Storico ‘freelance’ per sua definizione, Adam Zamoyski è l’autore di una storia polacca non del tutto convenzionale ma ricca di spunti interessanti.
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di Lorenzo Berardi
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Erede di due delle famiglie più note della nobiltà made in Poland, gli Zamoyski e – per parte di madre – i Czartoryski, lo storico nato a New York, ma di cittadinanza britannica e polacca si è cimentato spesso con le vicende della propria patria di origine. Autore di fortunate biografie su personaggi come Frédéric Chopin e Jan Paderewski, Zamoyski ha scritto anche di Russia e Napoleone oltre che un dettagliato resoconto del cosiddetto ‘miracolo della Vistola’, la Battaglia di Varsavia del 1920. Il suo primo testo dedicato all’arduo compito di narrare un millennio di storia polacca, ‘The Polish Way‘ risale al 1987: una scelta di tempi sfortunata, visto quanto accaduto dall’89 in poi fra il Baltico e i Tatra. Per dirla con le parole dell’autore:
‘Quando mi sono seduto a scrivere quel libro poche persone in Europa occidentale, per non parlare del resto del mondo – sapevano dove si trovasse la Polonia e ancora meno persone sospettavano che questa nazione avesse un passato sul quale fosse meritevole soffermarsi’.
(traduzione dell’autore, ndr)
Un’affermazione che suscita qualche perplessità; non fosse altro per la pubblicazione di ‘God’s Playground‘ di Norman Davies, ancora oggi il libro più noto sulla storia della Polonia, avvenuta appena otto anni prima. Uscito nel 2009, ‘Poland: A History‘ pone quantomeno rimedio alla infelice tempistica del proprio predecessore creando un valido sunto di storia polacca accessibile a tutti e sufficientemente aggiornato. A differenza dei due ponderosi tomi dell’opus magnum di Davies, il libro di Zamoyski non ha l’ambizione di essere un lavoro rivolto a un pubblico di accademici. Il suo autore, d’altronde, ama definirsi ‘storico freelance’ e definisce la propria opera ‘un saggio’ nella prefazione di ‘Poland: A History’ per giustificare l’assenza di note a margine nel testo. Un saggio di 409 pagine e 24 capitoli che tuttavia lascia leggersi tutto d’un fiato. O quasi.
Un efficace compendio di storia polacca…
Certo il rischio di essere sbrigativi o superficiali nel condensare undici secoli di storia polacca in un libro che resti maneggevole è sempre in agguato. Tuttavia va dato merito ad Adam Zamoyski di non cadere praticamente mai nel tranello delle eccessive semplificazioni. Qualche volta lo storico è costretto a ricorrere a scorciatoie logiche difficili da ripercorrere o cade vittima di piccole dimenticanze, ma nel complesso supera la prova in maniera brillante.
La narrazione è asciutta, ma non priva di una sua verve distintiva. Il tono dell’autore non scade mai né nella complicità intellettuale di Timothy Garton Ash né nell’autocompiacimento cattedratico di Norman Davies e resta tutto sommato neutro pur non rinunciando a gustosi aneddoti. Zamoyski non risparmia al lettore dettagli ora comici ora cruenti. Nell’annotare lo scarso fervore dei principi polacchi nei confronti delle crociate l’autore ricorda una lettera di Leszek I al Papa in cui l’assenza di birra e idromele in Terra Santa viene addotta come scusante al mancato invio di truppe in Palestina. Dopo avere sottolineato le atrocità compiute da tatari e cosacchi durante le loro selvagge incursioni nell’attuale Polonia, Zamoyski ricorda anche come nel 1311 tutti gli abitanti di Cracovia incapaci di pronunciare scioglilingua in polacco furono decapitati. Segno di come le barbarie non fossero un tratto distintivo di chi arrivava dall’est per fare razzia.
Più in generale lo storico freelance anglo-polacco si distingue per la capacità a ricostruire rapporti di causa-effetto che aiutano a comprendere dinamiche e alleanze non sempre così lineari. Specie considerando come nell’arco di appena quattro secoli, ‘400 all’800 sul territorio dell’attuale Polonia siano transitati forze austriache e svedesi, russe e tatare, ucraine e lituane, cavalieri teutonici e la Grande Armée napoleonica.
Efficace è il modo in cui viene introdotto uno dei casus belli per eccellenza della storia polacca degli ultimi settecento anni, quello della presenza dell’Ordine Teutonico nell’area che va da Malbork all’attuale enclave russa di Kaliningrad (già Königsberg). Zamoyski ricorda come l’apparente controsenso storico della presenza dei cavalieri Teutonici in Polonia sia da fare risalire all’infelice idea del Duca di Masovia, Corrado I di Polonia, di invitarli per aiutarlo a conquistare e cristianizzare la Prussia nelle cosiddette Crociate del Nord. Neppure la celebre vittoria delle forze polacco-lituane sull’Ordine nella battaglia di Grunwald del 1410 risolse un’annosa questione che sarebbe riesplosa più volte nei secoli a venire.
