Uccidendo il secondo cane, Marek Hłasko a fumetti

Un’intervista a Valerio Gaglione, fumettista e co-autore – assieme a Fabio Izzo – di una graphic novel appena pubblicata da Oblomov e dedicata al grande scrittore polacco.

di Lorenzo Berardi

Gli appassionati di fumetto che hanno partecipato al Lucca Comics 2019, tenutosi a inizio ottobre, hanno assistito alla presentazione di una graphic novel dedicata a un grande della letteratura polacca. Un’opera che è stata il frutto di tre anni di gestazione. Tanto è durato il lavoro di ricerca, scrittura e disegno del fumettista Valerio Gaglione e dello scrittore Fabio Izzo – uno dei nostri primi Polonicultori – per dare alla stampe Uccidendo il secondo cane, appena pubblicato da Oblomov. Una graphic novel che segna l’esordio sul lungo formato di Gaglione, fumettista già apprezzato anche su Internazionale grazie alle sue Cartoline da Varsavia, pubblicate nell’ottobre 2017.

E con Varsavia ha molto a che fare anche il protagonista di quest’opera, lo scrittore Marek Hłasko, cantore sincero e abrasivo della faccia nascosta della capitale polacca degli anni ‘50. Fra i personaggi le cui vicende si sono intrecciate, nel bene o nel male, con quelle dell’autore e che fanno capolino nel libro vi sono la poetessa Agnieszka Osiecka, il compositore Krzysztof Komeda e il regista Roman Polański. Al pari del loro, anche il nome di Hłasko è oggi molto noto in Polonia, dove resta una delle voci più celebrate della letteratura del dopoguerra. Una fama che non trova corrispondenza in Italia dove le opere principali dell’autore sono state sì tradotte, ma si trovano da tempo fuori catalogo. Su PoloniCult avevamo tracciato un profilo dello scrittore polacco esattamente cinque anni fa anche per segnalare questa dimenticanza. Purtroppo da allora nessuno dei romanzi di Hłasko è stato ancora ristampato in italiano.

Una lacuna che forse proprio grazie all’ispirato lavoro di Gaglione e Izzo – da noi seguito a distanza nel suo dipanarsi e atteso con trepidazione – qualcuno deciderà finalmente di colmare. «La cattiveria insita nelle persone è forse il messaggio che Marek Hłasko ha voluto comunicare in maniera più esplicita nelle sue opere» ci ha detto Valerio Gaglione nel commentare il linguaggio diretto e tagliente della sua graphic novel, in uno stile che riflette alla perfezione quello dello scrittore. Una voce riconoscibile e che non ha avuto bisogno di essere attualizzata eccessivamente perché, aggiunge Gaglione, «il mondo è pronto in ogni epoca per questo tipo di “cattive abitudini”».

Valerio, comincerei proprio dal tuo rapporto con il narratore per eccellenza di queste cattive abitudini. Cosa sapevi di Hłasko prima di cimentarti in quest’opera e come mai la scelta per la tua graphic novel d’esordio è ricaduta su di lui?

«Era da un pezzo che con Fabio Izzo si pensava di realizzare una graphic novel insieme. Dopo una miriade di storie abbozzate e scartate, Fabio mi propose la lettura di Hłasko. Lui stava già lavorando a una sorta di saggio sulla lettera H., intrecciando le vite di due tra i più importanti letterati polacchi: il poeta Zbigniew Herbert e Marek Hłasko, appunto. Lessi la raccolta intitolata L’ottavo giorno della settimana, pubblicata da Einaudi nel 1959 e ora quasi introvabile. Me ne innamorai all’istante. La vita di Hłasko è stata breve e intensa, d’una malinconia straziante. Poi mi bastò cercare le sue foto su Google per capire subito che era il protagonista perfetto, con quel suo profilo tagliente e affascinante, la sigaretta perennemente fra le labbra e lo sguardo lanciato verso un punto indefinito. Assomigliava molto a James Dean, ma aveva una patina ancora più cruda. Evocava Varsavia solo con la sua posa».

Come sei riuscito invece a convincere l’editore Oblomov a credere nel vostro progetto, vista la scarsa notorietà in Italia dello scrittore polacco?

