Ernest Wilimowski – il Pelè di Slesia che dopo la Polonia scelse il Reich

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Nato slesiano, cresciuto polacco e poi passato alla Germania nazista, Wilimowski è stato uno dei più forti e contestati attaccanti del periodo tra le guerre.

di Salvatore Greco

Francia, 15 giugno 1938, la terza edizione dei Campionati del mondo di calcio inizia in un clima surreale: la Germania si presenta sotto la bandiera del III Reich e con una squadra zeppa di austriaci strappati con il recentissimo Anschluss; l’Austria a sua volta è assente dalle carte geografiche e anche dal campo di Lione dove avrebbe dovuto sfidare la Svezia; l’Italia campione in carica rinuncia all’azzurro Savoia sulle maglie in favore del nero littorio e all’ingresso in campo contro la Norvegia esibisce un contestato saluto fascista. Un po’ meno ombre politiche sullo sfondo e molto più spettacolo sul campo lo regala il match tra Brasile e Polonia, finito 6-5 e dominato da due grandi mattatori. Il Brasile del 1938 non è ancora il centro del calcio mondiale, ma ha dalla sua il talento puro di Leônidas, uno dei primi maestri della rovesciata. Autore di tre delle sei reti per la Seleçao, il diamante nero non è tuttavia il personaggio più in vista di quel pomeriggio, oscurato per un giorno da un ragazzotto allampanato dai capelli rossi e autore durante la stessa partita di ben quattro goal. È uno degli attaccanti più prolifici della storia del calcio polacco, ma con una macchia che lo ha privato della gloria dei campioni eterni, è il Pelè di Slesia che dopo la Polonia scelse il Reich, il suo nome è Ernest Wilimowski.

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La Slesia è una regione antica, identitaria e contesa dalla storia e dai disegnatori di confini di professione. Non c’è di che stupirsi dunque del fatto che Wilimowski, nato a Katowice (allora Kattowitz) nel 1916, passi dall’essere suddito del Kaiser Guglielmo a cittadino della Repubblica di Weimar e poi della rinata Repubblica di Polonia e tutto prima di compiere sei anni. Né tantomeno stranisce la storia della sua identità travagliata che lo vede diventare a tutti gli effetti Wilimowski solo nel 1929 quando prende il cognome del patrigno, un colletto bianco della piccola borghesia polacca slesiana, in cambio di quello di nascita avuto dal padre morto sul fronte orientale durante la Grande Guerra. Figlio di nessuno se non della Slesia, Wilimowski inizia a giocare a calcio da ragazzino nelle file del FC Kattowitz, la squadra della sua città e centro di raccoglimento ideale minoranza tedesca, e fa il suo esordio in prima squadra a 13 anni non ancora compiuti quando ancora sui registri figura come Pradelok, un mese prima del matrimonio della madre con Roman Wilimowski e la conseguente adozione del nuovo cognome. Pradelok o Wilimowski che sia, un tredicenne così dotato da poter tirare calci in mezzo ai grandi deve avere un talento niente male, e se ne accorge presto la squadra allora nota come Ruch Hajduki Wielkie, poi diventata Ruch Chorzów, che lo ingaggia nel 1934 non ancora diciottenne. Se il FC Kattowitz è l’espressione dei tedeschi di Slesia, il Ruch lo è dei patrioti polacchi, e per Wilimowski diventa la squadra della definitiva esplosione ma anche -come si vedrà- uno scomodo biglietto da visita. Cinque stagioni passate con i colori del Ruch lo vedono diventare per tre volte capocannoniere e portare la squadra a vincere quattro edizioni del campionato polacco con un bilancio realizzativo impressionante: 117 reti segnate in 89 partite giocate, una media di quasi un goal e mezzo a partita, superiore a quelle di campioni dell’epoca come Giuseppe Meazza o Ferenc Puskas.

Negli stessi anni Wilimowski diventa il calciatore più importante -ma anche più discusso- nel giro della nazionale. Convocato per la prima volta il 21 maggio -con 18 anni ancora da compiere-, calca il campo di Copenaghen nell’amichevole persa contro la Danimarca e due giorni dopo si ripete andando in goal a Stoccolma contro la Svezia. È l’attaccante più forte di tutta la Polonia, ma non fa parte della selezione olimpica in partenza per Berlino: ha il vizio del bere, dicono, ma ci sono storie di scommesse e premi goal dai quali Wilimowski guadagna e che puzzano di professionismo, che all’epoca è una cosa peggiore di qualunque sbronza. Le cose cambiano nel giro di pochi mesi e Wilimowski ripaga la fiducia federale portando la squadra alla vittoria nel doppio incontro con la Jugoslavia che vale un posto ai campionati del mondo in Francia, i terzi della storia.

