Po polsku! Viaggio semiserio nella lingua polacca


Della lingua polacca, o di come affrontare un esercito di ulani schierati in battaglia

grzegorzIl meno che può capitare a chiunque si presenti come studente di lingua polacca è vedere le palpebre dell’interlocutore spalancarsi fino al limite del fisicamente possibile per lo stupore (“Il polacco?!”) o, in alternativa, trovarsi ad ammirare una sempre simpatica espressione di malcelato disgusto (per la serie: “Ma non c’era un’altra lingua?”). Sarebbe interessante fare una sorta di inchiesta volta a testare la percezione che l’italiano medio ha della lingua polacca, ma i risultati sarebbero facilmente prevedibili: vedremmo che il subconscio di un buon 80% della popolazione – si, anche quella più istruita! – reagisce alla parola “polacco” partorendo inquietanti agglomerati fonetici di incerta provenienza, nonché esistenza. Una specie di linguaggio extraterrestre del tutto incomprensibile al genere umano. Perché una cosa rimane assodata: si tratta di una lingua di una difficoltà stratosferica. E certo trovarsi di fronte parole del tipo Konstantynopolitanczykowianeczka può mettere alla prova il sangue freddo dello studente più volenteroso. Non parliamo, poi, degli sfortunati che vorrebbero tanto chiedere al libraio se per caso in negozio non ci sia qualche libro di Ryszard Kapuściński, ma non hanno idea di come pronunciare il cognome dell’autore e quindi escono da casa armati di foglietto degli appunti. Oppure si cimentano in improbabili esplicazioni (“K-a-p-u- s con un trattino sopra tipo accento – c – i – n con l’accento – s – k – i”).

Proviamo a guardare più da vicino questo monstrum e vediamo se ci sono davvero tutte queste ragioni di temerlo.

tshirtIl polacco è una lingua slava del gruppo occidentale, il che vuol dire che ha molti tratti in comune col ceco, lo slovacco e il sorabo. C’è una certa somiglianza anche col russo, con la differenza però che quest’ultimo appartiene al gruppo orientale e, contrariamente al polacco, utilizza l’alfabeto cirilicco. “Ma allora per scrivere in polacco si usa l’alfabeto latino come per l’italiano? Che fortuna!” si dice l’ingenuo studente il primo giorno di studio del polacco. Capirà dove stava la fregatura nel momento in cui si troverà sotto il naso 45 consonati messe in fila: W Szczebrzeszynie chrząszcz brzmi w trzcinie i Szczebrzeszyn z tego słynie. Si accorgerà anche che i 23 grafi dell’alfabeto latino non bastano a rendere tutti i suoni del polacco, e che quindi dovrà imparare a leggere e distinguere combinazioni del tipo sz – ś, cz – ć, rz, ń, dź – dż. E attenzione a non sottovalutare questo aspetto, se non volete rischiare di dire prosię anziché proszę e dare del maiale al malcapitato di turno.

Comunque niente paura: in questi casi per ottenere la pronuncia corretta basta immaginare di avere una paralisi facciale e irrigidire la mascella di conseguenza. Se non fosse già abbastanza evidente, precisiamo che NO, il polacco non è la lingua ideale per organi fonatori pigri.

Il polacco è anche una lingua flessiva, e quindi ogni sostantivo, pronome o aggettivo va declinato per casi, proprio come accadeva per il latino. Quindi se state pensando di mettervi a studiare questa lingua, e la materia che odiavate di più a scuola era proprio il latino… farete meglio a farvi passare l’antipatia quanto prima.

Se le difficoltà finissero qua non sarebbe poi tanto male, giusto? E invece no, le fregature non sono finite. Come può reagire lo studente medio alla notizia che per costruire la frase più banale deve trovare la forma verbale adeguata tra decine di varianti? No, non è uno scherzo: il significato dei verbi polacchi cambia a seconda di due fattori. Uno è l’aspetto verbale utilizzato, perfettivo o imperfettivo, di cui il primo indica un’azione compiuta e il secondo un’azione in corso di svolgimento o iterata. Poi vengono le preposizioni. In polacco se ne contano almeno un’ottantina e ciascuna conferisce delle particolari sfumature di significato che, per la gioia di tutti i polonisti in erba, vanno ovviamente imparate a memoria. Ma neanche questo è tutto: tradurre frasi banalissime come “sono andato al cinema”, “ho fatto una nuotata”, “Jacek ha attraversato una strada su cui circolavano tante macchine” può trasformarsi in una vera prova di ingegno (e di coraggio) per il povero studioso. Il fatto è che ogni polonista convive con un demonietto che lo perseguita e lo punzecchia quando il tapino meno se lo aspetta: questo demonietto si chiama verbi di moto.

In polacco, infatti, per dire semplicemente “andare” bisogna scegliere tra almeno una decina di varianti base – ma il numero cresce in maniera vertiginosa, se consideriamo tutte le preposizioni che si potrebbero utilizzare. Non dimentichiamoci, poi, che praticamente di ogni verbo esistono la forma perfettiva e quella imperfettiva! Ritrovarsi ad aprire un dibattito con il proprio cervello in merito alla differenza tra jeździć na nartach e pojechać do Zakopanego na narty nei momenti meno opportuni (per esempio mentre si fa la fila alla cassa del supermercato) non è follia, ma solo ordinaria amministrazione.

Il colpo di grazia, però, ce lo danno i numerali. Anche quelli si declinano, siano cardinali od ordinali, e sono tantissimi. Guai a sottovalutarli perché, se in italiano vengono trattati come semplici aggettivi, in polacco decidono della forma grammaticale della frase.

Imparare il polacco è sicuramente una sfida, però non è insuperabile. Chiunque voglia cimentarsi, come prima cosa non deve farsi spaventare dalle consonanti schierate in battaglia tipo esercito di ulani, e come seconda cosa non deve demordere. Le regole grammaticali sono numerose e complesse, questo è papale, però è anche vero che la perseveranza porta buon frutto. La conoscenza della lingua polacca è una delle vie privilegiate per entrare più a fondo in una cultura che vale davvero la pena riscoprire, e poi i materiali non mancano.

E in fondo noi polonisti italiani abbiamo almeno una piccola consolazione: neanche i polacchi conoscono alla perfezione la loro grammatica.

Valentina Pozzati

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