Estratto da Il mundial di Karol, libro di Alberto Bertolotto dedicato alla nazionale polacca ai mondiali di Spagna del 1982.
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di Alberto Bertolotto
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Pubblichiamo oggi in esclusiva, su concessione di Alba Edizioni, il capitolo La Banda dei quattro tratto da Il mundial di Karol, libro di Alberto Bertolotto dedicato alla nazionale polacca ai mondiali di Spagna del 1982. Il capitolo tratta nel dettaglio la storia nota come “l’incidente di Okęcie”, un incidente diplomatico consumato il 28 novembre 1980 all’aeroporto di Varsavia prima del match di qualificazione contro Malta che la Polonia avrebbe dovuto giocare per raggiungere la fase finale dei campionati del mondo di due anni più tardi.
Buona lettura
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L’impegno con Malta è alle porte ma prima è doveroso fare un passo indietro, tornando all’elezione a papa di Karol Wojtyła. Le autorità comuniste, come sottolineato, non avevano appreso di buon grado la notizia. E, successivamente, non erano state in grado di bloccare il primo pellegrinaggio in patria di Giovanni Paolo II, avvenuto nel giugno del 1979 a Varsavia. Durante la messa, celebrata di fronte a centinaia di migliaia di persone, il pontefice aveva terminato l’omelia con queste parole: «E grido, io, figlio di terra polacca e insieme io, Giovanni Paolo II papa, grido da tutto il profondo di questo millennio, grido alla vigilia di Pentecoste, grido con tutti voi: Scenda il tuo Spirito! Scenda il tuo Spirito! E rinnovi la faccia della terra. Di questa terra!». Wojtyła, nel suo viaggio pastorale, si era recato a Cracovia e precisamente a Nowa Huta, quartiere voluto da Josif Stalin per creare un’industria siderurgica di grandi dimensioni nel territorio di un alleato sovietico. Qui si era rivolto agli operai affermando che la Chiesa non ha paura del mondo del lavoro e che Cristo non approverà mai che l’uomo sia considerato o consideri sé stesso come semplice mezzo di produzione. Questi e altri messaggi avevano toccato corde sensibili ai polacchi, avevano smosso coscienze e fatto nascere una nuova speranza. Il popolo oppresso dalla dittatura comunista aveva visto in Karol Wojtyła la persona in grado di cambiare le loro vite. E l’anno dopo, qualcosa di particolarmente significativo, capitò davvero.
Durante l’estate 1980 la Polonia viene travolta da una nuova ondata di scioperi. Il motivo è sempre legato a un aumento di prezzi deciso dal governo. Il 16 luglio viene stabilito un rincaro del 30% della carne, fatta eccezione per quella ovina. La protesta si accende a Lublino, dove gli operai incrociano le braccia, e arriva sino alla costa baltica, a Danzica, già teatro di scontri molto accesi negli anni ’70. L’epicentro della scossa si registra ai cantieri navali Lenin. Oltre ai motivi economici, i lavoratori non digeriscono affatto il licenziamento improvviso di Anna Walentynowicz, una gruista ormai vicina alla pensione. Attivista del Movimento della Giovane Polonia, un gruppo di studenti anti-comunisti in contatto con le strutture clandestine del sindacato operaio, la donna aveva voluto rendere note le terribili condizioni in cui i lavoratori erano costretti a esercitare la loro professione. È la goccia che fa traboccare il vaso. A guidare la protesta è un elettricista che lavora nei cantieri: il suo nome è Lech Wałęsa. Già noto alle autorità comuniste, arrestato nel 1970 e rimasto in prigione per un anno per aver incitato allo sciopero nella fabbrica in cui lavorava, dotato di uno straordinario carisma, trascina la massa sino a proclamare una giornata di sciopero nella giornata del 14 agosto. Viene stilata una lista di 21 richieste, “21 tak!”, riconosciuta poi nel 2003 dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. La più importante di queste, scritte da Arkadiusz Rybicki, è la creazione di un sindacato indipendente dalle autorità. La protesta prosegue compatta con il leader che riesce nel compito di tenere unite le maestranze. Il governo comunista, allarmato per l’ondata rivoluzionaria, si trova costretto a trattare con i lavoratori. Lo sciopero continua sino al 31 agosto quando Wałęsa – in rappresentanza degli operai – e gli uomini del regime, saliti da Varsavia nella località baltica, firmano gli Accordi di Danzica. Nasce Solidarność, il primo sindacato libero e riconosciuto dalle autorità in un Paese del blocco sovietico. Si tratta di un evento epocale, capace di cambiare la storia non solo della Polonia ma dell’intera Europa dell’Est. Nel giro di poco tempo aderiscono all’organizzazione a tutela dei lavoratori ben 10 milioni di operai.