La parte riservata alla Seconda Guerra Mondiale è più stringata di quanto non ci si possa aspettare, ma riesce nell’impresa di trattare un periodo sofferto e complesso in appena 24 pagine dense di fatti. Zamoyski è consapevole di non avere lo spazio per approfondire questioni e tematiche complesse, ma riesce comunque a fare un lavoro efficace nel descrivere cause e conseguenze del conflitto. Intelligente anche il modo in cui vengono trattati i delicati anni di Solidarność, della Legge Marziale e poi della Terza Repubblica polacca. Nel complesso l’autore riesce a mantenere un approccio neutrale e oggettivo ai temi trattati senza schierarsi e dando spazio sia alle luci che alle ombre di figure come Jacek Kuroń, Adam Michnik e Lech Wałęsa. L’unica eccezione è riservata a Leszek Balcerowicz, per la cui riforma economica post ’89 Zamoyski non nasconde il proprio entusiasmo.
…con qualche imperfezione
Ampio spazio è riservato a figure chiave della storia polacca quali re Mieszko I, Jan Sobieski, Jozef Piłsudski, Giovanni Paolo II senza mai scivolare nell’agiografia, anzi evidenziandone caratteristiche meno note. Chi avrebbe mai sospettato che lo stesso Sobieski – celebrato ‘difensore della cristianità’ quando sconfisse l’esercito ottomano di Kara Mustafa durante l’assedio di Vienna nel 1683 – aveva comandato truppe tatare musulmane ventisette anni prima contro gli invasori svedesi in Polonia? Interessanti anche le pillole riservate a personaggi meno noti ma delle vicende personali al limite dell’inverosimile. Il polacco Aleksander Iliński, ad esempio, combatté a fianco del generale Bem in Ungheria, ma anche in Spagna (dove si dilettò a fare il torero), Algeria, Afghanistan, India e Cina prima di convertirsi all’Islam e partecipare alla Guerra di Crimea sotto il nome di Iskinder Pasha concludendo la propria carriera militare come governatore turco di Baghdad.
Meno accurato il modo in cui vengono trattati altri personaggi ‘minori’. Una certa Zofia Opalińska, ad esempio, appare due volte nel giro di trenta pagine, descritta prima come ‘una briosa sedicenne’ (sic!) poi come ‘un’intellettuale appassionata di musica e matematica’. Si tratta di due donne diverse, ma l’autore non fa nulla per chiarire la confusione, anzi le accomuna sotto un’unica voce nell’esteso indice dei nomi che chiude il libro. Una disattenzione che pone l’accento sullo scarso peso dato da Zamoyski alle figure femminili nell’arco dell’intera opera.
Qualche altro appunto va fatto. Insolita – e forse anche inutilmente provocatoria – è la scelta di riportare il commento di Karl Marx alla celebre Costituzione del 3 maggio 1791, la prima promulgata in Europa e la seconda nel mondo dopo statunitense. Non mancano affermazioni bizzarre come quella che accomuna la szlachta – i nobili polacchi dai quali l’autore stesso discende – ai samurai giapponesi (?!). Delude inoltre la scelta di trascurare la cultura con sporadici e isolati rimandi a musica, arte e letteratura polacca nel libro; vero che lo spazio a disposizione dello storico freelance è limitato, ma qualche eccezione in più si poteva fare. Spingendosi in anni meno remoti, è quantomeno curioso notare come Zamoyski e i suoi correttori di bozze siano convinti che la traduzione inglese di Platforma Obywatelska sia Citizens’ Platform anziché il corretto Civic Platform. Ma in fondo si tratta di piccolezze.
Meno giustificabile agli occhi del lettore è la scelta di terminare il libro con la morte di Giovanni Paolo II, avvenuta nel 2005. Nessun dubbio che la scomparsa di Karol Wojtyła abbia segnato uno spartiacque per la Polonia contemporanea, ma resta il fatto che ‘Poland: A History’ sia uscito nel 2009 e all’opera avrebbe giovato cercare di arrivare almeno a ridosso di tale anno. O forse l’idea di Zamoyski, peraltro inespressa, è quella di lasciare passare alcuni anni per fare sedimentare gli eventi prima di poterli esporre e inquadrare in un contesto più ampio.
Di sicuro colpisce come questo libro, a differenza di altri del suo autore, non sia stato tradotto in italiano. In attesa di capire se il testo di Zamoyski otterrà una chance editoriale anche nel Belpaese, chi desidera imparare qualcosa di undici secoli di storia polacca in italiano ha a disposizione almeno almeno un paio di testi usciti di recente. ‘Polonia‘ di Caterina Filippini è stato pubblicato da Il Mulino nel 2010, mentre ‘Polonia il paese che rinasce‘ scritto da Jerzy Lukowski e Hubert Zawadzki, due storici anglo-polacchi come Adam Zamoyski, uscito in originale per Cambridge University Press ha un’edizione italiana uscita, dopo quella americana, per i tipi di Beit nel 2009. Per chi invece volesse approfondire la complessa ma affascinante storia polacca in inglese il consiglio è quello di affiancare a ‘Poland: A History’ i due volumi del già citato ‘God’s Playground’ di Norman Davies.