zembaty, ma decide di trasporre tutta la storia al femminile. Questo non è un grande problema per i verbi, ma qualcosa si perde quando “Mój bracie, mój kacie” diventa “Siostro okrutna” (Sorella crudele). E, pur comprendendo la volontà di adattare la formula di commiato, “Sincerely L. Cohen”, che in Zembaty rimane Z poważaniem, L. Cohen, la Umer si è spinta troppo in là con il suo Z poważaniem, miłujący Cię wróg (Cordialmente, il tuo nemico che ti ama).

Musicalmente Zembaty può piacere o non piacere. Le sue registrazioni sono spesso leccate, iperprodotte (sentire l’estrema, innaturale, pulizia delle chitarre in Zuzanna che fanno quasi dubitare che quei suoni siano stati prodotti da corde pizzicate da estremità di animali a sangue caldo) o la sua maniera scolastica di recitare i versi, che raramente si legano l’uno con l’altro: per cogliere questo aspetto basta paragonare la sua versione di Famous Blue Raincoat a quella di Gintrowski, che invece lega di più le parole e le frasi, proprio come se stesse leggendo una lettera. Allo stesso tempo, però, al di là del gusto personale, come non ammirare Zembaty per il suo lavoro, grazie al quale nel corso degli anni polacchi non anglofoni sono riusciti a godersi le immagini di Leonard Cohen e quelli anglofoni hanno avuto la possibilità di vedere raddoppiato il proprio piacere?

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