In questo clima di rivoluzione legalizzata, la nazionale di calcio si accinge a preparare il primo incontro di qualificazione ai campionati mondiali di Spagna del 1982. La partita è in calendario il 7 dicembre, l’avversario è Malta. I biancorossi, lo ricordiamo, sono stati inseriti nell’unico gruppo composto da tre selezioni: l’altra squadra in gara è la temibile Germania Est. Il ritrovo, per gli uomini di Ryszard Kulesza, è fissato il 28 novembre all’Hotel Vera di Varsavia. Il giorno successivo è in programma la partenza dell’aeroporto cittadino di Okęcie. I biało-czerwoni sostengono un ritiro in Italia, dove giocano un’amichevole con il Perugia, prima di volare verso l’isola del Mediterraneo. Lo staff decide di partire con netto anticipo in quanto l’incontro si tiene due settimane dopo la fine del round autunnale del campionato polacco e allenarsi in un Paese più caldo e a lungo non può che giovare alla condizione fisica dei giocatori. Kulesza, una volta radunato il gruppo, si assenta. Ha un appuntamento per una telefonata internazionale con Grzegorz Lato. Il capocannoniere dei campionati mondiali del 1974 si trova in Belgio, dove gioca nel Lokeren. L’obiettivo della chiamata è convincerlo a tornare in nazionale, con cui aveva chiuso dopo il match di settembre con la Cecoslovacchia. Władysław Żmuda, il capitano, è invece costretto a tornare a Łódż perché ha dimenticato a casa il passaporto.
L’atmosfera è elettrizzante. «La notte prima della partenza – racconta Zbigniew Boniek – la maggior parte della squadra esce per bere una soda o qualcos’altro». Tra questi c’è Józef Młynarczyk, portiere, in forza al Widzew Łódż. Soltanto 23 giorni prima è stato protagonista di una grande prestazione a Torino, contro la Juventus, nei sedicesimi di finale di Coppa Uefa. La partita era terminata 3-1 per i bianconeri dopo i due tempi supplementari e, per decretare il vincitore del turno, si era andati ai calci di rigore, considerato il 2-0 dei Polacchi conseguito nella gara d’andata. Ai penalty il numero uno si era esaltato neutralizzando i tentativi di Causio e Cabrini, e regalando così ai suoi compagni il passaggio agli ottavi di finale. La trasferta in Italia è il motivo dell’uscita serale varsaviana. Wojciech Zieliński, giornalista sportivo, invita Młynarczyk, suo amico, a bere qualcosa assieme perché vuole avere qualche notizia in più relativa a sua moglie, che si era trasferita proprio nel Bel Paese e conosceva diversi giocatori. Gira voce che fosse uscita con altri uomini e il cronista cerca di ottenere qualche notizia rassicurante dal portiere, che esce privo di autorizzazione assieme a Włodzimierz Smolarek, già compagno di squadra del Widzew. Quest’ultimo sceglie di lasciare l’hotel per andare a cenare in un altro locale perché il cibo dell’albergo non era di suo gradimento. Il terzetto si dà appuntamento alla discoteca Adria. A quanto pare Zieliński comincia a offrire diversi bicchieri di champagne a Młynarczyk, sperando di disinibirlo al fine di ottenere maggiori informazioni relative a sua moglie. La serata prosegue, anche se il portiere non riesce a essere d’aiuto. Smolarek lascia la discoteca attorno alle 2 mentre i due rimangono assieme sino a poco prima delle 5, quando decidono di tornare in albergo. Una volta arrivati, fuori dall’hotel Vera si trova il colonnello Roman Lisiewicz, al seguito della squadra, e avvertito di quanto stava accadendo, secondo la versione ufficiale, dalla receptionist. Il cronista e il portiere, però, non si fermano. Tirano dritti e proseguono la serata a casa di Zieliński. Vi rimangono sino alle 7, quando Młynarczyk raggiunge in albergo il resto della nazionale, ormai pronta per fare colazione. I postumi della nottata trascorsa si fanno sentire, tanto che è Smolarek a caricare le sue borse sul bus che porta la squadra all’aeroporto di Okęcie.
