Un excursus dettagliato sul ruolo del treno nel cinema polacco del secolo scorso, alle radici di due eterni miti di modernità
di Andrea FerrarioLa storia del cinema e quella del treno hanno molti punti in comune. Entrambi sono simboli della modernità, di una rivoluzione che ha cambiato il nostro modo di vivere e percepire il mondo. Ed entrambi sono l’esito di progressi tecnici incentrati sul movimento: quello di una macchina e dei passeggeri o delle merci che è in grado di trasportare, nel caso del treno, e quello dei fotogrammi e dei soggetti ripresi, nel caso del cinema. Non vi è quindi da meravigliarsi se tra i primissimi film realizzati sia stato proprio quello dei fratelli Lumière che ritraeva l’arrivo di un treno in stazione (“L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat“, del 1895) a imprimersi più di ogni altro nella memoria collettiva come un evento che ha cambiato il mondo. Nei 120 anni trascorsi da allora la storia del cinema ha percorso frequentemente binari paralleli a quella del treno con migliaia di film nei quali questo mezzo di trasporto è un elemento fondamentale. Sarebbe troppo lungo farne qui un elenco anche solo parziale, ma il lettore interessato al tema può fare riferimento a un ottimo libro in italiano, “Treno e cinema. Percorsi paralleli” di Roberto Scanarotti, pubblicato nel 1997, ma ancora oggi reperibile in libreria.
Anche nel cinema dell’Europa centrale e orientale il treno ha svolto spesso un ruolo di primo piano, basti pensare al cinema viaggiante dell’epoca successiva alla Rivoluzione russa, e in particolare al “kinopoezd” (“cinetreno”) di Aleksandr Medvedkin. Oppure, per fare solo uno tra gli innumerevoli esempi possibili, a un film ceco come “Treni strettamente sorvegliati” (“Ostře sledované vlaky”), di Jiří Menzel, del 1966. Tuttavia solo nel cinema della cosiddetta “scuola polacca”, sviluppatasi a partire dalla metà degli anni cinquanta, il tema del treno è stato un tema ricorrente e centrale. Inoltre il treno ha segnato tragicamente anche il destino reale di un attore leggendario del cinema polacco come Zbygniew Cybulski, tanto che le numerose coincidenze tra i film da egli interpretati e la sua morte lasciano stupefatti.
Il primo film polacco del secondo dopoguerra in cui il mondo ferroviario svolge un ruolo rilevante è “Celuloza” (“Cellulosa”), di Jerzy Kawalerowicz, del 1954. Si tratta della seconda opera di quello che sarebbe diventato uno dei maestri del cinema polacco. Il film è ambientato negli anni trenta del secolo scorso e narra le peripezie di un giovane emigrato dalla campagna in città alla ricerca di lavoro. La sua storia è allo stesso tempo un’occasione per tracciare un ampio panorama della Polonia d’anteguerra. “Celuloza” prende le mosse da un teso incontro notturno nel parco adiacente a una stazione ferroviaria e termina con la corsa della protagonista femminile verso un treno. Ma in questo film il treno è un simbolo di speranza, rappresenta il viaggio verso una nuova vita, mentre nelle successive opere del cinema della “scuola polacca” il treno è sempre un simbolo di morte, di transizione a un destino fatale o di profonda inquietudine interiore. Proprio come lo era in modo ossessivo anche per uno scrittore polacco di grande interesse, Stefan Grabiński (di cui su PoloniCult abbiamo parlato qui e qui).
