Sanatorium pod klepsydrą: alla ricerca di un tempo perduto.

Sanatorium pod klepsydrą

Un viaggio attraverso la clessidra della memoria con Sanatoirum pod klepsydrą di Has.

 

di Mara Giacalone

 

Come si fa a rappresentare una storia, quando questa non esiste ed è mera somma di immagini interiori che si mescolano e accavallano? Quando il Tempo non solo ci viene sottratto, ma si prende gioco di noi? Quando il tempo personale, interno e onirico si sovrappone e amalgama con quello esterno, reale…?

Nel 1973 uscì la pellicola Sanatorium pod klepsydrą per la regia di Wojciech Has, premiata dalla critica a Cannes e ispirata alle due raccolte di storie di Bruno Schulz: Le botteghe color cannella e Il sanatorio all’insegna della clessidra facilmente reperibili nell’edizione Einaudi che contiene anche alcuni saggi dell’autore.

Il film prende come titolo quello della seconda raccolta, in quanto l’intento del regista è quello di sottolineare la dialettica memoria/ricordo:  l’accento viene così a cadere sulla dimensione spazio-temporale dell’infanzia di Józef, la quale riemerge in modo casuale e incosciente come durante una seduta di piscoanalisi. Ed è forse per questo motivo che risulta difficile riassumere la trama.

La prima immagine che abbiamo è quella di un vagone ferroviario buio dove la gente si trova  come a caso, uno spazio  pieno di cianfrusaglie, di paccotiglia – tandety nel testo polacco. Vediamo un uomo sorreggere i rotoli della Torah e pochi istanti dopo una donna con il seno totalmente scoperto. Józef arriva solo per ultimo, richiamato dal bigliettaio che lo avvisa di essere arrivato a destinazione. Giungiamo così nella clinica del Dottor Gotard, dove tutto assume un’aria dismessa, in rovina, come se in quel luogo il tempo e lo spazio fossero cristallizati in un’istantanea, ma allo stesso tempo il processo di disfacimento appare accelerato ed inesorabile. E che ci siano problemi con il tempo lo capiamo subito, quando Józef chiede spiegazioni in merito alla morte del padre.

“Certo che è vivo. Naturalmente nei limiti concessi dalla situazione. […] Il trucco consiste in questo, abbiamo retrocesso il tempo. Noi lo ritardiamo di un certo intervallo di cui non è possibile determinare l’entità. La cosa si riduce ad un puro e semplice relativismo.”

Józef si trova dunque in balia di fenomeni che non comprende appieno, ma sembra che l’unica cosa ad essereSanatorium pod klepsydrą importante sia il fatto che a suo padre Jakub sia concesso altro tempo, più tempo: il come è superfluo… Guardando fuori dalla finestra della camera in cui è ricoverato il padre, all’inizio  il protagonista vede un bambino e poi se stesso al momento del suo arrivo al Sanatorio: questa volta, però, invece di trovare il portone sbarrato da lapidi ebraiche, Rudolf lo apre per lui permettendogli di entrare. Cosa è accaduto? Potremmo dire che siamo in presenza di una sovrapposizione di spazi temporali, in un qualcosa di fantascientifico, oppure, molto più schulzianamente, di onirico. Abbiamo già visto come il tempo all’interno della clinica sia manipolato, ebbene,  Józef si trova anche lui vittima di questo gioco, vittima di una clessidra i cui granelli di sabbia sono evidentemente difettosi.

Il portone appare così come una sorta di portale magico che introduce in un altro mondo. Oppure no. Oppure il portone che sia apre simboleggia gli occhi di Józef che si sbarrano perchè si addormenta, d’altronde il Dottore lo aveva avvisato che i pazienti dormono per la maggior parte del tempo… Quello che succede alla narrazione è una sovrapposizione di immagini che si rincorrono e storie che scivolano in altre storie che non concludono. Józef si aggira in un labirinto di stanze, luoghi, fantasie che lo confondono, lo entusiasmano, lo spaventano: è vittima di un vortice, quello della memoria -sua e collettiva-, che non lo abbandona ma che lo attira verso il centro fino a stritolarlo e soffocarlo, fino a quando non vi si perde del tutto. Ma quale è questo centro?  Non è altro che il Sanatorio. Vi fa ritorno – ma forse non se ne è nemmeno mai andato – in uno stato confuso, catatonico, lo sguardo fisso, come se avesse perso la facoltà visiva, con le sembianze di uno spettro. Non può abbandonare la clinica. Il Dottor Gotard gli mette così addosso un’uniforme dismessa da capotreno, lo munisce di lanterna e lo indirizza chissà dove: Józef è condannato a vagare, perso nello spazio e nel tempo come un eterno Jack o’ lantern. Nella scena finale, lo vediamo cadere su una lapide ebraica e poi arrampicarsi sopra di essa per uscire in un cimitero – anch’esso ebraico- illuminato dalla luce delle candele…

Has definì il suo cinema “poetico”, sottolineando come per lui una grande fonte di ispirazione fosse la poesia e specialmente quella della tradizione romantica, così carica di magia e in grado di regalare la mutevolezza di un caleidoscopio e una realtà carica a livelllo di emozioni. Ovviamente Schulz non è collocabile al fianco di un Mickiewicz, ma tutti i suoi testi trasudano magia, onirismo. Tuffarsi a capofitto tra le sue pagine equivale davvero a guardare la realtà attraverso un caleidoscopio, una realtà -come i suoi disegni- sfuggente, circense in un certo senso e soprattutto magica. La prosa schulziana trova, nella realizzazione di Has, una forma davvero compiuta. Partendo dalla passione per l’arte grafica, Schulz più che scrivere, dipinge quadri che solleticano tutti i nostri sensi: usa rumori, colori, profumi, gusti e sensazioni tattili. La pellicola non fa altro che rendere concrete queste immagini e il come è surreale, magnifico e speciale.

Certamente per chi non conosce la prosa da cui trae origine, può essere complicato seguire le peripezie di Józef all’interno della sua memoria, ma anche per i lettori di Schulz qualcosa rimane sempre sfuggente, evanescente: il protagonista e il suo Tempo ci volano via davanti al naso come farfalle colorate e inarrestabili.

Sanatorium pod klepsydra

Il tempo e il ricordo vanno a formare le rovine della memoria, e se nei testi questo sostrato si riflette solo a livello autobiografico, con riferimenti romanzati all’infanzia e a sporadici bagliori della vita negli shtetl, in Sanatorium pod klepsydrą il passato di Józef -il suo passato ebraico – si lega indissolubilmente alla Memoria, quella con la M maiuscola. Has legge e inserisce in modo armonioso, organico e simbolico gli avvenimenti che hanno coinvolto e sconvolto gli ebrei in Polonia. Tutto il film è permeato dalle immagini di lapidi ebraiche  – matzevot- come a monito di una Memoria, di un Passato, di un Tempo che non può e non deve essere dimenticato ma che torna sempre e ripetutamente, come nel film.

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