Pani Anita. La signora del martello.

Anita Włodarczyk PoloniCult

Un ritratto di Anita Włodarczyk, campionessa olimpionica e mondiale di lancio del martello.

di Alberto Bertolotto

Il 2020 sarà l’anno dei Giochi Olimpici di Tokyo. Alla manifestazione, che avrà inizio il 24 luglio, mancano poco più di 200 giorni. Naturalmente i media – polacchi e non solo – se ne occuperanno in maniera approfondita a partire dalla prossima primavera. Noi di PoloniCult giochiamo d’anticipo, anche perché la missione a cinque cerchi è già iniziata per tutte le nazioni che vi prenderanno parte e, naturalmente, per gli atleti, che sognano una medaglia che rimarrà per sempre nei loro ricordi.

Anita Włodarczyk, di medaglie olimpiche, ne ha già conquistate due ed entrambe sono del metallo più prezioso, dato che ha vinto i Giochi sia nel 2012 a Londra sia nel 2016 a Rio De Janeiro. La martellista, classe 1985, sarà una delle stelle della nazionale e in Giappone metterà nel mirino il terzo titolo: in caso di successo, andrebbe a raggiungere al secondo posto degli atleti biancorossi più medaglista di sempre Irena Szewińska, la più grande sportiva nazionale di ogni tempo, oro nella 4×100 proprio a Tokyo nel 1964, nei 200 a Città del Messico nel 1968 e nei 400 a Montreal nel 1976.

LE ORIGINI. Ma chi è Anita Włodarczyk? In ogni intervista lei sottolinea di essere una donna normalissima, in realtà è un vero e proprio mito, che esce dai confini polacchi. Per quanto la disciplina, a livello femminile, sia giovane, essendo stata introdotta ai campionati mondiali nel 1999, si tratta della miglior interprete del lancio del martello di ogni epoca, gemma di una scuola – quella polacca – capace di sfornare ogni anno atleti di livello assoluto: tra gli uomini, per fare un esempio, va nominato Paweł Fajdek, capace lo scorso ottobre a Doha di conquistare il quarto titolo iridato in carriera. Nata l’8 agosto del 1985 a Rawicz, in Wielkopolska, comune che peraltro gli ha dato la cittadinanza onoraria, sin da piccola Włodarczyk si dimostrò una ragazza sportiva: «Vivevo ogni giorno in maniera attiva» – disse in un’intervista. La piccola Anita dapprima correva, quindi iniziò ad andare in bici assieme ai suoi amici, generalmente più grandi di lei. Proprio ai maschietti si unì in una squadra di speedrower, chiamato anche cycle speedway: si gareggiava con le biciclette sugli ovali dello speedway. Una specialità, questa, praticata nella sua città, in cui il papà era presidente del club locale, la mamma segretaria e nella quale riuscì anche a conquistare assieme alla squadra dei ragazzi il campionato europeo under 18: la futura campionessa fu l’unica ragazza polacca a praticare questa disciplina.

Włodarczyk era attratta principalmente dalla competizione, tanto che ancora adesso ricorda e conserva assieme a tutte le altre la prima medaglia, conquistata nel 1994 in una gara scolastica di (“wyscigi rzedow”: gare in fila mi traduce). «Ho sempre voluto provare ogni sport: ero curiosa di vedere se fossi stata in grado di poterlo praticare – affermò tempo fa-. Ed è così che l’educazione fisica diventò la mia materia preferita» – affermò, sottolineando al contempo di essere anche una buona studentessa, molto interessata a materie come storia e geografia.

L’AMORE PER L’ATLETICA.  Nel 2001, quando aveva 17 anni, la svolta. Il suo padrino le suggerì di cimentarsi in un altro sport. Anita – si legge in una lunga intervista rilasciata a Przegląd Sportowy – doveva scegliere tra il nuovo e l’atletica: non le piaceva nuotare, così la scelta fu chiara. Nel 2001 andò al campo di atletica di Rawczik e incontrò Bogusław Jusiak, il suo primo tecnico: grazie a lui riuscì ad allenarsi nella sua città senza andare a Leszno, località distante 32 km da casa sua. Si avvicinò al disco (riconosciuto da tutti come il lancio più facile), quindi al martello, senza però ottenere grandi risultati ai campionati nazionali giovanili in entrambe le discipline.

L’inizio non fu promettente. La svolta avvenne una volta terminato il liceo: nel 2004 si iscrisse alla facoltà di educazione fisica a Poznań, passando sotto le cure del coach Czesław Cybulski. Decise di dedicarsi esclusivamente al martello. Włodarczyk raccontò in seguito che questi furono anni decisivi per la sua formazione come atleta e donna, al di là dei risultati ottenuti: innanzitutto fu importante la collaborazione con il nuovo trainer, da cui imparò tantissimo, dopodiché molto formative a suo parere furono le condizioni in cui lavorava. Dopo due anni dovette lasciare il campo dello stadio Olimpia perché il martello arrivava troppo lontano. Cominciò così ad allenarsi sotto il ponte di Św. Rocha a Poznań: «Perché qui? Era un posto tranquillo, nessuno ci disturbava – disse a riguardo Cybulski -: il mio compito era solo quello di assicurarmi che nessuno dei passanti si avvicinasse». Uno dei fotografi di Gazeta Wyborcza si accorse di questo mentre passeggiava nelle vicinanze. Scattò così un’immagine, archiviata con questa didascalia: “Una studentessa del terzo anno della facoltà di Scienze motorie, Anita Włodarczyk, si allena lanciando il martello sotto il ponte Św. Rocha. Quest’anno è stata capace di 71,84, terzo risultato al mondo”.