Due anni dopo “Celuloza” Kawalerowicz torna nuovamente sul tema del treno e lo fa questa volta proprio in questa chiave di lettura. Il suo “Cień” (“Ombra”), del 1956, è un film rompicapo e a tratti hitchcockiano, basato su un sofisticato gioco di flashback che si intrecciano con la linea narrativa principale. Quest’ultima, che si dipana nel periodo del dopoguerra, verte sulla misteriosa morte di un uomo gettatosi da un treno e sulle successive indagini, intervallate da flashback che dipingono episodi della Seconda guerra mondiale. Sia nella linea narrativa principale che nei flashback il tema è quello del “destino cieco” e della morte sempre incombente. Il film si apre e si chiude con lo stesso balzo mortale da un treno in corsa, visto però da due prospettive diverse. Ma anche il personaggio che diventerà ingiustamente il sospetto di questa morte va verso il suo destino con due diversi salti su treni in corsa. La lunga e movimentata parte finale si svolge per intero su un treno di cui non conosciamo la destinazione e nel quale i due protagonisti finalmente si incontrano interagendo drammaticamente fino al finale tragico, sullo sfondo dei binari che scorrono. Tre anni dopo, nel 1959, Kawalerowicz firma la regia di uno dei suoi capolavori, “Pociąg” (che in polacco significa semplicemente “Treno”, ma in Italia è uscito con il titolo “Il treno della notte”). Si tratta di un “film da camera” che si svolge interamente su un treno in viaggio, una sorte di melodramma frammentato che gioca sui temi della solitudine, della sete di vita e del senso di colpa. “Pociąg” è anche un film di ombre, che scorrono su una intensa colonna sonora jazz. I due protagonisti, Jerzy e Marta, si incontrano fortuitamente nello scompartimento di un affollato treno e avviano durante il viaggio un intenso colloquio. Intorno al loro incontro ruotano le vicende degli altri viaggiatori, in un’atmosfera spesso tesa. Ma il protagonista assoluto del film è indubbiamente il treno con tutto il suo microcosmo. Anche in “Pociąg” il tema della morte corre parallelo a quello del treno: Jerzy, che è un chirurgo, è in preda a rimorsi per la morte di un paziente durante un’operazione, mentre nella seconda parte del film la narrazione verte principalmente sulla ricerca di un omicida in fuga che a quanto pare si trova sul treno. Tra i protagonisti vi è l’attore Zbygniew Cybulski, nel ruolo del fidanzato di Marta che cerca disperatamente di salvare il rapporto con la donna. Nel corso del film Cybulski salta per ben due volte sul treno già in corsa (alla partenza e dopo una sosta protratta in una stazione intermedia), mentre in una terza occasione si esibisce in una spericolata azione, baciando Marta affacciata al finestrino mentre è aggrappato all’esterno del treno in corsa, rischiando così di cadere. Verso la fine del film assistiamo inoltre alla fuga dell’uomo sospettato di omicidio, che con un balzo dal treno scappa nei campi circostanti, dove si trova un cimitero.
La carriera di un altro maestro della “scuola di cinema” polacca, Andrzej Munk, comincia anch’essa all’insegna del treno. Dopo avere girato numerosi cortometraggi e mediometraggi documentaristici (tra i quali “Kolejarskie słowo” [“Il mondo di un ferroviere”] , arriva al primo lungometraggio con “Człowiek na torze” (“Uomo sui binari”), uscito nelle sale nel gennaio 1957, solo tre mesi dopo la rivolta polacca del 1956. Si tratta di un film che sotto molti aspetti ha aperto la via al nuovo cinema polacco, seguendo molti dei canoni del realismo socialista, ma minandoli dal loro interno sia dal punto di vista della forma che da quello dei contenuti. “Człowiek na torze”, la cui struttura narrativa è stata paragonata da più critici a quella di “Rashomon” di Akira Kurosawa, ricostruisce da differenti punti di vista la storia di un anziano ferroviere, dopo la sua misteriosa morte all’inizio del film. I titoli di apertura scorrono sullo sfondo di un treno ripreso dai binari sui quali sta transitando: un effetto visivo lo fa apparire come un treno quasi infinito. Dopo i titoli il treno viene ripreso lateralmente mentre viaggia in una buia notte e i suoi macchinisti svolgono la loro normale routine di lavoro. All’improvviso però sui binari di fronte alla locomotiva si staglia la figura di un uomo. Nonostante la brusca frenata, l’uomo (che poi verrà riconosciuto come un loro collega) viene investito e ucciso. Nel resto del film, interamente ambientato nel mondo delle ferrovie e dei treni, emergeranno gradualmente i motivi del gesto del ferroviere investito. Anche in “Człowiek na torze” il tema del treno è collegato a quello della morte e del “destino cieco”.
