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Photo by M. Starzyński
Intervista con Rafał Kosik, scrittore di fantascienza sociologica e fondatore della casa editrice Powergraph.
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di Salvatore Greco e Francesco Annicchiarico
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La fantascienza in Polonia scoppia di salute. È un genere ricco, amato dai lettori, che vanta rappresentanti di altissimo livello apprezzati dal pubblico specializzato quanto da quello generalista. Anche agli occhi della critica poi, superano la distinzione salottiera che lo vorrebbe intrattenimento più che letteratura.
Buona parte del merito è certamente dei grandi maestri del passato come Stanisław Lem o Jacek Dukaj, ma passa anche per il talento e la lucidità degli scrittori della nuova onda della fantascienza polacca. Uno di loro è Rafał Kosik, autore eclettico e prolifico di romanzi distopici e anche di due serie di romanzi per giovani e giovanissimi lettori. Il suo ultimo romanzo, Różaniec (Il rosario, 2017), è un thriller futuristico di grande intensità narrativa e intessuto di domande che accompagnano il lettore durante la lettura e anche dopo. Domande che solo la fantascienza, portandole all’estremo, sa porre con efficacia e che riguardano i grandi temi del nostro tempo.
Oltre che scrittore, Kosik è anche titolare, assieme alla moglie Katarzyna Sienkiewicz-Kosik, della casa editrice Powergraph che pubblica alcuni dei maggiori successi della fantascienza e del fantasy in Polonia ancora inediti in Italia.
Abbiamo incontrato Rafał Kosik a Varsavia per farci raccontare il suo lavoro, le sue idee e il suo rapporto con la fantascienza e con la letteratura tout court.
FA: Com’è essere allo stesso tempo scrittore ed editore? Le due cose entrano in conflitto?
È vero, divido la mia vita tra queste due sfere e lo faccio nel quotidiano, anche se preferisco lasciare a Kasia (la moglie e co-proprietaria di Powergraph, ndr) le attività redazionali e amministrative per potermi occupare il più possibile di scrittura. Non riesco a conciliare la scrittura con altre cose, scrivere mi richiede isolamento totale per concentrarmi. Ma se dovessi fermarmi in continuazione non ce la farei. È un esercizio di autodisciplina piuttosto duro: spengo il cellulare, evito di sbirciare su facebook e mi metto a scrivere per delle ore senza fermarmi nemmeno per parlare. Ho provato a lavorare disconnesso da internet, ma è quasi impossibile, c’è sempre bisogno di verificare delle cose. Per cui quello che faccio è organizzare delle intense sessioni di lavoro di scrittura con pause precise per dedicarmi ad altro. E anche se mi capita qualche piccolo incidente, tipo la necessità di riavviare il router, non lo faccio fino a che non ho raggiunto quello che volevo.
FA: Qual è il tuo metodo di scrittura preferito? Intendo proprio tecnicamente. Scrivi direttamente al pc?
Le idee sparse le scrivo dove capita, anche sul telefono se è quello che ho sottomano, quando ho già un’idea di progetto la scrivo su carta, magari degli appunti sulla struttura e sul piano di lavoro del giorno successivo. Ho provato in passato a farmi degli schemi precisi come fanno altri, ma non ci sono riuscito, non fa per me. Se guardassi i miei appunti potrebbe sembrerebbe un lavoro caotico, ma per me funziona.
SG: Scrivi narrativa per adulti e per ragazzi. Quale dei due generi è più difficile per te?
Scrivo per tre fasce di lettori a dire il vero: letteratura tradizionale, per adolescenti e per lettori molto giovani, alle prime letture. Sono tre modi di scrivere diversi e tutti difficili a modo loro. Quando si scrive per i bambini serve che ci sia molta azione, deve essere divertente, intrigante, non c’è molto spazio per le descrizioni. Mentre con i lettori più tradizionali ti puoi e devi concedere più descrizioni e riflessioni. Ci sono vari tipi di difficoltà.
FA: In quali libri senti di essere più sincero?
Ci sono temi presi dalla vita reale in tutti e tre i tipi. Certo in quelli per bambini alcuni temi non possono proprio apparire, per ovvi motivi, ma in generale cerco sempre di parlare delle cose importanti anche se in modo e con toni diversi naturalmente. Quando scrivo per gli adulti ho meno prudenza e scrivo senza remore quello che mi interessa scrivere.
FA: Qual è il tuo preferito tra tutti i libri che hai scritto? Il tuo figlio prediletto?