Ebbene sì: le condizioni erano amatoriali, i traguardi tagliati eccellenti visto che la 23enne di Rawicz si qualificò anche ai Giochi Olimpici di Pechino, arrivando addirittura al quarto posto. Per lei fu l’anno della svolta, anche perché inizio a strappare i primi ingaggi. «Prima – raccontò – potevo contare soltanto sull’aiuto dei miei genitori e su una borsa di studio di 300 złoty: se non fosse stato per mio papà e mia mamma, probabilmente non sarei rimasta nel mondo dello sport». Nel giro di pochi anni Anita passò da essere un’atleta promettente a una realtà mondiale del lancio del martello: la sua carriera era decollata.

LA PRIMA MEDAGLIA. Naturalmente Włodarczyk iniziò a preparare il 2009, l’anno dei campionati mondiali di Berlino, mettendo nel mirino la prima medaglia importante della sua carriera. D’altronde c’erano tutti i presupposti per ottenerla, considerata la misura fatta registrare nel 2008 e i suoi margini di crescita. Tuttavia l’annata fu contraddistinta da due eventi potenzialmente devastanti: a febbraio, vittima di un’embolia polmonare, morì a soli 27 anni Kamila Skolimowska, amica di Anita, martellista oro olimpico a Sydney 2000 a poco più di 17 anni. Le due si allenavano assieme e per lei la campionessa a cinque cerchi era un modello. «Una volta appresa la notizia non mi ripresi per due giorni» – dichiarò tempo fa.  Quindi a luglio, nel pieno della stagione agonistica, l’atleta si separò da Cybulski, tecnico dalla personalità molto complicata da gestire e con cui anche un altro grande martellista, Szymon Ziółkowski, oro olimpico a Sydney 2000, ebbe alcuni problemi.

La 24enne di Rawicz si fece seguire da due trainer prima di decidere di andare a Berlino da sola, priva di un coach, in totale autonomia. Non solo: prima di partire per la capitale tedesca, per colpa di un problema alla schiena, non riusciva ad allenarsi. I primi lanci li effettuò il giorno prima delle qualificazioni. Insomma, era stata colpita da un lutto pesante, si presentava alla gara senza una guida tecnica e in non perfette condizioni fisiche: c’erano tutte le condizioni per un esordio ai campionati mondiali disastroso. Avvenne l’esatto contrario. Włodarczyk vinse l’oro iridato con 77,96, nuovo primato personale e mondiale siglato di fronte e in casa di Betty Heidler, campionessa iridata in carica, che chiuse la gara al secondo posto.

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ALCUNE DIFFICOLTÀ, POI I TRIONFI. La ragazza di Rawicz raggiunse così il punto più alto della sua carriera. Sembrava l’inizio di un’ascesa senza fine, confermata anche da un nuovo record iridato stabilito a Bydgoszcz il 6 giugno 2010 (78,30), tuttavia sopraggiunsero nuovamente i problemi alla schiena che l’avevano infastidita prima della gara di Berlino. Non riuscì così ad andare oltre il terzo posto ai campionati Europei di Barcellona e, in particolare, i dolori alla colonna vertebrale la limitarono molto nel 2011, tanto che non si confermò ai mondiali di Daegu, finendo fuori dal podio (quinta). Al contempo, la tedesca Heidler si riprese il record primato del mondo lanciando il martello ad Halle a 79,42. Fu però dall’anno successivo che cambiò il suo status, passando da grande atleta a leggenda dello sport polacco: a Helsinki, nel 2012, conquistò il suo primo titolo europeo in carriera, mentre ai Giochi Olimpici di Londra e ai campionati iridati di Mosca del 2013, si aggiudicò la medaglia d’argento dietro Tatyana Lysenko, atleta che successivamente venne squalificata per doping e a cui vennero tolti i titoli che furono attribuiti alla polacca, capace così – seppur in maniera postuma – di aggiudicarsi il primo oro a cinque cerchi e il secondo titolo iridato. L’ascesa continuò, perché dal 2014 al 2018 non sbagliò più in colpo. Ad agosto 2014 portò in Polonia il secondo titolo continentale (ottenuto a Zurigo) e si riappropriò con un lancio a 79,56 del record iridato (stabilito a Berlino); nel 2015 firmò il terzo titolo mondiale (a Pechino) e fu la prima donna al mondo capace di abbattere il muro degli 80 metri (81,08 a Cetniewo).