Nell’opera di altri due grandi registi polacchi dell’epoca, Kazimierz Kutz e Wojciech Has, il treno non ha un ruolo così rilevante come in quella di Kawalerowicz o di Munk, ma vale la pena citare due loro film in cui il treno segna momenti topici. In “Nikt nie woła” (“Nessuno chiama”) del 1960, il primo film polacco il cui stile ricorda quello della nouvelle vague francese, Kutz narra la storia di un giovane, Bohdan, che immediatamente dopo la fine della Seconda guerra mondiale si trasferisce in una città occidentale della Polonia rimasta semivuota dopo l’espulsione della locale popolazione tedesca. Bohdan cerca di sfuggire a un passato segnato dalla Seconda guerra mondiale e di ricostruirsi una nuova vita con una ragazza anch’essa appena trasferitasi nella città. Al di là della semplice trama, “Nikt nie woła” è un film di grande bellezza visiva e dalle inquietanti atmosfere surreali. Si apre con le immagini dell’arrivo di Bohdan nella città sul tetto di un treno affollato di migranti, per chiudersi infine con le immagini della sua surreale partenza in solitudine su un poetico treno quasi astratto. In questo film il treno è un simbolo non tanto di morte, quanto piuttosto di transizione a un mondo alienato. Anche le atmosfere di “Szyfry” (“I codici”), film diretto da Has nel 1966, hanno toni surreali, sebbene siano prive dei momenti di gioia e speranza di “Nikt nie woła”. Tadeusz, un polacco emigrato a Parigi, parte per la Polonia alla ricerca del figlio minore Jędrek, probabilmente ucciso dai nazisti durante la guerra, ma che la madre ritiene possa essere ancora vivo. Il suo viaggio, a cui farà da guida l’altro figlio, Maciek, è l’occasione per una ricostruzione progressiva di vari episodi della guerra. Nel primo ricordo onirico che dà il via al suo viaggio verso la Polonia, Tadeusz “vede” un treno passeggeri fermo sui binari in mezzo ai campi e zeppo di viaggiatori pigiati come sardine in scatola. Tra di loro vi è anche Jędrek bambino, ma nonostante quest’ultimo lo chiami a gran voce, Tadeusz non lo scorge. Il treno è un normale treno passeggeri, ma il fatto che i viaggiatori vi siano stipati fino a quasi soffocarvi rimanda chiaramente ai treni che trasportavano i deportati ai campi di concentramento. La scena successiva mostra alcuni bambini che corrono verso dei binari ferroviari, tra di loro c’è anche Jędrek che al passaggio di un treno lancia un urlo. Il passaggio fluido alla scena successiva dà l’impressione che il treno sia quello su cui Tadeusz sta viaggiando verso la Polonia. Il padre sfoglia un libro di fotografie sui crimini nazisti e la prima immagine che ci viene mostrata è quella di un convoglio ferroviario che trasporta ebrei verso i lager. Poi il treno rallenta a causa di lavori sui binari e Tadeusz dal finestrino vede due operai che scavano una fossa la cui forma ricorda quella di una tomba. Il treno infine arriva a Cracovia, prima tappa del viaggio, dove Tadeusz trova ad aspettarlo accanto al treno appena fermatosi il figlio sopravvissuto Maciek (interpretato da Zbygniew Cybulski), che gli farà da accompagnatore per il resto del film nella lunga ricerca di Jędrek. Anche nel caso di “Szyfry” c’è un chiaro nesso tra il treno e la morte, e in particolare tra il treno e le deportazioni organizzate dai nazisti.