Qui ha inizio lo scontro. Lisiewicz, insieme al viceallenatore Bernard Blaut, informa il ct Kulesza della situazione. Quest’ultimo, dopo essersi confrontato con il colonnello e il suo secondo, decide di lasciare in Polonia il portiere. Blaut comunica la scelta, scatenando le reazioni dei giocatori. Smolarek non la accetta e con lui i compagni di squadra al Widzew, vale a dire Żmuda, Boniek e pure Terlecki, attaccante in forza all’altro club di Łódż, il Łks. Il quartetto cerca di far cambiare idea all’assistente del commissario tecnico, che tuttavia è irremovibile. Suggeriscono, però, che la decisione finale venga presa dal capo-allenatore una volta arrivati a Okęcie. La squadra parte così per l’aeroporto priva di Młynarczyk e Terlecki. Quest’ultimo, infatti, si offre di accompagnare il numero uno a destinazione con la sua auto, una Lada.
Probabilmente il caso non sarebbe scoppiato se, una volta giunti all’area partenze, non si fossero trovati sul posto due giornalisti, Bogdan Chruścicki (che lavorava per una radio) e Jacek Gucwa (cronista televisivo), e un fotografo, Remigiusz Hetman (del settimanale Piłka Nożna). «Un giocatore ubriaco prima di una gara: questo è ciò che pensavano. E così fecero uno scoop!» racconterà poi il giornalista Stefan Szczepłek. «Stavo recandomi a Okęcie senza un piano – spiegherà Gucwa – dovevo solo girare delle immagini relative alla partenza della nazionale per Roma. Non pensavo a nulla di speciale. Avrei sentito l’allenatore, che avrebbe dichiarato di essere pronto per la trasferta; avrei intervistato i calciatori. Ma una volta arrivato mi resi conto di ciò che stava accadendo. Ed è così che accesi la telecamera: se non l’avessi fatto, avrei dovuto cambiare lavoro». All’aeroporto inizia il confronto tra i biancorossi che difendono Młynarczyk e lo staff tecnico, in particolare Kulesza. Terlecki fa di tutto affinché i cronisti non riprendano ciò che sta succedendo. Stacca la spina di alcune telecamere mentre Boniek, vedendo avvicinarsi un giornalista, pronuncia la frase diventata poi celebre in Polonia: «Weż pan ten mikrofon!»(Metti via quel microfono!). Come dire: sono fatti nostri, non interessatevi. La stella del Widzew assieme a Żmuda e Terlecki convince Kulesza a cambiare idea, nonostante l’intervento del team manager Zbigniew Nalezyteg e del segretario generale Zbigniew Kalinski. «Altrimenti – questa è la condizione – noi non partiamo per l’Italia». Ed è così che anche Młynarczyk sale sull’aereo per Roma.
Il giorno dopo il suo arrivo in Italia– il 30 novembre – la nazionale, a quanto pare su insistenza di alcuni giocatori, su tutti Terlecki, viene ricevuta in udienza da papa Giovanni Paolo II in Vaticano. La squadra regala al Santo Padre un pallone firmato da tutti i componenti della rosa e una maglia biancorossa con il nome Karol Wojtyła scritto sulla schiena. La Federcalcio non vede di buon occhio l’appuntamento. Già l’elezione del pontefice non era stata ben accolta dall’apparato dirigenziale comunista, figurarsi l’incontro, in particolar modo in seguito ai fatti avvenuti all’aeroporto di Okęcie. «Si registrò una buona affluenza – affermerà Szczepłek –. L’investitura del papa era una nuova situazione anche per i biało-czerwoni, con conseguenze sconosciute. Le autorità a proposito erano molto nervose». A organizzare l’incontro – non autorizzato dai vertici dello Stato – è Terlecki, che continua così a sfidare il regime. Classe 1955, nativo di Varsavia, figlio di professori, il giocatore ha già collezionato 29 presenze e segnato 7 reti con la nazionale polacca. È uno degli elementi di maggior valore a disposizione di Kulesza ma, al contempo, uno dei più temuti da parte delle autorità. Laureato in storia all’università di Łódż, è l’unico calciatore che ha conseguito un titolo accademico in una facoltà umanistica (i suoi colleghi studiavano educazione fisica). Sostenitore di Solidarność, a Łódż, dove vive, ha partecipato agli scioperi organizzati dagli studenti della sua vecchia università. Si sostiene che volesse formare il primo sindacato di calciatori. La Pzpn, informata dell’appuntamento con il Santo Padre, fiuta nell’aria un eccessivo desiderio di libertà da parte dei giocatori. Il presidente della Federcalcio Marian Ryba vola subito a Roma. Il caso è ormai andato ben oltre lo sport.
