Frammenti di ricordi e sperimentalismi del grande maestro polacco.
di Claudia Vicini“Grotowski è unico. Perché?
Perché nessun altro al mondo, nessuno dopo Stanislavskij, di mia conoscenza, ha esplorato la natura della recitazione, il fenomeno che la costituisce, il suo significato, la scienza dei suoi processi, sia psichici che fisici o emozionali, così profondamente e pienamente come Grotowski”.
È così che uno dei più grandi registi teatrali viventi, Peter Brook (1925), ricorda il suo collega e amico. Le strade dei due registi si incrociarono negli anni sessanta, quando Brook invitò Jerzy Grotowski (Rzeszów, 11 agosto 1933 – Pontedera, 14 gennaio 1999) a Londra perché tenesse un laboratorio per gli attori del Teatro della crudeltà, che allora dirigeva. Da lì furono numerose le occasioni di collaborazione, confronto o di pura frequentazione. Un’amicizia duratura, caratterizzata da una profonda condivisione ideale ed intellettuale, che terminò con la scomparsa dello stesso Grotowski, nel 1999. Così nasce Insieme a Grotowski (edito da Rueballu, Palermo, 2011), “il libro dell’amicizia”, colmo di ricordi ed esperimenti scenici del grande regista polacco.
Grotowski è tra le figure di spicco dell’avanguardia teatrale europea del ‘900; è noto per aver ideato un metodo di allenamento per attori che ha mutato la figura dell’attore stesso, un metodo considerato necessario oggigiorno nel teatro contemporaneo. Molti lo definirebbero uno Stanislavskij polacco, nonostante Grotowski consideri il regista russo unicamente come un punto dal quale partire per costruire qualcosa di qualitativamente più intenso: «Laddove Stanislavskij voleva lavorare e partire dall’impulso concreto di voler sedersi su una sedia, Grotowski invece voleva trovare l’impulso di un gesto assolutamente sconosciuto». Pur celandosi dietro il nome di Peter Brook, il vero ideatore del volume è l’autore della prefazione, Georges Banu, critico teatrale romeno, naturalizzato francese. Chiedendosi perché Brook non avesse mai parlato del profondo legame con il maestro polacco, pur avendone condiviso per molti anni le idee ed i metodi, Banu incitò il regista londinese a fornire un’autentica testimonianza su Grotowski attraverso i ricordi che aveva conservato nel tempo. Dopo lunghi periodi di attesa, Brook riuscì a reperire i frammenti di un dialogo col suo grande amico avvenuto in occasione del Premio Europa per il Teatro, moderato dallo stesso Georges Banu e tenutosi a Taormina il 5 maggio del 1989. I due registi affrontano temi di rilevante importanza, come la necessità di dare un ordine alla vita attraverso la narrazione scenica, o trovare l’autentico significato dell’essere individui. Secondo Grotowski, «L’attore ideale, immagine dell’uomo perfetto, deve essere come un guanto, in cui la mano è forzatamente dentro ma al tempo stesso per niente dentro, in cui il guanto ha la forza della mano e al tempo stesso l’apertura del guanto vuota. […] Essere al tempo stesso totalmente umani e totalmente anonimi perché ciò che è anonimo non ha il colore dell’umano e tutto ciò che è umano sovrasta la purezza dell’anonimato». Brook mai commenta né contraddice il suo amico, si limita ad accoglierne le brillanti vedute e a renderle pubbliche a cultori di teatro, e non. Dopo la prefazione di Banu, il volume presenta una successione cronologica di frammenti e testimonianze raccolte dal regista londinese in molti anni di vita e carriera in ambito teatrale: articoli d’epoca, dialoghi, trascrizioni di convegni, interviste, appunti e riflessioni. Si tratta di testimonianze vive e tangibili, quasi giunte al nostro orecchio al momento in cui vengono scritte. Sono frammenti di ricordi che hanno un sapore di verità ed immediatezza. Insieme a Grotowski è un breviario di tecnica teatrale, un metodo di immedesimazione ed interpretazione per attori, e uomini. “Per Grotowski il teatro non è una questione d’arte. Non è una questione di rappresentazioni, creazioni, spettacoli. Il teatro è qualcos’altro. Il teatro è uno strumento antico e fondamentale che ci aiuta a vivere un solo e unico dramma, quello della nostra esistenza. A trovare il nostro cammino verso la sorgente di ciò che siamo”. Il teatro che prende vita, e si confonde con la vita stessa. Il teatro che è vita per coloro che lo interpretano, e per coloro che ne sono gli ideatori.