«All’inizio mi limitai a postare casualmente sui social le tavole su Hłasko a cui avevo lavorato. Poi un bel giorno mi scrisse il fumettista Andrea Ferraris proponendomi di mostrare alcune di queste tavole a Igort (a sua volta un nome celebre del fumetto italiano, ndr), il mio attuale editore a Oblomov. Ero al settimo cielo. Incontrai Andrea e gli lasciai il lavoro svolto in quei mesi, lui lo portò con sè a Parigi da Igort e da quel giorno ho continuato a lavorare con la grafite fino al termine del libro».

Quanto è stato difficile recuperare materiale su Hłasko e reperire le sue opere dato che alcune di esse non sono state tradotte in italiano e altre sono difficili da reperire?

«Il volume Einaudi in primis è stato fondamentale: l’ho trovato online per pochi Euro. Un altro libro molto importante è stata la sua autobiografia Bei ventenni, anch’essa fuori catalogo, ma pubblicata dai tipi di Libribianchi. Ho scritto al loro recapito e gentilmente mi hanno fornito una copia in giacenza di magazzino. Da lì sono usciti moltissimi aspetti della vita di Marek a me ignoti e, cosa più importante, narrati in prima persona dall’autore stesso. Hłasko è stato magistrale nel rendere la sua vita un’opera d’arte a tutti gli effetti, con molte verità, ma anche con buona dose di mitizzazione autobiografica».

Uccidendo il secondo cane rimanda anche al titolo di un romanzo di Hłasko, ambientato però in Israele, non in Polonia. 

«L’opera è tuttora inedita in Italia. Possiedo solo la copia in inglese che, tra l’altro, ha una copertina meravigliosa. Il titolo originale è “L’uccisione del secondo cane” e il romanzo è una sorta di noir che fa parte della trilogia israeliana di Hłasko, scritta durante il suo periodo randagio trascorso a Tel Aviv. Lo abbiamo adattato in Uccidendo il secondo cane perché ci sembrava più diretto e d’effetto. Il titolo è stato quello fin da subito, anche perché ci ha fornito da spunto per giocare narrativamente sulla storia dei due cani. Si è trattato di un pretesto e di un intreccio di sceneggiatura molto efficace per poter lavorare alla stesura dello storyboard».

Dal punto di vista grafico, si nota un’attenzione particolare alla Varsavia noir degli anni ‘50 con scene ambientate attorno al non più esistente Kino Moskwa o nell’area presso il Palazzo della Cultura, oggi molto diversa, ma anche in via Brzeska o al locale Kameralna che sono cambiati meno. Come è avvenuta per te questa parte di accurata ricostruzione visuale di una città che è mutata profondamente?

«Sono stato fisicamente in tutti quei posti, prima di disegnarli, portando con me delle fotografie dell’epoca. Ho iniziato a girovagare, perdendomi letteralmente per Varsavia, confrontando l’aspetto attuale della città e cercando un punto d’unione col passato. Un esercizio non indifferente, anche perché la metà dei luoghi raffigurati non esiste più. Ma qualche traccia è rimasta in piccoli indizi raccolti con cura. In alcuni casi ho ricercato più le atmosfere e le sensazioni che mi circondavano più che gli elementi veri e propri della città. Immergendomi in via Brzeska, ad esempio, respiravo a pieni polmoni la poetica di Hłasko. Gli alcolizzati de L’ottavo giorno della settimana sono scomparsi, ma restano comunque una patina sinistra e grigia, un’oscurità e un alone di decadenza molto forti. Mi sono immerso totalmente nella storia che io e Fabio stavamo delineando. Un’esperienza quasi metafisica è stata quella di cercare per ore e ore la tomba di Hłasko nel cimitero monumentale di Powązki, a Varsavia. Solo per percorrerne il perimetro intero mi ci sono voluti più di tre quarti d’ora, immaginatene quindi la vastità! Ho capito che la tomba era nel perimetro esterno solo grazie a un video caricato su Youtube. Una ricerca maniacale, vero, ma quella giornata è stata fondamentale per disegnare l’inizio di Uccidendo il secondo cane, ambientato proprio in quel cimitero».

C’è una tavola che ti ha creato maggiori difficoltà di altre e del cui risultato finale sei particolarmente soddisfatto? 

