Tempo di seconda mano è la fatica più recente della fresca vincitrice del premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksevic.
di Salvatore GrecoHo letto Tempo di seconda mano qualche mese fa, ironicamente arrivando all’edizione italiana (curata splendidamente dai tipi di Bompiani) passando prima da quella polacca – imbastita dal gigante editoriale che sulla Vistola ha dato e continua a dare lustro alla grande scuola del reportage polacco: Czarne. C’ero arrivato proprio sbocconcellando il bellissimo catalogo di Czarne in cerca di non so bene cosa e quel titolo mi aveva colpito per la sua potenza; Tempo di seconda mano (in polacco Czasy second-hand) raccontava già solo con quattro parole una dimensione temporale, emotiva e sociale potentissima. Il libro che ho poi letto era piuttosto diverso da come me lo aspettavo, ma nonostante questo non mi ero sbagliato affatto, ero di fronte a un libro di una capacità inestimabile che non a caso oggi è valso il Nobel alla sua autrice. Ma andiamo per gradi.
Svetlana Aleksevic è tutto meno che una sconosciuta nel panorama editoriale internazionale, continua la tradizione di premi Nobel generalmente non poi così noti al grande pubblico, ma nemmeno è un’autrice di cui ci si possa dire -da novelli Don Abbondio- e chi è costei?
Madrelingua russa e cittadina sovietica per più di quarant’anni, nata nel 1948 a Ivano-Frankovsk (oggi Stanislav) nell’allora repubblica sovietica d’Ucraina da una coppia mista bielorussa e ucraina, Svetlana -o Svjatlana- Aleksevic è insomma una figlia randagia di tutte le Russie, osservatrice privilegiata per posizione e acume di un mondo in disgregazione, narratrice impeccabile e meritevole del più alto riconoscimento al mondo per la letteratura per via de ” la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo”. Non bastano certo queste poche frasi a raccontare una vita in prima linea oltrecortina (il suo riuscitissimo e amatissimo Preghiera per Cernobyl è ancora oggi uno dei reportage più belli mai scritti sul tema) e uno stile narrativo ficcante, quasi violento e senza filtri che la rende quasi unica in un mondo -quello del reportage- in cui tutto o quasi passa dal largo setaccio di una marcata voce d’autore.
Invece, scendendo nel particolare, quello che rende un libro di intensità inarrivabile Tempo di seconda mano è proprio la sua composizione praticamente mai tradita di flussi di parole in libertà, è la gente di Russia che parla per mano di Svetlana Aleksevic, selezionata, raccolta, compresa e raccontata. Senza didascalie.
Tempo di seconda mano, in brevissima sintesi, più che un canonico reportage è un collage caleidoscopico di testimonianze del momento più delicato e drammatico della storia russa recente: il crollo dell’Unione Sovietica e la fine del socialismo. Salutato dai progressisti liberali come il meritato ossigeno per la Russia, dai socialisti come un autentico lutto e così via, ancora oggi quello che per il Paese più grande della terra è stato un terremoto di dimensioni impensabili viene raccontato come se a viverlo fossero stati solo El’cin e Gorbacev. Ma non si può nemmeno parlare della Russia di oggi senza immaginarne il trascorso umano degli abitanti colpiti loro malgrado da eventi quasi incomprensibili. Anziani vicini alla pensione costretti a invecchiare in un mondo sconosciuto, adulti costretti a reinventarsi (o felici di farlo, ovviamente), giovani esaltati, altri ancora più giovani per cui il comunismo è solo una roba dei padri: Svetlana Aleksevic ha girato la Russia e li ha fatti parlare tutti, proprio tutti.
Quello che esce da questo racconto polifonico e multivocale è un mondo traumatizzato con pochi vincitori, molti vinti e una sofferenza confusa e condivisa dagli uni e dagli altri, solo con diversi gradi di coscienza. Ne risulta che gli uomini e le donne a cui viene data voce -nessuno escluso- sembrano avidamente desiderosi di raccontarsi, sintomo forse del bisogno di chiarirsi per una comunità che da sempre si gloria e al contempo soffre della sua eccessiva vastità; l’urgenza emotiva delle loro testimonianze è vera disperazione, quella di chi anche nel benessere sa di stare vivendo una storia altrui, lasciata lì da chi l’ha spolpata abbastanza da sentirne l’amaro, un tempo di seconda mano insomma.
E così tra gli intellettuali sballottati improvvisamente da un mondo che li esaltava e nobilitava a uno che li deride per quanto sono incapaci di arricchirsi, tra i fedeli increduli per un socialismo che speravano più giusto e anche tra i profeti delle mirabili sorti e progressive del capitalismo, tra le madri straziate e i figli sperduti c’è una gara a riscoprirsi e a salvarsi mentre le priorità cambiano drasticamente e in cima ai desideri dei più c’è… il salame. Ironico alfiere del benessere più semplice e quindi anche il più desiderato, il salame che torna spesso nelle voci degli eroi picareschi di Svetlana Aleksevic sembra ergersi a simbolo beffardo di una nazione che ha perso persino l’identità correndo dietro a un insaccato.
Tempo di seconda mano restituisce tutto questo con un’amarezza e un dolore che l’autrice fa passare attraverso i suoi intervistati quasi scansandosene; quali tempi amari e privi d’identità viva l’ex blocco sovietico oggi ai tempi del disincanto da fine del sogno capitalistico non sta alla Aleksevic dirlo. Che lo pensi o meno, che condivida dalla sua piccola patria bielorussa la narrazione di un mondo finito e svenduto non è questione che riguardi lei, riguarda piuttosto il catalogo di sventurati argonauti del gorbacevismo che la sua penna, il suo taccuino e il suo registratore hanno incontrato e raccolto in giro per la Russia, sui suoi treni, le sue strade, le sue piazze testimoni di una Storia che ancora fa le sue vittime.
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