Abbiamo già visto l’attore Cybulski protagonista di due salti su treni in corsa nel film “Pociąg” del 1959. Alcuni anni dopo, nel 1965, l’attore ha interpretato il ruolo di protagonista di un film dal titolo programmatico “Salto” (anche nell’originale polacco), diretto dal regista e scrittore Tadeusz Konwicki. Grazie a un vero e proprio tour de force attoriale Cybulski è il fulcro dell’intero film, che narra dell’arrivo di un misterioso uomo (non se ne conosce nemmeno il nome, dice solo di essere stato noto in passato con il cognome di Kowalski o Malinowski) in un villaggio dove afferma di avere vissuto durante la Seconda guerra mondiale. Kowalski/Malinowski incontra gli abitanti del villaggio, alcuni sembrano avere qualche memoria di lui, ma la maggior parte di essi non ne conserva alcun ricordo. Tra gli altri incontra quella che asserisce essere la sua ex moglie e un attore ebreo che gli racconta di avere cambiato identità ben sette volte. In chiusura di questa miniodissea surreale Kowalski/Malinowski prende parte alla celebrazione di un non meglio precisato anniversario per poi abbandonare il villaggio. Il titolo “Salto” si spiega con le scene di apertura e chiusura del film: un treno in corsa, un uomo (Cybulski) in giacca di pelle e occhiali scuri si avvicina a una delle porte, si fa il segno della croce e salta dal vagone con un lungo balzo, poi si mette a correre nei campi voltandosi spesso indietro, come se temesse di essere inseguito, per giungere infine al villaggio. Al termine del film, dopo la celebrazione, Kowalski/Malinowski fugge con la stessa corsa convulsa e furtiva percorrendo all’inverso il medesimo percorso lungo il quale era giunto al villaggio, fino ad arrivare ai binari da dove era venuto. Proprio in quel momento passa un treno identico a quello dal quale era saltato al suo arrivo, e il protagonista balza al volo su un vagone verso una destinazione sconosciuta.
Vi è infine un altro film da citare, in cui il treno compare solo di sfuggita, ma con una forte valenza premonitrice. Si tratta di “Popiól i diament” (“Cenere e diamanti“) di Andrzej Wajda, il film simbolo della “scuola polacca” e uno dei capolavori del cinema europeo del secolo scorso. ” Popiól i diament ” è anche il film che ha consegnato alla storia del cinema il mito e l’icona del suo leggendario interprete, ancora una volta Cybulski, che vi interpreta il ruolo del protagonista Maciek. Qualche decina di secondi prima che Maciek venga colpito a morte, su un ponte che fa da sfondo a un primo piano del suo volto transita la sagoma nera di un treno, quasi un uccello del malaugurio. E proprio passando pochi attimi dopo sotto quel ponte ferroviario Maciek viene scoperto da un gruppo di soldati tedeschi, che lo feriscono in modo mortale mentre cerca di fuggire correndo a fianco della ferrovia sulla quale sta di nuovo passando un treno. Anche in questo film di Wajda treno e morte vanno a braccetto, e ancora una volta è il personaggio interpretato da Cybulski a essere messo direttamente in collegamento con il tema del treno.
Il treno come simbolo della morte, del destino cieco o dell’alienazione è quindi un motivo ricorrente, se non addirittura uno dei motivi centrali, del cinema della “scuola polacca”. Le ragioni di questa sua ripetuta presenza sono molteplici. Sicuramente la principale è che la Polonia è stata costantemente attraversata durante la Seconda guerra mondiale dai treni della morte che trasportavano i deportati verso i lager. Il treno simboleggia poi la transizione da un luogo all’altro, da un’era all’altra, un altro fattore che è ricollegabile alla sensazione di instabilità vissuta da un popolo come quello polacco, smembrato per lungo tempo e passato sotto diversi oppressori. Più in particolare, il treno può essere un sintomo del trauma causato dal tragico passaggio diretto dall’incubo del nazismo a quello dello stalinismo nel 1945, ma anche della transizione allora in corso dall’epoca stalinista a un futuro ancora ignoto. Come abbiamo visto, uno dei sotto-temi più rilevanti è quello del salto dal treno o sul treno, del quale l’interprete più rilevante è Zbigniew Cybulski. E come abbiamo visto c’è un forte nesso tra treno, morte incombente e la figura di Cybulski in un classico come “Popiól i diament”. L’attore è diventato nel corso della sua carriera un’icona inconfondibile del cinema polacco, non solo per i ruoli importanti che ha interpretato e per la sua bravura, ma anche per la sua inconfondibile mimica e poiché indossava quasi sempre giubbotti (spesso di pelle) e occhiali da sole. Questo particolare ha portato molti a definirlo il “James Dean del cinema polacco”, un paragone rafforzato dal fatto che anche Cybulski, come il suo collega americano, è morto prematuramente in un tragico incidente. Cybulski aveva una grande e pericolosa passione nella vita reale, quella di saltare sui treni in corsa. Questa passione alla fine gli è costata la vita: nel 1967, quando ancora non aveva compiuto quarant’anni, uno dei suoi frequenti salti non gli è riuscito e l’attore è finito sotto le ruote del treno morendo. La coincidenza con i ruoli da egli interpretati (ma anche con l’intero tema del treno simbolo di morte nel cinema della “scuola polacca”) è davvero stupefacente.
