Muranów – storie da una Varsavia che non c’è.

Muranow - varie

Con echi di Venezia nel nome e lunghe pagine legate alla storia dell’ebraismo, Muranów oggi  fa i conti con sé stesso e la sua identità.

di Salvatore Greco

Guardando Varsavia su una mappa, Muranów non c’è. Perché da un punto di vista amministrativo, Muranów non esiste, occupa – al più nominalmente – un’area divisa tra l’unità amministrativa di Wola e quella di Śródmieście. Eppure, a nessuno che abiti stabilmente una delle vie racchiuse tra ulica Leszno e Aleje Solidarności a sud, Okopowa a Ovest, Miodowa a est e i binari della ferrovia a nord verrebbe mai da dire nulla di diverso che “abito a Muranów”. Perché Muranów è un luogo dell’anima, una parte fondante della storia e della vita pulsante di Varsavia, anche senza uffici amministrativi che portano il suo nome.

Il nome appunto. Franek, un dottorando in storia che nel tempo libero organizza tour gratuiti con l’organizzazione Secret Warsaw, racconta con malcelato piacere il piccolo segreto che porta in dote: il nome Muranów è legato a doppio filo a Venezia e in particolare all’isola di Murano, celebre patria dei maestri vetrai della Serenissima, voluto da Simone Giuseppe Bellotti, architetto veneziano adottato dalla corte polacca che nel 1686 progettò qui un palazzo a cui diede il nome di Muranów in ricordo della sua patria lontana.

Di quel palazzo non è rimasta traccia, caduto in rovina e demolito a inizio Novecento, ma che con tutta probabilità non sarebbe comunque sopravvissuto al destino condiviso da quasi la totalità della Varsavia pre-bellica, portata via dai bombardamenti del ’39 e poi dalle conseguenze dell’insurrezione fallita del ’44. Oggi Muranów è un agglomerato di case silenziose, disegnate con modestia e precisione e attorniate da pochi ma riconoscibili luoghi significativi.

E rispetto a un tempo, Muranów sorge qualche metro più su, unico rilievo nell’orografia piatta di Varsavia. Una collina artificiale che ha poco da vantarsi per la sua visuale unica. Se svetta e si isola dal resto della città è infatti perché sorge su tonnellate di macerie, quelle del ghetto ebraico liquidato dalle SS il 16 maggio 1943. Per una beffarda ironia della storia, un luogo che prende il nome di un’eccellenza veneziana divenne luogo deputato allo stivamento coatto degli ebrei varsaviani, riconosciuto con la parola veneziana più nota al mondo: ghetto appunto. La storia della Varsavia ebraica appartiene a Muranów. Lca storia degli ebrei polacchi tutti è legata a Muranów.

Per raggiungere il quartiere, che si trova nella zona settentrionale del centro città, si può decidere per la metropolitana o per il tram. Nessuno dei due mezzi entra davvero nel cuore di Muranów, tuttalpiù ci lascia alle porte del quartiere come una preghiera di togliersi le scarpe prima di entrare, una cortesia che gli si concede volentieri. Arrivando in metro alla stazione Ratusz Arsenał, uscendo dal lato giusto, si ha il primo incontro con il quartiere a partire da un’istituzione che ne porta il nome: Kino Muranów, probabilmente il cinema d’essay prediletto di Varsavia con un programma di proiezioni sempre originale, numerosi festival durante l’anno e il pubblico più educato e rispettoso di tutta la capitale.

