Tornano in scena i Wild Books, piccola band indipendente di Varsavia al suo secondo ep tra innovazioni sonore e impegno sociale
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di Salvatore Greco
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Gli aficionados della musica di PoloniCult probabilmente si ricorderanno dei Wild Books, band varsaviana con all’attivo un ep omonimo dal frizzante eclettismo e dal variegato citazionismo a mano libera. Oggi al duetto formato dai sempre privi di cognome Karol e Grzegorz si è aggiunto un bassista, Duszan, e i Wild Books hanno prodotto il loro secondo album -sempre per Instant Classic– dal non troppo ricercato nome di 2. Lo abbiamo ascoltato e per l’occasione abbiamo anche contattato Karol, batterista e co-fondatore della band.
Il disco si presenta con una verve decisamente più aggressiva rispetto al disco precedente, su toni che spaziano nell’universo noise sebbene con una certa prudenza nell’uso delle dissonanze. Ma di certo già le prime note di We just want to raccontano qualcosa di nuovo.
«Il progetto dei Wild Books è nato tutto nella testa di Grzegorz, diciamo che era il suo progetto lo-fi da cameretta – racconta Karol – dopo un po’ mi ha proposto di collaborare, di aggiungere la batteria e così abbiamo registrato un po’ di pezzi, cose che aveva scritto lui molto tempo prima, e alla fine è uscito il primo disco, che era ancora molto legato al format canzone».
E sull’evidente cambio di registro aggiunge: «La rivoluzione è arrivata qualche tempo fa quando un giorno Grzegorz è arrivato alle prove con una bozza di canzone che oggi è diventata Better I Hope [Ultima traccia di 2, ndr] e mi è piaciuta davvero un sacco perché c’erano veramente un sacco di idee dentro e poi era così selvaggia, completamente diversa dalle cose che avevamo suonato fino a quel momento. Quando siamo arrivati alla versione definitiva del pezzo abbiamo capito di aver preso una direzione completamente nuova rispetto al passato».
In effetti non solo Better I Hope ma tutta la tracklist di questo secondo progetto targato Wild Books prende una direzione differente, non tanto nel modo di suonare, quanto nel tono che si fa a tratti più cupo, più profondo, “selvaggio” per usare le parole di Karol e abbandona quel -pur gradevole- senso di fruscio da pagine di album di vecchie foto sfogliato in un pomeriggio d’inverno che contraddistingueva il primo disco.
Nelle voci tenute basse rispetto alle parti strumentali oltre che nello stesso titolo del brano, Careless sembra un ammiccamento alla tradizione shoegaze e in particolare a Loveless dei My Bloody Valentine che di tutta quella generazione è un patrono indiscusso. E un gusto simle d’altronde si svela anche nella lunga passeggiata distorta e onirica che fa da base a Perfect Machine. «I nostri gusti musicali sono molto vari, Duszan ama molto i My Bloody Valentine, certo, io ultimamente ascolto molto Dean Blunt, il nuovo disco della mia band lo-fi preferita, The Woolen Men, ma se penso alle vacanze mi viene in mente solo Brown Rice di Don Cherry. In generale poi ci ispiriamo a stili molto vari, dal reggae al krautrock, al jazz, al punk, a volte ci lanciamo nell’ambient e in altre sonorità un po’ più particolari».
E di certo in questo gioca un ruolo non da poco l’universo di Instant Classic, la splendida etichetta indipendente con cui i Wild Books lavorano dai tempi del primo disco «sono persone splendide con cui lavorare, a livello umano, e gestiscono qualcosa che si fa sempre più grande, e poi il loro catalogo è interessantissimo e alcune delle altre band sono nostri amici ed amiche. Con gli Stubs per esempio abbiamo anche fatto un tour assieme e che dire anche dei Guiding Lights, Piotrek, il loro batterista, è una persona splendida oltre che un gran musicista».
La penultima traccia, dall’innanunciabile titolo di (…) [no, non è un refuso di bozza non corretto, ndr] è un’altra progressione onirica, breve e quasi annuncio di qualcos’altro che però non appare e si confonde nella primigenia Better I Hope. In generale dunque il disco mantiene un suo acerbo essere ancora in fieri, situazione naturale per una band che ha appena introdotto un nuovo membro e sta ancora tastando le nuvole di un nuovo e più complesso sound. Difficile dire se 2 sia migliore di Wild Books, di sicuro è molto diverso, in attesa di quelli che Karol conferma essere i progetti per il futuro «Nel 2018 puntiamo sicuramente a fare più concerti, e naturalmente abbiamo intenzione di scrivere qualche nuovo pezzo, vedremo».
Con le premesse di questi work in progress ancora tutti da vedere con l’aggiunta di un terzo musicista e con la ricerca di un sound ancora definitivo, i Wild Books restano un progetto da seguire con attenzione e piacere, anche per il loro impegno sociale in favore di una categoria in Polonia tutt’altro che amata: i migranti. «Abbiamo partecipato a Noise for Refugees per fare qualcosa di buono per chi ne ha davvero bisogno, è un progetto nato circa un anno fa grazie all’iniziativa di alcuni nostri conoscenti, suoniamo e raccogliamo fondi in contrasto al racconto dei media con le sue orrende narrazioni razziste sul tema dei migranti. Fa piacere comunque che abbiano partecipato tanti ragazzi e ragazzini, hanno dimostrato di non essere una generazione che sa solo stare con lo smartphone in mano, ma è capace di fare qualcosa di buono e sensato senza essere spinta da fuori. Refugees welcome!».