Angelika Kuźniak – Papusza

Kuźniak

Papusza is an author who goes beyond any label. She was a Polish poet but of Romani descent and nobody knew about her or when and where she was born. Perhaps had not Jerzy Ficowski made her known by spreading her poems she would have stayed unknown. However, due to this reason, Papusza’s story is striking and fascinating. She grew up a simple and apparently uncouth woman and yet she was deep and suffering. This woman was portrayed in a movie by Krzysztof and Joanna Krauze in 2013 and, one year earlier, in a book published by Czarne and written by Angelika Kuźniak; its title? Just Papusza.

To dig deeper into a book that its own publisher labels as reportage, but that is actually much more complex than that just like Papusza herself was, we talked with the author. Kuźniak is a writer whose books are akin to portraits of exceptional women where words help drawing a perfectly balanced picture between subtlety and in-depth analysis.

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Granice marzeń – viaggio ai quasi confini dell’ex-URSS

Granice marzeń PoloniCult

Inizia così Ryszard Kapuściński il secondo capitolo del suo Imperium, libro che raccoglie appunti di viaggio e articoli che il grande maestro del reportage polacco ha dedicato all’ingombrante e affascinante vicino della Polonia, quella creatura che nel breve corso di un secolo ha cambiato almeno tre volte nomi e forme, prima Impero Russo, poi Unione Sovietica, oggi Federazione russa. Le frontiere di quella creatura imponente sono cambiate a loro volta assieme ai nomi, quasi mai passando inosservate, quasi sempre trascinando con sé i destini di uomini e donne, o più spesso di popoli interi. A venticinque anni dalla pubblicazione di Imperium, un reporter polacco è tornato su quelle frontiere, in particolare su quelle che la frammentazione dell’imperium (prima imperiale, poi sovietico, oggi repubblicano) ha lasciato dietro di sé o a volte ha creato ad arte: quel reporter è Tomasz Grzywaczewski e il risultato dei suoi viaggi è uscito nel febbraio del 2018 per Czarne con l’eloquente titolo di Granice marzeń. O państwach nieuznawanych (Le frontiere dei sogni. Sugli Stati non riconosciuti).

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A quick guide to the Polish reportage

Polish Reportage

One of the very first things foreigners may notice once they arrive in Poland or move there is that people still read on public transports. Polish commuters flip through free press and chick-lit, but prefer engrossing themselves in quality dailies such as Gazeta Wyborcza and Rzeczpospolita or in weeklies such as Polityka or Newsweek Polska. What they seem to enjoy even more, though, is good old paper books with the occasional e-book reader popping up. By looking at or asking what kind of stuff Poles read, the foreign observer will soon find out that it’s mostly non-fiction. And their subject of choice is often a specific kind of journalism known as reportage here. The term dates back to the 17th century French verb ‘reporter’ meaning to ‘carry back.’ However, in both British and American English reportage is rarely used.

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Kazimierz Nowak: l’Africa in bicicletta

Kazimierz Nowak PoloniCult

L’approvazione di Ryszard Kapuściński in copertina è un bel biglietto da visita per un libro, per quanto talvolta abusato. Non però in questo caso. ‘Rowerem i pieszo przez Czarny Ląd‘ (In bicicletta e a piedi attraverso il Continente Nero) di Kazimierz Nowak è davvero uno di quei libri che restano impressi. Un’opera e un autore che potrebbero dire poco al lettore italiano, e forse anche a quello polacco, ma per i quali un processo di riscoperta internazionale sembra essere in corso. La dimostrazione sta nella splendida edizione inglese del libro, intitolata ‘Across the Dark Continent‘ e tradotta da Ida Naruscewicz-Rodger. L’opera è stata pubblicata dall’editore polacco Sorus con il patrocinio della Fundacja im Kazimierza Nowaka a fine 2017, a diciassette anni dall’uscita dell’edizione originaria. E il sito ufficiale dedicato a Kazimierz Nowak è una miniera di informazioni in sei lingue: polacco, inglese, tedesco, francese, arabo e italiano.

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Vagabondi notturni – Jagielski nell’Uganda dei bambini-soldato

Vagabondi notturni PoloniCult

Quando nel 1962 Ryszard Kapuściński pubblicava il suo primo libro, Giungla polacca, Wojciech Jagielski aveva da poco imparato a parlare dal momento che allora aveva appena due anni. Eppure tra i due autori ci sono un’affinità stilistica e una continuità di spirito che è difficile pensare non abbiano condiviso mille viaggi e avventure. Ad animare entrambi non solo la militanza tra le file della leggendaria agenzia di stampa PAP ma anche reportage vissuti dagli angoli più sventurati del pianeta, teatri di guerra perlopiù, e raccontati con uno stile che non rinuncia alla prosa lavorata e persino a un certo lirismo quando l’occasione lo consente. Se di Kapuściński abbiamo la fortuna di poter leggere in italiano molto, se non quasi tutto, con Jagielski le fortune sono ancora ridotte a un paio di titoli, uno di questi è Vagabondi notturni.

