Arrivati al loro secondo album –Niechęć anch’esso- i cinque musicisti varsaviani sono ormai icona di un avant-jazz apprezzato oltre i suoi naturali confini.
di Salvatore Greco
Sulle pagine di PoloniCult avevamo dato spazio in passato alla scena avant-jazz, ma l’esperienza di ascolto di Niechęć è decisamente su un altro piano.
La scelta curiosa di questa band varsaviana è stata quella di dare il proprio nome al secondo disco anziché al primo (Śmierć w miękkim futerku, uscito nel 2012). Così Niechęć dei Niechęć non è un incoraggiante album di esordio, ma un disco maturo, completo e ben bilanciato, essendo quest’ultima un’esigenza fondamentale all’interno di un genere musicale per sua natura non facile come l’avant-jazz. L’abilità dei Niechęć in particolare è quella di saper coniugare saggiamente improvvisazione e sperimentazione noise con passaggi e ispirazioni più classiche che pescano a piene mani nell’universo rock con risultati più che apprezzabili. Niechęć –l’album- era uscito il 1 aprile 2016 e curiosamente sparito dall’etere nei giorni successivi tanto da far pensare per un po’ a un bizzarro pesce d’aprile. Ora la sua potenza sonora è di nuovo tranquillamente ascoltabile e scaricabile per chi volesse dall’ottimo Bandcamp. Bastano i nove minuti di Koniec, il brano di apertura del disco, per capire che non siamo di fronte a un consueto lavoro avant-jazz fatto di sincopi sonore, impro distoniche ma a qualcosa di profondamente diverso.
Il mix di atmosfere di Koniec, dal riverbero iniziale ai prepotenti cambi di ritmo trascinati dall’ottimo sax di Maciej Zwierzchowski, dà già l’idea di quello che verrà. Se pensavate a complessità sonore inarrivabili da Supersilent vi eravate sbagliati. Il disco prosegue con il favoloso prog di Rajza dove ogni tendenza alla distorsione viene momentaneamente abbandonata e l’ammiccamento al mondo rock si fa più evidente. Batterie e tastiere più il solito immenso sax riescono a portare le sonorità calde del jazz all’interno di un mood solitamente abitato da riff di chitarre distorte.
Una certa vena cupa apre l’intro di Echotony con riverberi e suoni che fanno da culla ancora una volta a un’improvvisazione di sax e poi aprono la strada a un’inattesa nuova progressione, cosa che per altro si ripete un po’ meno bene in Metanol. Krew invece ha il pregio di ritornare un po’ sui passi dell’avant-jazz più sincero, tornano le improvvisazioni di sax e tastiere, mixate all’interno di un brano che –nonostante la prima apparenza- ha una consistente logica interna. Molto efficace Widzenie, quasi un omaggio alle grandi colonne sonore del cinema d’altri tempi, ovviamente “trattato” nello stile per cui assieme al piano danzante d’accompagnamento si avvicendano una batteria pressante e improvvisi stop che portano il brano a una rapida progressione/regressione di potente improvvisazione jazz con l’ennesimo sax disperato accompagnato dall’ennesima batteria indemoniata che alla fine reincontrano il piano dell’apertura. Il cinema dovrebbe seriamente pensarci.
Verso la fine dell’album, con Atak, esplode vivida la commistione delle due anime –quella avant-jazz e quella prog-rock- dei Niechęć, ma è soprattutto il brano di chiusura Trzeba to zrobić a fare la summa di un album notevole e complesso come questo Niechęć. L’apertura morbida del brano si carica di suoni più duri quando entra in gioco la batteria, ancora una volta “picchiata” con ritmi e colpi che poco hanno apparentemente a che fare con il mondo delle percussioni jazz. La chiusura, una claustrofobica e prolungata improvvisazione di sax, è la chiosa più degna possibile del disco. Niechęć insomma è un disco che può essere apprezzato persino chi è completamente digiuno di jazz e da chi teme che il mondo avantguard sia elucubrazione capricciosa destinata solo agli addetti ai lavori. Provare per credere.
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