I Mondiali nel ‘38 hanno una struttura molto snella anche per via delle innumerevoli rinunce delle sudamericane e di quella Spagna, piegata dalla guerra civile. Le squadre ammesse alla fase finale sono sedici e si prevedono scontri diretti da subito. È un sistema ancora molto rozzo, ma che rispetto alla prima edizione in Uruguay tra inviti rifiutati e allenamenti su navi transoceaniche sembra brillare di modernità. La Polonia si trova di fronte il Brasile e anche se la Seleçao da sogno è ancora da venire, la fama dei verdeoro e in particolare del suo goleador Leônidas è arrivata anche in Europa. Quella di Wilimowski non è da meno, lo stadio di Strasburgo è pieno di gente accorsa a vederlo giocare dalla Germania, dalla Polonia e da mezza Francia. Le cronache dell’epoca e i filmati di repertorio raccontano che i soldi del biglietto quella partita li valse eccome. Il Brasile va in vantaggio al 18esimo con un goal proprio di Leônidas, ma il pareggio della Polonia arriva cinque minuti dopo: Wilimowski lanciato a rete viene letteralmente placcato in area da un difensore carioca, l’arbitro decreta il rigore e dal dischetto la punta del Warta Poznań Friedrich Scherfke segna il goal dell’uno a uno. Prima della mezz’ora il Brasile è di nuovo avanti con un goal di Romeu e alla fine del primo tempo Peràcio porta la Seleçao sul 3-1. Alla ripresa inizia lo show di Wilimowski che tra il 53esimo e il 59esimo segna due goal in sei minuti riportando la partita in parità, lo slesiano è veloce e si insinua palla al piede tra i difensori brasiliani con grande facilità e un controllo di palla raro in un calciatore europeo. Al 71esimo il Brasile torna in vantaggio con un goal di nuovo di Peràcio, ma a un minuto dallo scadere Wilimowski completa la sua tripletta chiudendo il tempo regolamentare sul punteggio di 4-4.  Ai tempi supplementari gli schemi -per la verità molto pochi- saltano e le squadre vanno all’arrembaggio come possono per cercare di strappare il risultato, ma mentre la Polonia sbaglia in un paio di occasioni il Brasile è più concreto e al 93esimo e al 104esimo Leônidas segna i due goal che difatti chiudono la partita. C’è tempo ormai solo per la gloria personale di Wilimowski che a due minuti dal triplice fischio segna il suo quarto goal della partita stabilendo un record di reti segnate in un match mondiale che dura fino a USA ’94 quando verrà superato dal russo Salenko, autore di cinque reti in Russia-Camerun 6-1.

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Racconti a metà strada tra storia e leggenda parlano di come Wilimowski la sera del match sia stato avvicinato dai dirigenti di un club francese, portato in un locale di dubbia fama e invitato a firmare un contratto da professionista con loro. E sempre gli stessi racconti parlano di come Wilimowski il giorno dopo, senza ricordare nulla della sera prima, avrebbe firmato un altro contratto, questa volta con un club brasiliano e a toglierlo dall’imbarazzo sarebbe stata la Federazione polacca pronta a invalidarli entrambi. Quale che sia la dose di verità in queste storie, è sintomatico il fatto che per esserne stato protagonista Wilimowski doveva aver colpito veramente nel profondo il mondo del pallone in quel 1938.

La stagione 1939 lo vede battere l’ennesimo record, quello dei goal segnati in una partita di campionato: ben dieci ai danni del malcapitato Union-Touring di Łódź. Ma il ’39 non è un anno normale, la guerra incombe e le competizioni vengono interrotte in anticipo dagli occupanti. I goal di Wilimowski in quel campionato strozzato sono 26, l’ultimo dei quali nella sconfitta interna contro il Polonia Warszawa (2-3). L’ultima partita con la nazionale polacca la gioca a Varsavia il 27 agosto del 1939 in un clima surreale in cui -raccontano i cronisti d’epoca- l’inizio della guerra si sente nell’aria. La partita di quel giorno vede la Polonia di fronte all’Ungheria vice-campione del mondo in carica. Non è ancora l’incredibile Ungheria di Puskas, ma ci si avvicina. Gli ospiti vanno in vantaggio di due reti nel primo tempo ma nella ripresa Wilimowski decide di tornare mattatore: riesce a segnare una tripletta e a procurarsi un rigore, trasformato poi da Dytko. La partita finisce 4-2 per la Polonia ed è l’ultima apparizione di Wilimowski con la maglia della nazionale, in cinque anni per lui 22 presenze e 21 reti. Quattro giorni dopo, il primo settembre 1939, la Wehrmacht valica il confine occidentale polacco e inizia la Seconda Guerra Mondiale.