Quello che devo ancora scrivere (ride). Ma se devo dire qual è il mio preferito non lo so davvero, cambia dal periodo e dal mio stato d’animo. Ora come ora, se devo dire con quale libro vorrei essere ricordato. direi Vertical, forse è il più originale e il più maturo dei miei romanzi. In generale però sono soddisfatto di tutti. È il vantaggio di essere il proprio editore: se un libro non mi piace non lo pubblico oppure lo rielaboro in continuazione fino a quando non mi va.
SG: Come hai iniziato a scrivere? Cosa ti ha ispirato?
Ho iniziato a scrivere da quando ho imparato a scrivere. E non esagero. Mi è sempre piaciuto scrivere brevi storie, descrivere personaggi, già da quando ero alle elementari. E poi quando ero già adulto, nel 2001, un mio racconto è stato pubblicato sulla rivista Nowa Fantastyka e lì ho iniziato a pensare al fatto che a qualcuno potesse piacere quello che scrivevo. Così mi sono messo a scrivere cose più lunghe, per le quali avevo delle idee ma non mi ero mai messo sul serio a metterle giù perché scrivevo sporadicamente.
È divertente perché ho scritto il mio primo romanzo, Mars (Marte, NdR), mentre non ero per niente convinto di essere in grado di scriverne uno. Avevo mandato a una rivista dell’epoca, Science Fiction, dei brevi racconti e il direttore mi aveva risposto: “Bene, niente male, ora aggiungici un inizio e una fine e trasformiamolo in un romanzo”. Mi sembrava impossibile perché erano racconti di poche pagine, ma alla fine ci sono riuscito.
Lì ho capito che poteva smettere di essere un hobby e diventare un lavoro, e oggi è la mia principale fonte di sostentamento. Anche se mi sento strano a definirmi uno scrittore, mi è sempre sembrato un po’ spocchioso dire una cosa del genere, ma alla fine dei conti se mi chiedo cosa faccio tutti i giorni e con continuità, beh, allora sono uno scrittore.
FA: Quali sono i libri che ti hanno maggiormente ispirato? O, se preferisci, i tuoi autori preferiti?
Se devo pensare a chi mi ha ispirato penso soprattutto alla fantascienza classica, quella degli anni Sessanta e Settanta, soprattutto Stanisław Lem ma anche Artur C. Clarke, Philip Dick e in generale i grandi classici. Devo dire che se sono diventato un buon lettore è anche perché sono stato da subito introdotto alla lettura e anche prima che imparassi a farlo da solo, mio padre leggeva per me. E poi per invitarmi a farlo quando io stavo imparando magari mi leggeva fino a metà libro e poi lasciava che fossi io a finirlo, per incuriosirmi e spingermi a leggere con piacere.
FA: Hai nominato Lem, riconosciuto come il maggiore scrittore polacco di fantascienza. Ti vorrei chiedere allora: esiste una fantascienza polacca?
Assolutamente! E scoppia di salute! In Polonia abbiamo una tradizione di fantascienza cosiddetta sociologica, nata durante gli anni del socialismo quando la censura non permetteva di dire determinate cose in modo diretto e allora la fantascienza permetteva di eluderla parlando dei problemi reali e spostandoli lontano dalla Polonia o dal pianeta terra in generale. Anche oggi che la censura non c’è più, la fantascienza sociologica continua a funzionare come pretesto per raccontare alcuni aspetti della realtà di oggi, magari presi in modo un po’ estremo ma che ci permettono di proiettare nel futuro cose che oggi sembrano innocue ma che non lo sono.
A fianco a questo filone c’è anche della fantascienza più classica in senso occidentale, con un po’ di elementi distopici, un po’ di elementi tecnologici e che avrebbe tutto per imporsi sul mercato internazionale a fianco dei nomi anglosassoni più noti. Sicuramente però, il filone sociologico è un’eccellenza polacca che altrove non esiste.
SG: C’è un tratto comune nei tuoi romanzi che è il modo in cui il protagonista a un certo punto si rende conto che nel mondo in cui vive qualcosa non va. Percepisci che quella di vedere problemi più in prospettiva sia una necessità urgente della società? E forse è questo il senso della fantascienza oggi?
La maggior parte delle persone, perlomeno per quello che posso vedere io, mi pare che rifletta troppo poco sul futuro a medio e lungo termine. Il futuro che riescono a immaginare è sempre vicino: la prossima tornata elettorale, il prossimo quinquennio, manca uno sguardo sulle cose più sistemiche, su dove sta andando la civiltà umana. E così un protagonista che vive in un mondo normale e che nella routine quotidiana degli eventi si accorge che qualcosa non va è il migliore modo per mostrare qualcosa, anzi di più, per fare accendere una lampadina nella testa di chi legge. Il lettore si può immedesimare nel protagonista e vedere attraverso i suoi occhi delle cose che magari non avrebbe notato da solo. Impara dagli errori e dalle esperienze del protagonista in modo accessibile.
SG: È per questo che hai iniziato a scrivere fantascienza? E com’è iniziata questa passione?
È abbastanza semplice, mi piaceva da sempre un certo tipo di libri e solo dopo averne letti un po’ ho scoperto che quello era un genere preciso e che si chiamava fantascienza. È stato un amore a prima vista. Ovviamente leggo anche altro, ma la fantascienza è semplicemente quello che amo, ecco. E poi certo, alcune delle cose che mi interessa scrivere e dei problemi che pongo non si potrebbero mostrare diversamente che con la fantascienza.
SG: Quali sono nello specifico questi problemi che mostri nei tuoi romanzi? Tu sei un seguace del filone sociologico che però, per la generazione precedente, riguardava il tema dei totalitarismi? Su cosa ti concentri tu principalmente?
Credo che il modo migliore per dire quali sono i problemi sia guardare un po’ oltre il mio orizzonte di vita e guardare a quello dei miei figli o, se mai ce ne saranno, nipoti. Quali sono le cose le cui cause iniziano oggi e che non sarà possibile cambiare in un futuro non così remoto? Per esempio, in occidente iniziamo a occuparci maggiormente dei temi ambientali, ma per altri Paesi ora è in atto una vera e propria rivoluzione industriale ritardata e non si interessano particolarmente all’ambiente, per loro non è prioritario. E questo è un tipo di problema che avrà effetti importanti sulle prossime generazioni. Oppure il tema della sicurezza. Quanto lontano ci spingiamo nel cedere quote di libertà per placare il nostro bisogno di sicurezza?
FA: Quello della sicurezza in fondo è un topos della fantascienza da tanto tempo. Pensi che nella fantascienza polacca si declini in modo particolare o è qualcosa che riguarda te come autore?
Penso che il modo di guardare al problema non sia cambiato dagli anni Sessanta a oggi, forse la fantascienza polacca sente il tema in modo più forte per via del passato socialista, ma in generale credo che vediamo le cose come la gran parte dei paesi occidentali: le stesse minacce, le stesse paure, magari offriamo soluzioni narrative diverse ai fenomeni. Forse si può dire che in media gli scrittori polacchi siano un po’ più conservatori.
SG: Ora stai scrivendo il prossimo volume della tua serie per adolescenti. Hai già idee per il prossimo romanzo tradizionale?
Ne ho molte, ancora non ho iniziato a lavorarci concretamente però. Penso che entro l’anno però inizierò a farlo, senz’altro. Mi manca in effetti, anche se ognuna delle tre tipologie di cose che scrivo mi manca alla lunga quindi provo ad alternare il lavoro in modo da essere ciclico e tenerle tutte vicine.
FA: Una curiosità per concludere: come è nata la tua casa editrice, Powergraph?
Powergraph è nata come agenzia pubblicitaria, mi piaceva fare il copywriter pubblicitario e soprattutto il lavoro grafico —a cui per altro mi dedico ancora progettando le copertine dei nostri libri. Insieme a Kasia abbiamo deciso di lanciarci come casa editrice all’inizio per pubblicare i miei libri, ma è stata anche un’esigenza morale in un certo senso, perché scrivere pubblicità ci iniziava a sembrare una cosa socialmente poco utile. Quanto hai influito sul mondo cercando di convincere le persone a comprare uno yogurt anziché un altro? Volevamo fare qualcosa per poi poter dire, da anziani, di aver fatto qualcosa di utile nella vita e quindi abbiamo iniziato a pubblicare libri e in qualche modo ci siamo riusciti.
Libri principali di Rafał Kosik:
Mars (2012, romanzo);
Vertical (2012, romanzo);
Obywatel, który się zawiesił (2011, racconti);
Nowi ludzie (2013, racconti);
Kameleon (2015, romanzo);
Różaniec (2018, romanzo).
I libri di Rafał Kosik sono rappresentati in esclusiva per l’Italia da Nova Books Agency. Per informazioni: agent@novabooksagency.com.