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A tale of two cities: Nowa Huta

Nowa Huta – so many things.

From a merely cadastral standpoint, Nowa Huta is the easternmost district of Krakow, the XVIII. It is, also, one of the few places in Poland inhabited without gaps since the Neolithic Era; subsequently, the site is home to a large Celtic outpost as well as to the country’s oldest Slavic settlement. Later on, it appears to be linked with the city’s eponymous founder, Krakus, and with his daughter, whose mortal spoils rest underneath the Wanda Mound (Kopiec Wandy), a few kilometres away [1].

Still afterwards, Nowa Huta becomes grange to the Cistercian monastery of Mogiła. In due course the outskirts of the yet-to-be-recognised district are included in the border between territories controlled by Austria-Hungary and Russia. After 1945, the socialist regime decides to erect a satellite city combined with a vast industrial complex, in part to attract people from the countryside and to abash the resistance of the city’s middle class.

In Polish, Nowa Huta means “New Steelworks”.

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O Canada! – il regno liberale dei balocchi visto dalla Polonia

Canada

I vari capitoli via via dedicati da noi di PoloniCult alla fertile vena del reportage polacco hanno gettato uno sguardo attento sulla capacità del reportage in Polonia di farsi osservatore e narratore anche di realtà geograficamente e culturalmente lontane dal Paese sulla Vistola. Un recentissimo esempio di questa felice tendenza è il libro da poco uscito per l’editore Agora a firma della giornalista di Gazeta Wyborcza Katarzyna Węzyk: Kanada, ulubiony kraj świata (Canada, il mio Paese preferito al mondo). Kanada, più che un libro uniforme, è una silloge di vari reportage in forma di feuilleton che l’autrice ha dedicato al Canada da inviata di Gazeta Wyborcza in seguito alla rielezione a Primo Ministro di Justin Trudeau. Nei fatti però l’elezione di Trudeau e il ritratto che ne consegue sono solo l’antefatto a un reportage che partendo da toni leggeri e frizzanti riesce poi ad approfondire temi profondi, complessi e talvolta non privi di un lato oscuro.

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Żeby nie było śladów – Il racconto di una storia sbagliata

Zeby nie bylo sladow

In un giorno di maggio un diciannovenne decide di fare un giro in centro con un gruppo di amici per festeggiare la fine degli esami di maturità. Ritenuto troppo rumoroso e trovato senza documenti, viene fermato dalla polizia, condotto in commissariato per l’interrogatorio. Alle domande si alternano calci, pugni e manganellate. Il ragazzo, congedato, finisce velocemente in ospedale dove muore due giorni dopo. Nei giorni, mesi, anni successivi il dolore della famiglia e la volontà di giustizia di chi gli sta attorno si scontrano con la rete di omertà e autodifesa dei corpi di polizia e di chi li gestisce.

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Wszystkie dzieci Louisa – figli della stessa rabbia

Formato alla professionalità di un genere dai toni molto definiti ma anche capace di porre l’accento sul carattere letterario (in senso estetico) dell’opera, anche nella scelta dei temi Bałuk ha puntato a sparigliare le carte rispetto ai canoni classici del reportage. Innanzitutto l’ambientazione, quella dei civilissimi (e quindi apparentemente noiosissimi) Paesi Bassi, così lontani nello spirito dall’esotismo africano ma anche dall’eterno dibattito sulle sorti dei Paesi ex-socialisti; e poi la vicenda stessa di Wszystkie dzieci Louisa, che non tocca i piani distanti di grandi e irrisolti questioni storico-politiche ma pone il focus su storie umane, personali, di interesse e respiro più grande, ma comunque legate al destino di uomini con nome, cognome e una propria vita. E sono proprio le vite di quei figli di Louis che Bałuk racconta, prendendoli per mano e accompagnandoli nella ricomposizione di un’esistenza spezzata che unisce tutti loro, gente diversa per origini, vocazioni e tutto, uniti però dal dna, essendo tutti figli nati da un donatore di sperma, dallo stesso donatore per tutti loro, quello che oggi chiameremo Louis.

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Nowa Huta – I, too, am Cracow

Nowa Huta Oggi

La settimana scorsa Roberto alla fine del suo articolo scriveva “Non c’è presente senza cura del passato e delle sue tracce” e questa sua frase mi ha fatto venire in mente una cosa che scrissi io in un saggio di sociologia in cui descrivevo due tipologie di villaggi operai, Nowa Huta e Crespi d’Adda. Proprio in conclusione del saggio mi riferivo all’umanità che abita Nowa Huta come “persone che vivono confrontandosi continuamente con il passato ma guardando avanti”. E oggi cercherò di dimostrarlo.

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