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Kino Muranów con la sua iconica insegna rossa al neon è la porta d’ingresso del quartiere, ma non ne fa davvero parte né per la geografia né per la storia dal momento che è nato nel dopoguerra. «0Muranów è puro silenzio» racconta sempre Franek la guida «Se senti rumore di auto o altro, vuol dire che ti stai già avvicinando ai suoi confini». E in effetti qui davanti al cinema si sente scrosciare la fontana senza nome che i varsaviani chiamano wędrująca, ovvero vagabonda, perché dalla sua inaugurazione un secolo e mezzo fa ha cambiato posto innumerevoli volte. E non c’è solo la fontana, ma anche il traffico di ulica Andersa, una delle arterie principali di questo quadrante. Dentro al cinema invece sembra di entrare in una macchina del tempo puntata sulla belle epoque, con le sale sui lati e al centro un bar scintillante che profuma di caffè buono. «Lavoro a Kino Muranów da circa sei mesi e mi piace moltissimo, soprattutto l’atmosfera che ci si respira. Al giorno d’oggi, con tutti i multisala che ci sono, quell’aria da cinema vero ce l’hanno pochi posti. Lo senti che è diverso e la gente che ci viene non è qui per caso» racconta Ola, una giovane studentessa e dipendente del cinema che poi aggiunge «Da noi non hai la sensazione che il cinema debba essere solo piacere e intrattenimento ma anche qualcosa che ti fa pensare, che ti costringe a riflettere e questo mi piace molto». Un concetto che non si ferma solo al cinema, ma all’esperienza a tuttotondo che questi dintorni ispirano. In particolare, pensando all’evento più noto tra quelli organizzati da Kino Muranów, ovvero il festival del cinema di argomento ebraico che ogni anno riporta nel quartiere i suoni e le immagini di un mondo che era realtà fino a ottant’anni fa, ma che oggi non lo è più. E in particolare colpiscono le parole di Ola a riguardo: «L’evento è molto seguito, grazie alle collaborazioni con le organizzazioni culturali ebraiche l’ingresso è gratuito e quindi c’è grande partecipazione, ma se devo essere sincera penso che, nonostante tutto, gli spettatori lo percepiscano come uno degli altri festival di cinema stranieri, al pari di quello di film italiani o francesi, non mi è mai capitato di parlare con spettatori che lo sentissero diversamente, il primo pensiero è che si tratti di cinema israeliano».

Lasciandosi alle spalle Kino Muranów su per le scale che portano alla collina vera e propria del quartiere il rumore si assopisce sensibilmente, proprio come diceva Franek, e qui la città sembra assorbita nel silenzio: sparute auto ogni tanto, ragazzini in bicicletta, dalle case non arriva nessun suono, in un’atmosfera che è al contempo rassicurante e sinistra. «Muranów ha la fama di posto tranquillo e se la merita tutta, negli anni Novanta era anche un posto un po’ noioso dove vivere» racconta Marek, produttore musicale oggi residente a Praga ma cresciuto proprio da queste parti «negli ultimi anni si è molto rivalutato, con le attività del cinema, alcuni locali, ma per anni è stato un posto un po’ triste e forse non poteva essere altrimenti per la sua storia». Per cercare di immaginare la Muranów che fu, nel periodo di prima della guerra ma anche nei decenni passati di ricostruzione, porto con me lo splendido libro dedicato al quartiere da Beata Chomatowska, un’opera ricca di testimonianze, racconti e immagini della storia di questa zona.

La vecchia Muranów ha cessato di esistere il 16 maggio del 1943, quando alle 20:15 saltò in aria la Grande Sinagoga di via Tłomacka. Dopo dieci giorni di preparativi, il capo delle SS Jurgen Stroop, il kat del ghetto di Varsavia, premette personalmente il pulsante del generatore elettrico che fece partire in un sol colpo i detonatori di tutte le cariche celate nelle mura dell’edificio. E poi descrisse tutto a Heinrich Himmler nel rapporto che sulla copertina in pelle nera annunciava trionfale in caratteri gotici: “Il quartiere ebraico di Varsavia non esiste più!”.

Ripensando alle parole di Ola, il proposito di Stroop sembra essersi realizzato. Cosa è rimasto del quartiere ebraico di Varsavia se un festival di cinema dedicato a quella cultura è percepito come straniero dai suoi stessi abitanti? E inoltre, cosa rimane di quella città pulsante di vita che oggi compone le spesse e sopraelevate fondamenta di questo nuovo quartiere? Aggirandosi tra i condomini silenziosi, le piazzette dove non è permesso giocare a pallone, i piccoli negozi e le palazzine colorate a tinte pastello della nuova Muranów, si ha l’impressione che potrebbe non avere nessuna storia o potrebbe averne troppa, abbastanza da non avere voglia di raccontarla oltre.

