Toksymia – l’orrore trasformato in meringa

Toksymia PoloniCult Cover

Toksymia di Małgorzata Rejmer è un romanzo multivocale affascinante, in diretta dalla periferia di Varsavia.

di Francesco Annicchiarico

Provo a raccontare una storia.

Ero naturalmente a Varsavia, nel 2010, unica città d’Europa capace di offrire masochismo letterario e sedute di alcolismo esistenziale a prezzi ragionevoli. Come tutti sanno, Varsavia ha una gran fame di cambiamento, anche troppo repentino. Non si fa in tempo ad affezionarsi a un posto che al prossimo ritorno già si rischia di trovarci un centro scommesse, o addirittura un parcheggio al suo posto. È successo anche a me, affezionato cliente dei bar esistenzialisti per mod, punk e rastaman fuori corso di ulica Dobra, in zona Powiśle, chiamati Jadłodajnia Filozoficzna, Aurora e Czarny Lew. Erano tre locali l’uno di fianco all’altro, perennemente aperti, giusto di fronte al caffè letterario Czuły Barbarzyńca. Tra le pile di libri alla cassa, il Barbaro sensibile aveva esposto anche questo libro bizzarro, Toksymia, a firma di Małgorzata Rejmer, edito da Lampa i Iskra Boża edizione brossurata illustrata da Maciej Sieńczyk.

Debutto da giovane dottoranda dell’UW, oggi Małgorzata Rejmer è una romanziera con all’attivo due libri, Toksymia e Bukareszt. Kurz i krew (Bucarest. Sangue e polvere) wyd. Czarne, 2013. Per questo reportage l’autrice è stata nominata al Paszport Polityki dello stesso anno, uno dei maggiori premi letterari nazionali. La Rejmer ha inoltre vinto il Planete Doc Review per la categoria reportage (2008), e il premio Newsweek – Teresa Torańska per Bukareszt. Kurz i krew (2013).

Toksymia era collocato accanto ad alcuni classici polacchi e cechi, che all’epoca e in quel posto preciso erano costantemente disponibili, e in Italia invece sempre fuori catalogo. Era un bel posto, Czuły Barbarzyńca, un caffè dove i fuori tempo massimo come me erano protetti dal dinamismo esterno della città.

Mi sentii subito in sintonia con il titolo, che esprimeva bene la natura tossica delle mie relazioni universitarie, manco a dirlo, fuori corso. Lo comprai senza aspettare troppo, sbirciando appena alcune critiche di circostanza sulla quarta di copertina:

Tak dobry debiut nie zdarza się ostatnio często, Justyna Sobolewska, Polityka (qui)
[Un debutto così buono non capita spesso ultimamente]
Postaci i niektóre koncepty fabularne „Toksymii” warte są każdych pieniędzy. Humor języka Małgorzaty Rejmer potrafi przemienić ohydę w tort bezowy, Tadeusz Nyczek, Przekrój
[I personaggi e alcuni spunti della trama di Toksymia valgono tutti i soldi spesi. L’umorismo linguistico di Małgorzata Rejmer riesce a trasformare l’orrore in una torta alle meringhe]

due testate di sicura presa. E poi trasformare l’orrore in una torta alle meringhe mi sembrava un’ottima prospettiva, una sensazione che avrei potuto esportare in Italia, almeno pensarci quando avrei pensato alla mia situazione universitaria.

E eccoci al libro. È la storia di sei personaggi che abitano nel popolare quartiere Grochów di Varsavia. Ada Amek, magra come un chiodo, brutta e vessata dal padre anziano e ipocondriaco, che la minaccia costantemente di suicidio; Jan Niedziela, scrittore di sensazionali necrologi, incapace di mostrarsi alla luce del sole e di stabilire una relazione con le donne, che si innamorerà della vicina del secondo piano, Ada Amek, dopo un rocambolesco rapporto sessuale; Lucyna Łut, vedova devotissima del marito perditempo Ryszard, accanita ricercatrice di ogni possibile manifestazione divina, convinta di essere il braccio armato dello spirito santo; Anna e il signor Tadeusz: lui anziano ex combattente dell’insurrezione di Varsavia che si innamora subito di lei, Anna, arrivata un giorno a casa sua per intervistarlo e raccogliere le sue memorie di guerra: è un amore assurdo e morboso, fatto di regali squallidi e appostamenti diurni, fino a un tragicomico finale; Longin, tranviere ma soprattutto incompiuto talento letterario costretto al mestiere dalla moglie avida e materialista, causerà l’incidente che determinerà il destino di tutti i personaggi. Tormentati dal freddo di un’estate gelida come la solitudine, fredda come non si era mai vista a Varsavia, anaffettivi, chiusi nel loro drammatico egoismo.

Come nelle migliori commedie, non ci sarebbe niente da ridere.

In fondo è una storia di esseri umani vessati e disperati, in cui l’idea della morte accompagna con costanza i personaggi del libro, eppure: la Rejmer racconta le vicende con un’ottica grottesca, e l’assurdo sembra plausibile, e la loro resistenza diventa esilarante, esplosioni vitali in una realtà che pare non lasci respiro.

Si ride amaro, forse compiacendosi delle sfortune degli altri, ma in fondo noi italiani, con i polacchi condividiamo un certo gusto per il sarcasmo cattivo. Non credo ci siano molte letterature in grado di fare autoironia con il masochismo tipico dei polacchi. È un aspetto importante, avvicina le noste culture.

Così quindi, si ride delle disgrazie dei personaggi, il finale è dolce-amaro, senza troppe consolazioni, se non appunto tragiche.

Libro di 192 pagine, qualcuna in più, qualcuna in meno se si considerano le illustrazioni dell’ottimo Sieńczyk, davvero espressive del gusto generale. Diritti disponibili (se casomai…).

Ho tradotto per Polonicult un intero capitolo, il secondo, dedicato a Jan Niedziela, il personaggio che più mi è simpatico in questa bizzarra commedia di solitudini inflitte. Spero apprezziate lo sforzo e vi auguro una piacevole lettura.

Post-scriptum

Il Filozoficzna è stato chiuso, così come il Czarny lew, l’Aurora (oh! Aurora…) e il Czuły Barbarzyńca di cui tuttavia si segnala uno spostamento all’interno del Nowy Teatr. Io riscattai il mio essere fuori corso laureandomi poco dopo e da allora ho cominciato a fare la spola tra Varsavia e Italia senza sosta, senza mai pensare di fermarmi. Non ho mai capito perché in Polonia hanno tutti una gran fretta di dimenticare, o una gran fretta e basta, e neanche perché l’estraneo che si siede al tavolo del bar mleczny dica dziękuję quando va via. Forse devo solo resistere alla fretta, soprattutto dove ce n’è più bisogno, come a Varsavia, forse devo solo dire nie ma za co alla fine dei pasti.

Non vorrei sembrare scortese.

Per leggere un estratto del romanzo in traduzione italiana clicca qui.

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