Wojtek Miłoszewski – la forza della semplicità

Photo by: Marcin Łobaczewski

A tu per tu con Wojtek Miłoszewski, autore best-seller di una trilogia political fiction e del travolgente noir psicologico Kastor

di Salvatore Greco

Avrei dovuto incontrare Wojtek Miłoszewski in un caffè-libreria del mio quartiere, Mokotów. Un locale indipendente, dove i baristi ti salutano perché ne hanno voglia e non per policy aziendale, e dove la musica non è la solita playlist di jazz senz’anima, ma una scelta piuttosto curata di indie-rock e sonorità affini. Può piacere o non piacere, ma almeno non puzza di plastica. Purtroppo, però, i tempi sono quelli che sono, e da cittadini responsabili, ci siamo accordati per telefono.

Per chi non lo sapesse, Wojtek Miłoszewski è l’autore (a oggi) di quattro libri di grande successo in Polonia, che insieme hanno venduto quasi mezzo milione di copie. Attualmente sono tutti ancora inediti in Italia, dove i suoi diritti sono gestiti da Nova Books Agency.

Dei quattro romanzi di Wojtek Miłoszewski, uno è l’hard-boiled Kastor, ambientato a Cracovia nel 1990 e intriso di un cupo, ma efficacissimo, umorismo. Gli altri tre libri sono altrettanti capitoli di una political fiction dal ritmo molto intenso e che parte da un what if originale, ma al contempo abbastanza verosimile da fare dubitare che si tratti davvero di fiction: cosa succederebbe se la Russia invadesse la Polonia ai giorni d’oggi?

Ciao Wojtek, innanzitutto grazie del tuo tempo. Tu nasci come sceneggiatore per il cinema e la tv. Scrivere è il tuo mestiere anche da prima del debutto letterario. Com’è successo che ti è venuta voglia di lanciarti su un romanzo?

In un certo senso ci ho sempre pensato, in fondo scrivere un romanzo non è molto diverso dallo scrivere una sceneggiatura, si tratta sempre di creare qualcosa che tenga sempre alta la curiosità. All’inizio ho provato con dei racconti, poi un’altra volta ho provato con qualcosa di più lungo. Giusto un capitolo, scritto riadattando una sceneggiatura di cui poi non si è fatto niente. L’ho fatto leggere a mio fratello (lo scrittore Zygmunt Miłoszewski, uscito in Italia con Il caso costellazione, NdA), mi fido della sua opinione e, da fratelli, siamo sempre molto sinceri tra noi. Bene, mi ha detto che era brutto in modo irreparabile. Ero finito nel tunnel del grafomane, con una lingua piena di frasi fatte e orpelli. Ho capito che scrivere in modo troppo letterario non faceva per me, così ho iniziato a scrivere in modo semplice. Ho scritto Invasione (il suo romanzo d’esordio e primo capitolo della trilogia, NdA) come una sceneggiatura. Poche descrizioni, molta azione, niente punti morti. E mi pare che abbia funzionato.

Mi incuriosisce il tuo approccio alla scrittura. È molto diverso scrivere romanzi dallo scrivere per la tv?

No, lavoro praticamente nello stesso modo. Una differenza è che quando scrivo un romanzo, faccio affidamento esclusivamente alla mia immaginazione e a quella di chi leggerà, mentre con una sceneggiatura scrivo la mia parte e a creare il resto ci pensano il regista e gli attori. Poi la sceneggiatura parte dalle richieste del produttore, che vanno rispettate, e dai limiti tecnici.

Ti confesso che quando ho scritto Invasione, mi sono potuto togliere degli sfizi che sognavo da anni. Voglio che i miei protagonisti abbattano degli elicotteri russi a colpi di granate dal tetto di un grattacielo?  Nessun problema, ecco fatto! Mentre scrivevo certe scene del libro, mi divertivo molto a pensare che, se le avessi inserite in una sceneggiatura, le risate del produttore le avrei sentite fin dentro la tomba.

Non stento a crederci! C’è da dire che, specialmente nella trilogia, l’elemento di scrittura cinematografica nella tua prosa è evidente.