C’è tempo per pensare al calcio durante un’invasione? C’è tempo per chiedersi a quale patria si appartenga davvero? La risposta, così da lontano, probabilmente non ha senso. Wilimowski all’epoca ha 23 anni, il Ruch Chorzów viene liquidato un giorno dopo l’invasione con il decreto di scioglimento di tutte le associazioni polacche di qualunque tipo e a lui resta la possibilità di scegliere se restare fedele alla Polonia o di accettare di diventare a tutti gli effetti un cittadino del Reich. Wilimowski fa la scelta più comoda, per alcuni più vile, che gli causa il disprezzo e lo sdegno degli ex compagni e dei vecchi connazionali, ma salva la vita propria e quella della madre, finita a fare la segretaria delle SS in uno dei campi satellite di Auschwitz per una supposta relazione impura con un ebreo russo. Le pressioni per lui sono forti, i quadri locali del partito nazista ricordano ancora la sua scelta di lasciare il Kattowitz per il Ruch e nell’impero della propaganda non è una cosa su cui si può passare oltre. Wilimowski però è famoso, è benestante e con il pallone tra i piedi può dare alla Germania quello che ha tolto ai tedeschi di Slesia.

Durante gli anni della guerra entra in polizia e non tocca mai un fucile, godendo anche della fama che ha come calciatore e scampando al fronte anche quando sembra il destino di tutti, negli anni del declino hitleriano. Si impegna per un paio di stagioni con il PSV Chemnitz per poi passare al Monaco 1860 e alla squadra tedesca di Cracovia, il Molders Krakau, e varie altre. Gioca anche con la nazionale tedesca otto partite andando tredici volte in rete e una di quelle -un’amichevole con la Romania allora alleata del Reich- si gioca nell’agosto del 1942 a Bytom, a circa otto chilometri da Chorzów e una quindicina da Katowice. Non si hanno testimonianze reali del ritorno di Wilimowski in Slesia con la divisa del nemico, ma l’episodio è tra quelli che maggiormente ne macchiano oggi la memoria.

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La fine della guerra non lo vede coinvolto nel repulisti della nomenclatura nazista, di cui per altro il calciatore non fa parte se non come rappresentante della nazionale, e Wilimowski continua la sua carriera di calciatore in Germania fino al 1959 quando si ritira, a 43 anni compiuti, per poi stabilirsi a Karslruche. La sua vita da cittadino tedesco continua tranquilla: si sposa, mette su famiglia, allena e continua a giocare per diletto. Della vecchia patria non si sa se senta la mancanza. Kazimierz Górski, il ct della Polonia terza ai mondiali tedeschi del 1974, ricorda di averlo incontrato e di avergli chiesto le ragioni del suo gesto e la risposta di Wilimowski pare sia stata di schietta umanità: ho scelto di salvarmi la pelle.

Nel 1995 il Ruch Chorzów decide di invitarlo alle celebrazioni per il 75esimo anniversario dalla fondazione del club, ma le reazioni di altri ex-giocatori e della stampa sono molto dure: Wilimowski è un traditore e non si parla solo di questioni sportive, ma delle sorti di una nazione e della scelta di un uomo di stare dalla parte dei vincitori pur di salvarsi la vita. Muore nel 1997 nella ormai sua Karlsruhe ma ai funerali la federcalcio polacca decide di non partecipare. Non c’è posto per Wilimowski nella narrazione della Polonia di oggi, non c’è posto per un vigliacco nella retorica degli eroi, nemmeno per uno che con l’aquila cucita sul petto è stato capace di segnare quattro goal al Brasile.

Per chi vuole approfondire:

Stefano Bizzotto, Giro del mondo in una coppa. Partite dimenticate, momenti indimenticabili dell’avventura mondiale, Il Saggiatore, 2018.

Alberto Bertolotto, A ritmo di Polska. La storia della nazionale terza ai mondiali di calcio del 1974, Alba Edizioni, 2017.

AA. VV., Il pallone del tiranno. Storie di calcio e dittature, SEI Edizioni, 2014.

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