Stara rzeka, un vecchio fiume di ambient lo-fi.

Stara Rzeka PoloniCult

Stara rzeka è il nome del progetto solista del polistrumentista Kuba Ziołek, un misto di suggestioni ricchissime.

di Salvatore Greco

Jakub Ziołek, per gli amici Kuba, è un polistrumentista di Bydgoszcz dallo spropositato talento, forse pure fin troppo da poter essere domato. Non stiamo parlando di un tormentato rocker o un frenetico jazzista, ma di un uomo che ha approfondito la sua musica con vari progetti e ora ne ha iniziato uno da solista. Kuba Ziołek oggi vive in campagna e il suo progetto si chiama come il villaggio che lo ospita: Stara Rzeka.

Due dischi all’attivo per lui in quanto Stara Rzeka, il primo è dell’anno scorso e si chiama Cień chmury nad ukrytym polem, vale a dire “l’ombra delle nuvole su di un campo nascosto”. Titolo vago e onirico per un album che lo è altrettanto. Quello che colpisce da subito di questa esperienza sonora è che Stara Rzeka sa fare praticamente tutto e mixa le sue varie attitudini sonore quasi al frullatore. Il risultato, sulle prime, è sconvolgente e quasi un po’ molesto, ma dopo un po’ l’ascolto diventa gradevole e persino affascinato.

Apre il disco il brano qui sopra citato “Przebudzenie Boga Wschodu” (Il risveglio del Dio d’oriente) che parte con un arpeggio di chitarra abbastanza classico e molto acustico per poi subire variazioni di ritmo, tema e atmosfera notevoli ma comunque fluide e graduate. Sulla chitarra infatti scende una “nube” di interferenze elettroniche degna della primigenia Jessica Bailiff e poi assume una potenza quasi prog  in accordi che accellerano mentre le atmosfere del synth continuano a crescere di intensità salvo poi rallentare di nuovo e lasciare spazio a suoni elettronici convulsi che tolgono completamente la scena alla chitarra spostando l’atmosfera dal folk lo-fi a una curiosa forma di post-industrial. Insomma, il brano dura dodici minuti e analizzarlo tutto sul piano stilistico sarebbe opera filologica degna di tal nome. Comunque sia, i passaggi stilistici determinano tanto l’eclettismo quanto la “brama” di fare. Nemmeno il tempo di abituarsi a questi ritmi comunque lenti e onirici con tracce evidenti di kraut-rock di marca germanica che il secondo brano del disco Tej nocy broń nas od złego (stanotte proteggici dal male) arriva improvvisa come una martellata con elementi stilistici che niente avrebbero da invidiare al più classico repertorio black-metal. Chitarre furiose, ritmi forsennati e pure un canto growl di discreto livello. Pregevole da un punto di vista tecnico, ma assolutamente incomprensibile all’interno di un album del genere, salvo poi sterzare in maniera improvvisa a metà traccia e tornare sui ritmi confortevoli di un arpeggio acustico accompagnato da suoni ambient di repertorio.

Il disco continua con la title-track che è certamente il brano meglio riuscito, un ambient puro degno del miglior Jacaszek con voci registrate da sottofondo spettrale a suoni elettronici manipolati con abilità e gusto che i veri appassionati del genere sapranno riconoscere come valore assoluto.

Segue un brano decisamente più debole ma interessante se non altro nelle intenzioni, chitarra acustica a bassa frequenza che scalderà i cuori di chi (come me) è un fan mai domo dei My bloody Valentine ma che aggiunge poco -qui- in quanto a riverberi elettronici, il che è davvero un peccato vista la sapienza dimostrata con questi strumenti dal nostro Stara Rzeka nei brani precedenti. Dopo un altro brano in cui la sperimentazione è andata decisamente troppo oltre, la chicca vera è nel finale con una cover d’eccellenza. My only child di Nico -la “voce femminile” dei Velvet Underground, lo dico in maniera estremamente sintetica per chi non la riconoscesse al solo nome- dilatata all’estremo e articolata in fasi diverse, come al solito, che Stara Rzeka orchestra prima in uno spazio vuoto, poi con l’accompagnamento di un organo, poi ancora suoni sporchi tipici della drone-music che si completano in una festosa conclusione elettronica. Impossibile descriverla meglio di così, bisogna solo prendersi dodici minuti e ventidue secondi di contemplazione e ascoltarla:

Molti nell’ambiente della musica elettronica underground hanno attaccato Stara Rzeka trovando nel suo disperato eclettismo una forma di sciocco esibizionismo e la fondamentale mancanza di una vera e propria ispirazione capace di incanalare questi -meritevoli- stimoli e sprazzi di puro talento. Critiche pur ragionevoli a un disco che effettivamente non trova la sua ragion d’essere del tutto e a cui lo stesso artista deve aver pensato quando un anno dopo, nell’ottobre del 2014, si è presentato con un nuovo lavoro, composto da una sola traccia molto più organica.

Chi conosce davvero l’ambient e il new classical non si stupirà del fatto che il nuovo lavoro di Stara Rzeka (che si chiama anch’esso Stara Rzeka) sia composto da un solo brano, che però è anche piuttosto breve. Lavoro che l’etichetta spiega in questo modo:

il villaggio di Stara Rzeka e le zone intorno sono stati devastati da un tornado il 14 luglio del 2012. Stara Rzeka è il luogo dove il musicista Kuba Ziołek passa l’estate e la mattina successiva alla tempesta era presente a testimoniare quanto accaduto. Questo brano apre al crepitio elettrico dell’elettricità nell’aria e a una distinta impressione di minaccia. La distorsione si addolcisce, ma non scompare mai del tutto e accompagna tutto il brano; una delicata e melancolica ode alla natura devastata dalla tempesta. Alla fine pure la presenza umana, come l’uragano, lascia che la composizione vada da sé, suoni come la terra stessa; ferita ma gorgogliante vita, animata e psichedelica.
Il fatto che l’artista, la musica e il luogo esistano tutti sotto lo stesso cielo suggerisce come questi elementi siano interdipententi e inseparabili. Questa è musica tanto elegiaca quanto sanguigna ed eterna in quanto scolpita nel tempo e Stara Rzeka è tutto questo“.

Parole forse un po’ retoriche, ma che danno l’idea di come -seppure in modo violento- l’ispirazione reale sia arrivata a domare e indirizzare il talento di Stara Rzeka entro confini comprensibili. Il brano effettivamente pulsa di elettricità e cerca di rendere la natura, di narrarla, di confrontarcisi e di fondersi con essa. La strada è lunga e la speranza è che non servano altre tempeste per tracciarla, ma è quella giusta perché la musica polacca ci regali un altro fenomenale esponente dell’elettronica “colta”.

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