Tale è il segno lasciato dalla morte di Cybulski che il regista Andrzej Wajda ha cercato di esorcizzarla dedicando un intero film alla sua tragica scomparsa, “Wszystko na sprzedaż” (“Tutto in vendita”) del 1969. Si apre con la scena di un uomo, di cui non si distingue il volto, che entra correndo in una stazione e poi cerca più volte di saltare dal marciapiede su un treno già in corsa. Il suo tentativo fallisce e lo vediamo finire sotto le ruote di un vagone in corsa. Sembra una scena di morte, ma passato un istante lo vediamo emergere indenne dai binari. In realtà si sta solo girando un film, ma in questo “film nel film” l’attore che doveva interpretare la scena del salto fatale sul treno è irrintracciabile e così il regista stesso (che si chiama Andrzej proprio come Wajda) ha provato a interpretarla lui, ma tutti i membri della troupe giudicano il risultato insoddisfacente. “Wszystko na sprzedaż” verte interamente sull’inspiegabile irreperibilità dell’attore e sulla conseguente indecisione del regista e degli altri cineasti sul da farsi con il film. Alla fine si scopre che l’attore irrintracciabile è morto saltando da un treno in corsa e dopo alcuni momenti di indecisione il regista decide di portare a termine le riprese nonostante la tragica morte. Il tema del salto sul treno riemergerà ancora una volta in modo prepotente nel film di un altro maestro del cinema polacco, Krzysztof Kieślowski. “Przypadek” (letteralmente “Caso”, ma uscito in Italia con il titolo “Destino cieco“), del 1987, è con ogni probabilità un ulteriore tentativo di esorcizzare il fantasma della morte di Cybulski. Diviso in tre differenti episodi, il film narra di un giovane, Witek, che si reca in una stazione di Varsavia per prendere un treno, che però quando arriva al binario sta già partendo. Witek lo rincorre e, dopo avere evitato sul suo percorso diversi ostacoli tra cui un clochard che sta bevendo una birra, riesce infine a saltare su un vagone già in corsa. La successiva concatenazione dei fatti lo porterà a diventare un funzionario del Partito Operaio Unificato Polacco. Nel secondo e terzo episodio si ripete la stessa scena di rincorsa, ma in seguito a variazioni minimali degli incidenti di percorso il tentativo di Witek di saltare sul treno in corsa fallisce per un soffio, dando luogo a una concatenazione di eventi diversa che cambierà radicalmente il suo destino rispetto a quello del primo episodio. Non solo in “Przypadek” i due salti mancati prevalgono alla fine numericamente sull’unico riuscito, ma in realtà il film si apre e si chiude con le scene di un disastro aereo, che sarà poi quello che segnerà il destino ultimo di Witek. Siamo ormai negli anni in cui in Polonia il regime comunista è prossimo a crollare sotto la spinta di Solidarność, e il fatto che il tema di apertura e chiusura sia questa volta quello dell’aereo è un segno del cambiamento dei tempi: Kieślowski mette così a suo modo la parola fine a un capitolo del cinema del suo paese. Ma ancora oggi vale la pena fare un salto sul “treno fatale” del cinema polacco degli anni cinquanta e sessanta per percorrere sui suoi vagoni binari che ci portano a conoscere alcuni tra i migliori film di quell’epoca.
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