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È un’impressione questa che passa presto, facendo ancora qualche metro verso il cuore di Muranów e arrivando alla piazza inclusa tra via Anielewicz e via Zamenhof e già la toponomastica inizia a raccontare una storia nuova. Fermandosi qui davanti è impossibile evitare con lo sguardo la maestosa costruzione a parallelepipedo che occupa la piazza. È il POLIN, il Museo della Storia degli Ebrei Polacchi aperto nel 2013 e premiato recentemente come miglior museo d’Europa. Il luogo di fondazione del museo non è casuale, nel cuore del vecchio quartiere ebraico e del ghetto istituito dai nazisti durante l’occupazione, ma la missione del POLIN non è quella di essere un Museo dell’Olocausto. «L’intento del museo è quello di raccontare una storia lunga secoli, quella vissuta dai cittadini di religione e cultura ebraica in Polonia, una storia ricca di avvenimenti importanti e contatti significativi con il resto della comunità» raccontano fonti del museo «Naturalmente l’Olocausto, i campi di concentramento e le terribili sofferenze di quegli anni fanno parte di questa storia ed è nostro dovere ricordarle, ma non possono e non devono essere l’unica immagine della vita degli ebrei polacchi». Una visita al POLIN è d’obbligo per chiunque si avventuri da queste parte purché metta in conto di passarci dalle tre alle cinque ore, tante ne servono per godere a pieno delle testimonianze di “mille anni di storia degli ebrei polacchi”. Proprio di fronte all’ingresso principale del museo si trova il maestoso monumento agli eroi del ghetto, un complesso in bronzo dipinto di nero con figure plastiche di gusto piuttosto classico. Più discostato, su un lato della piazza dove i turisti senza guida non capitano e dove si addensano perlopiù anziani intenti a passeggiare, si trova la targa commemorativa dell’omaggio agli eroi del ghetto del cancelliere della Germania Ovest Willy Brandt, primo e significativo gesto da parte delle autorità tedesche come riconoscimento delle responsabilità nell’Olocausto.

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Superando il POLIN e i suoi dintorni, Muranów torna un po’ a sbiadire e a mescolarsi con il resto di Varsavia, le strade si rifanno più larghe, ci si avvicina alle arterie più trafficate e più rumorose tra cui via Stawki. Lungo questa strada trafficata e rumorosa tuttavia sorge un altro punto estremamente significativo per la storia di Muranów e dell’ebraismo polacco: è il sobrio monumento dell’Umschlagplatz, che sorge proprio al posto dell’antica piazza dove venivano stipati i detenuti del ghetto destinati a Treblinka. Non molto ben segnalato, un po’ nascosto ai tradizionali percorsi turistici, questo monumento è più un luogo di preghiera e ricordo che non un punto da visitare. Non è raro trovarci gruppi di persone parlottare tra loro in ebraico.

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Nel proseguire su via Stawki ci si allontana ancora di più dalla Muranów originale e ci si avventura in strade più ampie che portano poi verso la Vistola, la Città Vecchia o allo storico stadio di via Konwiktorska, quello dove gioca il Polonia Warszawa. Tagliando di nuovo verso il centro del quartiere, riprendendo la confortevole e verdissima via Edelman, è d’obbligo infilarsi di nuovo tra i condomini e le stradine con una consapevolezza diversa. A quegli anni Novanta di noia di cui parlava Marek il quartiere ha risposto con dinamiche tipiche dei quartieri rigenerati, ovvero lasciando spazio agli artisti di strada. Con alterne fortune e reazioni da parte dei residenti non sempre entusiaste, artisti singoli e collettivi come i ragazzi di Dwie Panie, hanno dato ad alcune insospettabili stradine di Muranów forma e colore attraverso opere che -per la maggior parte almeno- richiamano la storia del quartiere, i suoi personaggi, le vecchie atmosfere e dialogano con la zona nel tentativo di restituirle ciò che decenni difficili e logiche razionalistiche avevano preferito nascondere.

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Paragonato ai quartieri ebraici delle altre città europee, Muranów non è altrettanto caratteristica, non dà la sensazione di evocare il passato e del resto nemmeno ci prova. Come tutta Varsavia a eccezione della Città Vecchia, Muranów fa i conti con il passato con onestà, lo ha vissuto e sofferto, lo racconta e lo reinterpreta. A differenza delle consorelle di posti come Cracovia o Praga, la Varsavia ebraica non nasconde la sua distruzione ma la compenetra di ricostruzione nello spirito di una città che anche nei giorni peggiori ha sempre scelto di essere viva e autentica, mai mausoleo di sé stessa.

Una giornata per le vie di Muranów è un’esperienza da fare, per confrontarsi con il carosello di architettura socialista e nuovi condomini pastello che scovano esperienze di street art inimmaginata, per passeggiare tra gli splendidi spazi verdi tutto attorno, per visitare il POLIN e viaggiare davvero dentro la storia, per andare a Kino Muranów e godersi una proiezione d’altri tempi, magari nella sala Zbyszek, quella dedicata a Zbigniew Cybulski e che è la preferita di chi in quel cinema ci lavora, parola di Ola.

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