Sì, mi sono sforzato di farlo, perché è così che sono i libri che piacciono a me da lettore. Mi piace quando l’azione ti tiene il naso incollato alle pagine e non vedi l’ora di sapere cosa succederà dopo.

In compenso il tuo altro romanzo, Kastor, è molto diverso. Il ritmo è diverso, più compassato, con tratti psicologici più marcati e una lingua più letteraria. Da cosa deriva?

Kastor è un libro molto diverso dalla trilogia. È un noir, con un solo protagonista principale, è più riflessivo. All’inizio avevo paura di infognarmi in un punto morto, temevo che Kastor potesse cristallizzarsi nello schema trito del poliziesco. Per questo gli ho ricreato attorno una psicologia complessa, un passato tormentoso che scopre pian piano, e lo sfondo sociale e politico degli anni ’90. Kastor non è intenso come la trilogia, non doveva esserlo.

E i lettori? Sono diversi anche loro da libro a libro?

Non ho dati statistici, ovviamente, ma mi sembra che Kastor sia piaciuto di più alle donne. Forse per via dell’intreccio amoroso, ma c’è anche nella trilogia, quindi non credo. C’è da dire poi che per alcuni, un “libro per donne” equivale a una storia d’amore e sospiri. È una stronzata, in Polonia le donne leggono molto più degli uomini e i gialli si vendono bene. Dunque, mi pare chiaro che le donne non leggano solo romanzi rosa. E alle mie presentazioni ci sono molte più donne che uomini. Quelli che vengono, magari con due tre libri sottobraccio, chiedono “un autografo per mia moglie”. E quando gli dico “beh, ma lo legga anche lei dopo”, mi rispondono “nah, non fa per me, grazie”.

Parliamo un po’ di Kastor. Tutto si svolge nella Polonia degli anni Novanta, ricreati con molta efficacia. Hai dovuto fare molta ricerca o ti sei affidato ai tuoi ricordi?

Un po’ dei miei ricordi li ho usati, ma nel 1990 avevo dieci anni. Ricordo la percezione dello choc di quel passaggio, utopico e distopico assieme. In compenso, ho dovuto studiare cose più tecniche, come per esempio per i prezzi, i modelli di automobili e i nomi delle vie. Sai che sono stato criticato per aver scritto di Cracovia negli anni Novanta senza averci mai vissuto?

E tu che hai risposto?

 Che sono sicuro che anche Sienkiewicz non ha mai vissuto nella Roma di Nerone eppure ha scritto Quo vadis!

Per altro gli anni Novanta in Kastor non sono solo uno sfondo, ma una domanda attorno alla quale gira tutta la storia. Che giudizio dai di quel periodo?

Molti oggi, a partire da mio padre, sono molto critici nei confronti di come è stato governato quel cambiamento. Con il senno di poi ci si può chiedere se non si sarebbe potuto farlo meglio, ma secondo me è stato necessario. Non posso non guardare al caso dell’Ucraina, dove certi processi non sono stati messi in atto, e oggi mi sembra rimasta dove la Polonia era trent’anni fa.

Lasciamo Kastor e torniamo alla trilogia. Hai avuto mano libera dall’editore nell’usare nomi di personaggi politici di primo piano?

Mi hanno chiesto un po’ di prudenza, e per questo i politici polacchi compaiono in forma anonima. Per il resto mi sembra comunque inevitabile, scrivendo political fiction, riferirsi alla realtà. Per me era essenziale dare un quadro. Se descrivi l’invasione della Russia a un membro Nato, non puoi non pensare a come la Nato reagirà, no?

Tra l’altro ho iniziato a scriverlo nel 2016, prima delle elezioni americane. E ho scritto la prima bozza con Hilary Clinton presidente, non pensavo che Trump potesse davvero vincere. Così poi ho dovuto cambiare tutte le scene dove appariva lei!

E ai fini della storia, che fosse la Clinton o Trump non avrebbe cambiato nulla? Lo stesso cinismo, la stessa realpolitik?