«Eravamo una sorta di diciottesima repubblica dell’Unione Sovietica – ricorderà Boniek –. In un Paese in cui vigeva il regime comunista i ruoli erano perfettamente assegnati. Tutto ciò che facevi poteva essere legato alla politica o usato per scopi politici. Come sportivo dovevi stare attento e farti solo gli affari tuoi. Se venivi coinvolto in altre questioni potevi subire le conseguenze».
La presenza in Italia di Ryba ha l’obbiettivo di costringere la “Banda czworga”, vale a dire “La banda dei quattro”, a tornare in Polonia. La decisione viene presa alle 17 del primo giorno di dicembre. È il presidente in persona a chiedere i passaporti ai dissidenti. È una scelta che fa notizia. «Quando ho saputo che Terlecki, Boniek, Żmuda e Młynarczyk erano stati obbligati al rientro mi sono subito confrontato con alcuni compagni di squadra – racconterà in seguito Marek Dziuba, difensore della nazionale –. Eravamo pronti a seguirli. Tuttavia, abbiamo deciso che, in questa situazione, un ulteriore indebolimento della formazione non avrebbe avuto senso. Siamo rimasti: c’era comunque la partita con Malta da disputare».
Intanto in Polonia la stampa sportiva va giù duro nei confronti della Banda czworga. “Senza comprensione per i colpevoli dello scandalo all’aeroporto” è il titolo del 1° dicembre di Przegląd Sportowy. Il quotidiano di Varsavia si aspetta una pena esemplare per Młynarczyk e il terzetto che l’ha difeso. Vuole una presa di posizione forte da parte della Pzpn che deve far capire chi comanda. Addirittura, si sostiene che siano arrivate molte chiamate in redazione da parte di lettori che chiedevano una punizione molto severa. «Non ho parole per descrivere ciò che è successo alla partenza per Roma – è il commento dell’editorialista Krzysztof Bazylow –. Non mi interessa se il portiere era ubriaco o cosa aveva bevuto: il problema, a mio parere, è che prima il tecnico Kulesza aveva deciso di lasciarlo a casa, poi i compagni di squadra gli hanno fatto cambiare idea. Di una eventuale sconfitta con Malta non mi preoccupo: di ko ne abbiamo subiti abbastanza. Spero solo che adesso si ripari all’errore commesso a Okęcie e che vengano puniti i giocatori. Spero che Młynarczyk venga squalificato a vita e che i suoi colleghi siano fermati per un lungo periodo. Vorrei capire però il ruolo della Pzpn, che ha lasciato solo l’allenatore». Il cronista sostiene inoltre che questo comportamento sia il risultato di un’eccessiva bontà da parte della Federcalcio, che ha reintegrato Boniek e Terlecki nel maggio del 1980. Nell’autunno del 1979, i due erano stati squalificati per comportamento irregolare in una partita a Lipsia. Furono richiamati per un incontro con la Germania Ovest perché la nazionale era in crisi.
Alle 14.30 del 2 dicembre atterra a Varsavia l’aereo proveniente da Roma con la “Banda dei quattro”. Ryba, dopo aver preso la decisione di sospendere i giocatori dalla nazionale e farli rientrare in Polonia, informa i cronisti sul fatto che i calciatori hanno preso coscienza della sciocchezza che hanno commesso e che il portiere devolverà 15 mila złoty alla Casa del Bambino a titolo di sanzione pecuniaria. Terlecki, Boniek, