Poszukiwany poszukiwana, Bareja e la commedia impegnata

Poszukiwany poszukiwana

Poszukiwany, Poszukiwana [Ricercato, Ricercata] è una pellicola di Stanisław Bareja del 1972.

 
di Francesco Cabras

Bareja fu allievo della ” Państwowa Wyższa Szkoła Filmowa, Telewizyjna i Teatralna im. Leona Schillera di Łódź, più volte ricordata in questo blog, da cui uscì la punta di diamante della cinematografia polacca. Rappresentante più prestigiosi della commedia polacca, dopo gli anni sessanta, che la critica ritiene fondamentalmente segnati da una commedia votata al riso fine a se stesso, passò, negli anni settanta e ottanta (e a partire proprio dal film che qui presento) a un cinema più impegnato, che dietro a esilaranti gags e situazioni comiche veicola una pungente critica sociale; egli si impegnò inoltre in prima persona in attività di opposizione, come l’appoggio offerto all’ attivista anticomunista Zbigniew Bujaków.

Poszukiwany poszukiwanaIn Poszukiwany poszukiwana, Stanisław Maria Rochowicz (Wojciech Pokora) è un anodino ricercatore di storia dell’arte impiegato in un museo della capitale, il quale finisce ingiustamente accusato d’avere rubato dal deposito un quadro di Bogdan Adamiec (Adam Malarczyk), pittore animato da un alto concetto di sé i cui lavori ritraggono – in maniera seriale – unicamente dei palmi di mano. Stanisław tenta invano di discolparsi: gli vengono concesse ventiquattro ore per restituire il quadro, altrimenti la macchina della giustizia si metterà in moto e potrebbero attenderlo cinque anni di prigione. Spaventato dalla prospettiva, si impegna insieme alla moglie (Jolanta Bohdal) a escogitare un modo che gli permetta di guadagnare tempo, onde copiare da una foto il quadro rubato. Finisce per travestirsi da donna, talmente bene da ingannare la propria moglie, che non lo riconosce immediatamente. Convinti della bontà di tale escamotage, i due si sostengono a vicenda in questa vera e propria messa in scena: Stanisław (con il nome di Marysia) inizia a proporsi come governante, mentre la moglie lo sostiene dandogli consigli su come cucinare o badare alla casa. Se all’inizio il protagonista è in chiara difficoltà nella gestione dell’economia domestica, egli acquisterà sempre più confidenza con il “ruolo” e l’occupazione femminili che si è scelto. Il film si conclude con il ritrovamento fortuito del quadro e con il ritorno a casa di Stanisław che però, d’accordo con la moglie, sceglie di continuare a recitare il ruolo di governante provetta: rende molti più quattrini di quanto non renda il lavoro di storico dell’arte.

Al di là della trama – piuttosto esile – il film è davvero gustoso nel suo essere una satira feroce e al contempo elegantePoszukiwany poszukiwana di tutta una serie di Realien e figure-tipo del periodo socialista: il direttore del museo in cui Stanisław lavora, decisamente caricaturale, burocrate che poco o nulla capisce di arte; lo stesso Bogdan Adamiec pare il classico artista “allineato”, foraggiato e sostenuto dello Stato, a cui Stanisław, di fronte alle accuse di relegare le sue opere in magazzino, risponde senza peli sulla lingua che gli acquisti del museo non sono finalizzati all’esposizione al pubblico ma a sostenere concretamente gli artisti, così che possano avere di che vivere. Alla prova dei fatti Adamiec non fa altro che riprodurre meccanicamente un unico -assurdo- soggetto come il palmo di mano. Lo stesso fatto che Stanisław pensi di “copiare” il quadro da una foto è eloquente in questo senso, come a dire di un’arte “seriale” e riproducibile ad infinitum; al contempo di un’arte priva di “aura”, sbeffeggiata e messa alla berlina, relegata dapprima in un magazzino, poi offerta a un pubblico che non c’è e al quale non sa parlare: Stanisław/Marysia si reca al museo dove Adamiec espone i suoi “palmi di mano” ed è l’unico visitatore ad aggirarsi per la sala. Un assonnato custode telefona allora ad Adamiec annunciandogli la presenza della visitatrice per poi addormentarsi bellamente e – quando il pittore corre a svegliarlo per chiedergli se abbia visto la signora, se abbia assistito alle loro conversazioni, se abbia capito quanto egli come pittore sia apprezzato – egli fa spallucce, rispondendo beatamente: “Jaka kobieta?” [Quale donna?]. Inoltre, prima che Stanisław se la svigni bellamente dopo aver chiesto informazioni sui procedimenti tecnici – esclusivamente tecnici – grazie ai quali Adamiec dipinge, il pittore, entusiasta, gli propone di tornare il giorno dopo, in favore di telecamere e microfoni, in una costante ricerca di legittimazione: Marysia è una governante, una “popolana” dunque, rappresentante di quella massa che il Partito intende guidare anche attraverso un’arte capace di educare al socialismo e che di quest’ultimo rappresenti gli ideali, i progetti e le battaglie! Finalmente la classe “operaia” o comunque la “massa” pare essersi accorta dell’opera di Adamiec…!