Certo con un altro linguaggio e un’altra impostazione, ma sì, l’idea di fondo che il presidente americano – chiunque fosse – ragionasse sulla scorta di un modo di pensare preciso: lasciamoli massacrare tra loro e arriviamo alla fine a fare gli eroi. Non voglio passare come antiamericano, ma le ragioni della politica sono sempre diverse da quelle che immaginiamo. Se pensi che la guerra in Siria dura da quasi dieci anni e ci sarebbero tutte le energie per completarla, ti dà da pensare.

Come ti è venuta in mente una storia del genere? E quanto ti sembra plausibile che uno scenario del genere si avveri?

Ero stupito che nessuno ci avesse ancora pensato, a dire la verità. La storia polacca e i nostri rapporti con la Russia fanno sì che l’invasione russa della Polonia sia uno scenario letterario quasi ovvio. Sulla plausibilità dello scenario, beh, con i russi non si può mai sapere (ride), ma un tipo di guerra come quella che ho descritto quasi non esiste più. Ormai viviamo in tempi di guerra ibrida, come quella che si combatte in Ucraina, con occupazioni non ufficiali, zone di controllo, destabilizzazione politica e così via.

Domanda forse un po’ difficile, quale tra i libri che hai scritto è il tuo preferito?

È decisamente difficile, certo, proprio perché li ho scritti io. Da lettore, magari preferirei la trilogia. Mi piacciono i libri costruiti così, con tante trame che si incastrano. Da autore, invece, dal punto di vista letterario, i romanzi più recenti sono migliori. Per cui Kastor è meglio di Invasione, e Contrattacco (l’ultimo romanzo della serie, NdA) è forse il migliore in assoluto.

Come funziona la tua giornata di lavoro? Distingui le giornate in cui scrivi per la tv da quelle in cui scrivi i tuoi romanzi? O magari provi a fare le due cose nello stesso giorno?

Diciamo che, nonostante scriva da tanto tempo, non sono in grado di scrivere una precisa quantità di battute al giorno, dipende anche un po’ dall’umore. Mi capita spesso di lavorare sulle due cose lo stesso giorno. Mi sforzo di lavorare ai romanzi la mattina, a mente fresca. Le sceneggiature, forse anche per l’esperienza, mi riescono più naturali, quindi ci lavoro il pomeriggio quando sono un po’ più scarico. Resta il fatto che per ora per me scrivere sceneggiature è la mia fonte di reddito principale, i romanzi sono una cosa in più. Non riuscirei a mantenere la famiglia soltanto con le royalties dei libri. E non so nemmeno se lo vorrei, onestamente. Scrivere sceneggiature mi piace, vedere realizzato sullo schermo quello che ho scritto, è una cosa che mi dà sempre una certa euforia.

Solo una domanda per finire. Tu stesso hai fatto riferimento alle tue preferenze di lettore. Quindi, cosa ti piace leggere?

A questa domanda non ti aspettare una risposta molto originale: adoro Steven King. Ho letto quasi tutti i suoi libri. Mi piace analizzarlo e cercare di capire come riesce a tenere sempre la tensione altissima. Mio fratello una volta ha detto che Steven King è capace di non annoiarti pure se scrive di un tizio che entra in un negozio per comprare dei pantaloni, ed è davvero così.

Ultimamente ho scoperto Dan Simmons, il suo romanzo The terror, sulla nave scomparsa durante la ricerca del passaggio a nord-ovest, è una bomba. E poi anche Richard Matheson, quello di Io sono leggenda. Su un altro piano, ho molto apprezzato Ci rivediamo lassù di Pierre Lemaitre, penso che sia destinato a diventare un classico moderno della letteratura francese.

In generale sono un lettore che ama le storie che ti coinvolgono molto, quelle di cui, quando vedi che le pagine che mancano alla fine si fanno poche, cominci a sentire la mancanza. Amo leggere e spero che la gente continui a farlo. Anche perché mi piace scrivere (ride). È veramente una piccola magia come un mucchietto di lettere arrivi a emozionarci quanto un grande film o un concerto rock. Con un libro siamo lì da soli, spesso in silenzio, davanti a un foglio stampato. E succede qualcosa di grande.

Per informazioni e approfondimenti sui diritti per l’Italia: agent@novabooksagency.com

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