Il 2016 coincise col suo anno di grazia: oro europeo, il terzo in carriera, centrato ad Amsterdam; nuovo record del mondo, 82,98, registrato a Varsavia e che resiste tuttora; titolo olimpico, stavolta conquistato sul campo a Rio De Janeiro (in quel caso col primato iridato di 82,29) e con la medaglia ricevuta da Irena Szewińska, circostanza che la fece piangere di gioia come poche altre volte. Una stagione perfetta, che portò Włodarczyk a ricevere il premio come miglior atleta dell’anno dalla rivista Usa Track and Field news, dal giornale specializzato britannico Atheltics International e all’inizio del 2017 da Przegląd Sportowy, che solitamente assegna gli oscar dell’anno nel gennaio successivo. Un vero e proprio trionfo per lei, tanto da essere premiata dal presidente della Repubblica di Polonia Andrzej Duda con la Croce degli ufficiali dell’Ordine della Polonia Restituta “per risultati sportivi eccezionali, per la promozione della Polonia a livello internazionale”. «A lei mi lega un aneddoto che risale ai campionati Europei di Barcellona – racconta Silvia Salis, genovese, ex martellista della nazionale italiana e attuale consigliere Fidal – Si qualificò in finale al primo lancio con estrema facilità (74,54, ndr), mentre tutte noi dovevamo sudare per il passaggio del turno. Dal punto di vista tecnico, stiamo parlando di un’atleta strepitosa, il suo gesto tecnico è da mostrare ai giovani che si avvicinano a questo sport: non è scontato, non tutti i big del martello lanciano bene come lei. Riesce a sviluppare sempre una forza centrifuga molto alta, con l’attrezzo sempre vicino alla traiettoria ideale: non c’è niente da dire, la scuola polacca ha sempre cresciuto e prodotto specialisti di enorme spessore e lei è un perfetto esemplare. Purtroppo – completa la sua analisi – non l’ho potuta conoscere molto. È una persona introversa».

Il resto della storia di Włodarczyk è storia recente, dal terzo titolo mondiale di Londra del 2017, al quarto continentale di Berlino del 2018 (a distanza di nove anni dall’oro iridato), a un 2019 in cui ha deciso di farsi da parte per colpa di un infortunio: avrebbe potuto recuperare in extremis per prendere ai campionati del mondo di Doha, tuttavia Anita ha deciso di recuperare appieno e preparare così l’assalto al terzo oro olimpico. Tokyo per lei sarà verosimilmente la sua ultima occasione a cinque cerchi ed è per questo motivo che ha deciso di puntare tutte le sue fiches in quella occasione.

CHI È. Ricapitolando: due ori olimpici, quattro europei, tre mondiali, il record iridato ancora nelle sue mani. Dal cycle speedway a Rawicz, a essere una delle atlete più forte di sempre, Włodarczyk ne ha fatta di strada. Ed è impressionante la sua mentalità, la sua voglia di essere protagonista e di primeggiare tipico dei campioni: grande lavoratrice («ho fatto enormi sacrifici per diventare una campionessa») ed estremamente attenta nella cura dei dettagli, atteggiamento che l’ha portata negli anni a lavorare con uno psicologo per migliorarsi. Non solo, perché in un’intervista a Michał Kołodziejczyk (al tempo a Rzeczpospolita) dichiarò che tutto era subordinato alla sua professione di atleta, tanto che escludeva al tempo la possibilità di avere un figlio durante la sua carriera. Dal punto di vista della vita di tutti giorni, è rimasta una persona semplice: legata alla sua famiglia d’origine, introversa, tanto che da anni si allena da sola con Krzysztof Kaliszewski («e il fatto di aver conquistato così tante medaglie non mi fa parlare automaticamente con tutti»); sensibile («mi si spezza il cuore quando vedo un anziano camminare per strada e stancarsi per questo»), interessata alla cucina, si diverte a fare shopping al mercato quando non gareggia. Una donna normale ma speciale nella storia dell’atletica leggera: «Non mi sorprende che sia paragonata a Irena Szewińska – spiega Filip Kołodziejski di Tvp Sport – È una garanzia di medaglie d’oro, solo gli infortuni la possono fermare com’è avvenuto quest’anno in Qatar. La nazionale perse un titolo sicuro e gli organizzatori dell’evento una stella riconosciuta in ogni angolo del mondo. I suoi risultati sono eccellenti e per registrarne e raccontarne altri è solo una questione di tempo. Entrare in contatto con lei non è facile, anche i giornalisti lo sanno bene. Rimane il rispetto per un’atleta straordinaria e i suoi successi sono per noi una gioia».

In attesa di aggiornare la storia, vale la pena chiudere con un altro passaggio della chiacchierata con Michal Kołodziejczyk, riferite alle sensazioni che provò dopo l’oro olimpico di Rio: «Non sognavo di arrivare così in alto – disse -. Lo sport per me era soltanto un modo per passare il tempo libero. Quando gli altri andavano in discoteca, nei pub, mi allenavo. Decisi di fare sul serio quando lanciavo 52 metri. Ora sono la primatista mondiale».

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