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Le varie famiglie in cui Marysia presta servizio sono ulteriori pretesti per sorridere di (o deridere) varie storture e paradossi del sistema: in casa dei coniugi Karpiel – interpretati da Wiesław Gołas e Maria Chwalibóg – lo spettatore si confronta con il problema – tutt’altro che banale – della gestione dell’edilizia da parte del governo: succedeva (non solo in Polonia, ma in tutto il blocco socialista) che si calcolasse un tot di metratura a persona. Se una nucleo familiare era composto da sole due o tre persone e l’abitazione risultava più grande del necessario, allora venivano lì collocate anche persone estranee al nucleo familiare, con ovvie ripercussioni sulla vita quotidiana di tutti. I signori Gołas non vogliono registrare Marysia ufficialmente al loro domicilio: la governante che l’ha preceduta si è fatta registrare, salvo poi smettere di fare la governante e stabilirsi in pianta stabile da loro come tarza inquilina, tutelata dalla legge e impossibile da cacciare di casa. Comprensibilmente, marito e moglie non intendono rischiare un’altra volta…

Antek (Filip Łobodziński), il pestifero figlio dei coniugi Górecki, afferma candidamente di voler diventare un geszefciarz [uno speculatore] e ha pronto alla bisogna l’esempio del padre di un amichetto che contrabbanda valuta estera, facendo denari a palate. A nulla valgono le argomentazioni di Stanisław/Marysia che lo esorta a studiare, richiamandolo a valori di lealtà, correttezza e senso morale verso se stesso, i genitori e la società; a queste egli risponde beffardamente: ” Ma in che mondo vivi?”. Risolverà tutto a suon di mazzette e regali, non ha nessuna voglia di impegnarsi nella propria istruzione.

Dopo i signori Górecki, Marysia presta servizio presso un Pan Profesor [Signor Professore] (Mieczysław Czechowicz) che le fa comprare cinque chilogrammi di zucchero in ogni negozio del circondario perché -a suo dire- sta conducendo ricerche sul “contenuto di zucchero nello zucchero” (sic!). In realtà si tratta di un bimbrownik [distillatore di bimber, sorta di vodka prodotta artigianalmente e illegalmente].

Ultimi “datori di lavoro” di Marysia sono il “direttore eterno” [Wieczny Dyrektor] (Jerzy Dobrowolski) e sua moglie (Barbara Rylska). Significativa la risposta che la moglie dà a Marysia che le chiede informazioni sul mestiere del marito: “Mój mąż jest z zawodu dyrektorem” [Mio marito fa il direttore]: è “l’essere direttore” il mestiere, a prescindere da ciò che si dirige. Il “direttore eterno” annuncia ai colleghi (è difficile capire esattamente di quale lavoro si tratti) che ora dovrà trasferirsi all’Istituto Centrale di Urbanizzazione, per costruire nuove città; il suo modo di parlare è del resto stentato e insicuro (perlomeno quando deve “lavorare”, parlare ai sottoposti e prendere decisioni); capita inoltre che il Direttore riceva i suoi sottoposti disteso e appisolato sul divano di casa, completamente rimbambito dal sonno e ridotto al ruolo di passacarte. Quando infine scrive un articolo per presentare le proprie idee sull’urbanistica, si accorge delle capacità intellettuali di Marysia, prima sprezzantemente apostrofata, da lui, dirigente socialista e quindi teoricamente “vicino” alla classe sociale della donna, come “una di campagna”. Marysia inizia col dettargli il discorso che lui non sa comporre e poi demolisce con dotte e pungenti argomentazioni tutte le concezioni urbanistiche che il “Direttore” le sottopone orgogliosamente per poi scrivere essa stessa l’articolo al posto suo. Lo scritto – uscito comunque a firma del Direttore – riscuoterà un enorme successo: egli allora prima convince Marysia a pubblicare nuovi articoli, giacché gli sono stati offerti denari sonanti per delle successive pubblicazioni (beninteso: i nuovi testi saranno pubblicati a nome del Direttore, Marysia dovrà accontentarsi di una ricompensa in denaro); poi, spaventato dalla stessa fama acquisita ingiustamente, invitato a esporre in un’intervista televisiva le “proprie” idee, vuole che Marysia si travesta da uomo per parlare al posto suo, nelle vesti di konsultant [consulente] (si vergogna a presentare una donna come proprio collaboratore), per di più per “rimangiarsi” e demolire quelle stesse tesi che tanto successo gli avevano dato. Il burocrate vuole la tranquillità di sempre, ciò che ha sempre conosciuto, nulla di rivoluzionario (rewolucja è proprio la parola impiegata, non a caso) e le idee di Marysia rivoluzionarie lo sono davvero…

Ritrovato il quadro e tornato dalla propria moglie, Stanisław decide di continuare a guadagnare come governante, mestiere molto più redditizio di quello di storico dell’arte. Una commedia stiamo guardando, ma un finale simile suona come un violento atto d’accusa nei confronti di un sistema atto a promuovere il servilismo e la mediocrità (si ricordi qui più di tutte la figura del Direttore Eterno) a scapito delle forze più dinamiche e creative della società. Antek Górecki aveva accusato Marysia di “stupidità” – di ingenua stupidità – non avendo questa compreso “in che mondo viveva”. Ora Marysia, con cinismo e opportunismo degno del mondo che la commedia ci ha presentato, accetta di stare alle regole del gioco, sacrificando le proprie capacità intellettuali a vantaggio di quella forsa [grana, denaro] che Antek dichiara candidamente essere la sua unica preoccupazione. La violenza del sistema è devastante e pervasiva, dacché s’insinua nel profondo degli individui, portandoli ad adeguarsi (a convincersi) che a quel sistema, in fondo, non si possa far altro che adeguarsi.

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