«C’è una doppia splash page, una ripresa dall’alto del Kameralna, il locale luogo di sbronze e risse prediletto dai personaggi della graphic novel. Quella tavola mi ha creato non pochi problemi e una notte d’agosto insonne. Sono incredibilmente soddisfatto del finale. Non nego di essermi quasi commosso mentre le stavo disegnando…vi direi di più, ma non mi sembra il caso rovinare la sorpresa!».

In alcune tavole è Hlasko stesso a parlare in prima persona, senza però rivolgersi direttamente al lettore sfondando la quarta parete del fumetto, ma commentando gli eventi per iscritto, quasi fossero pagine di un diario. Sono brani ispirati da Bei ventenni?

«Sì, Bei ventenni ha fornito la voce al protagonista. Ci sono diversi piani di narrazione nel fumetto, ma quello che tiene le redini è sempre Marek. Quando parla in modo quasi diaristico al lettore, quando gli racconta le sue esperienze a Tel Aviv come pappone o a Parigi, sconfitto da un clima intellettuale distante chilometri dalla sua Varsavia sgretolata, oppure quando è all’apice del successo in seguito all’uscita del film tratto dal suo libro L’ottavo giorno della settimana. I suoi amori, i suoi successi e le stesse preoccupazioni logoranti sono raccontati da lui in prima persona. Sono confessioni urlate e talvolta sussurrate in punta di lingua a un lettore benevolo, che sia pronto ad accogliere senza colpevolizzare, tutti i momenti di una vita intensa».

Nella graphic novel le vicende personali di Hłasko si alternano a quelle di Agnieszka e Piotr, i due protagonisti de L’ottavo giorno della settimana, forse l’opera più nota dell’autore, senza mai però incontrarsi. Quali sono le ragioni di questa scelta narrativa? 

«Volevamo raccontare la storia del protagonista partendo proprio dalle vicende narrate nei suoi racconti. La storia d’amore di Piotr e Agnieszka non è altro che un semplice intrigo fra due giovani varsaviani. Il contesto rende magico e terribile il loro incontro. E il contesto stesso sarà decisivo nella rottura del loro legame. Questo fumetto, per la quantità di microvicende narrate, ha un che di vorticoso ed è un effetto pienamente voluto. Volevamo attirare il lettore in un turbine alcolico e passionale decisamente autodistruttivo, come la vita del suo protagonista. Speriamo di esserci riusciti».

Hłasko, come hai ricordato all’inizio, era definito il ‘James Dean polacco’ e nel vostro lavoro si gioca molto su questa etichetta di bello e dannato, soprattutto durante la parentesi americana dello scrittore.  

«Questo dialogo identitario con una delle più grandi leggende hollywoodiane è stato, per me, motivo di enorme interesse nei confronti del suo alter ego Oltrecortina. Prima ancora di iniziare questo libro, ricercavo un personaggio bello e carico di fascino. L’obiettivo era quello di riuscire a renderlo ancora più figo di Dean! Una meta utopica, me ne rendo conto. Volevo cercare di affascinare e avvicinare il lettore a uno scrittore polacco degli anni ’50, una figura quasi aliena, credo, alla maggior parte degli italiani».

Per uscire da questa similitudine e proporne un’altra, esiste un personaggio italiano al quale pensi che Hlasko possa essere accomunato per vicende personali o stile narrativo?

«Forse il corrispettivo italiano di Marek Hłasko potrebbe essere, molto vagamente, Carmelo Bene».

La graphic novel è uscita o sta per uscire in Italia e in Francia, ma si presterebbe molto a un’edizione polacca: c’è già qualcosa che bolle in pentola in tal senso? Avete poi in programma di presentarla in Polonia o a qualche altro evento internazionale dedicato al fumetto, dopo Lucca Comics?

«Siamo entusiasti per l’uscita italiana e per la futura edizione francese. In Polonia siamo stati un paio d’anni fa al festival del fumetto di Łódź, per parlare con alcuni addetti ai lavori e altri colleghi fumettisti di questa storia. Sicuramente c’è una grande curiosità per il fatto che due italiani abbiano scelto un personaggio non appartenente alla loro cultura, un mito polacco in tutto e per tutto. Diciamo che non dormiremo la notte finché Uccidendo il secondo cane non tornerà in patria».

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