Płynące wieżowce – di amore e omosessualità in Polonia

Płynące wieżowce PoloniCult

Dal regista di Le donne e il desiderio, Płynące wieżowce: un film dedicato alle difficoltà della comunità LGBT in Polonia.

di Francesco Cabras

Quando uscì nel 2013, quest’opera di Tomasz Wasilewski fece parlare molto di sé. Si trattava del “primo film polacco dedicato a tematiche LGBT”, o almeno così si andava ripetendo un po’ dappertutto sulla stampa. La pellicola (ancora inedita in Italia, distribuita all’estero con il titolo di Floating Skyscrapers) racconta la storia di Kuba (Mateusz Banasiuk), giovane nuotatore che sta mettendo anima e corpo nella preparazione di una gara. La sua è una vita tranquilla, scandita dalla routine che si è costruito con Sylwia (Marta Nieradkiewicz), la sua ragazza, profondamente innamorata di lui, e con la madre (Katarzyna Herman). A turbare la serenità di Kuba sarà l’incontro con Michał (Bartosz Gelner), per il quale il protagonista inizia a provare, ricambiato, un’attrazione a cui solo verso la fine del film egli riuscirà a dare il nome di “amore”.

Płynące wieżowce 2 PoloniCult

È chiara l’intenzione di Wasilewski: denunciare l’impossibilità di un amore omosessuale nella Polonia contemporanea, ciò che fa attraverso l’impiego sapiente della messa in scena e di tutti i mezzi espressivi e stilistici che il cinema gli offre. Il protagonista è imprigionato entro sfondi squadrati, geometrici, oppressivi e che non gli lasciano scampo, a cominciare dalla parete della piscina in cui si tuffa per allenarsi: la macchina segue l’attore sott’acqua e l’impressione che se ne ricava è che Kuba sia imprigionato in un orrendo cubo di gelatina azzurra da cui non può sfuggire; orrendo perché risulta evidente abbastanza presto che al ragazzo del nuoto importa decisamente poco nonostante gli ottimi risultati: vi si dedica soprattutto perché cede alla pressione della madre e, sebbene in misura minore, di Sylwia. Spesso vediamo Kuba schiacciato contro un muro, la sigaretta in bocca e gli occhi bassi, circondato dall’oscurità, dalla quale emerge grazie alla fioca luce di un lampione o delle lampade al neon della piscina e che buona parte del film si svolga di notte oppure al chiuso è un altro chiaro elemento che contribuisce a trasmettere un senso di inquietudine e oppressione: è di notte che ci si nasconde più facilmente e si può passare inosservati…

Kuba scappa, si nasconde, in primo luogo da se stesso, e lo fa da subito, dall’inizio del film, quando fugge letteralmente da un compagno che gli sta praticando una fellatio, quasi provasse repulsione verso se stesso e la propria sessualità ancor prima che nei confronti del partner; il sesso consumato con Sylwia non è migliore della scena appena descritta: è freddo, distaccato, fatto il più delle volte quasi per forza; il ragazzo inoltre non esita a fuggire anche da Sylwia (che in realtà ha capito molto più di quanto sembri ma che è disposta a tutto pur di non perdere il ragazzo che ama) per incontrare Michał, alla ricerca di se stesso, nell’impossibilità di capirsi, di dare un nome a ciò che prova. Inutile dire che anche gli incontri con Michał sono “incontri rubati”, “clandestini”, nascosti, sempre ambientati in notturna o comunque al chiuso, mai all’aperto e l’unica scena in cui i due si incontreranno alla luce del sole e in cui Kuba riuscirà a dire “ti amo” a Michał, baciandolo incurante degli sguardi altrui, sarà il preludio a degli avvenimenti tragici, a ribadire una volta di più l’impossibilità che un amore ctonio possa emergere, venire alla luce.

Da notare è il ruolo determinante delle due donne che fanno parte della vita di Kuba: la madre e Sylwia si coalizzeranno per “riconquistarlo” a se stesse, costi quel che costi: Sylwia scopre di essere incinta e obbliga Kuba a lasciare Michał, coadiuvata in questo dalla madre del ragazzo, il quale non fa nulla per opporsi a questa vera e propria violenza che gli viene inflitta, accettando di vivere una vita infelice insieme alla ragazza. La madre di Michał invece cerca di accettare l’omosessualità del figlio ma non ci riesce: schiacciata da un tabù in lei radicato, si rifiuta di incontrare Kuba e non riesce a parlare con il marito dell’omosessualità del figlio (perlomeno non riesce a perorarne efficacemente la “causa”).

È insomma un universo senza speranze quello di Wasilewski, sottolineato anche dalla scelta di lasciar scorrere i titoli di coda senza il consueto commento sonoro che istituzionalmente li accompagna: silenzio, nessun commento a seguito di due scene violentissime (sia sul piano fisico che emotivo): quella del pestaggio di Michał da parte di un gruppo di balordi che gli vogliono far pagare la sua omosessualità e quella di Kuba e Sylwia che fanno il bagno insieme, nella vasca, senza scambiarsi una parola, né un gesto d’affetto. Kuba in sostanza non ha saputo o voluto scegliere, schiacciato dai tabù della società che lo circonda e dalla mancanza del coraggio di vivere il proprio amore e la propria sessualità.

Fin qui la tesi del regista, chiarissima. Il problema è che questa tesi influisce negativamente sulla scrittura del film, francamente molto schematico. Come aveva già notato Tadeusz Sobolewski recensendo Płynące wieżowce per Gazeta Wyborcza, il regista ci racconta che un amore del genere non è possibile e – aggiungo io – ce lo ripete ossessivamente per un’ora e mezza; ce lo ripete molto bene, però forse sarebbe stato meglio se avesse tentato di raccontarci anche come nasce, cresce, muore un amore: la denuncia della violenza subita dagli omosessuali forse è più efficace quando si offre al pubblico non un racconto a tesi, bensì un racconto di portata “universale”, mostrando come l’amore tra due uomini non sia “diverso” da quello tra un uomo e una donna. E su questo basti pensare allo splendido La vita di Adele, uscito anch’esso nel 2013, ma condotto su registri ben più alti da Abdellatif Kechiche: Adele scopre sé stessa e la propria sessualità, soffre e ama e davanti a noi scorre la storia d’un amore, non una tesi esposta schematicamente e un po’ meccanicamente.

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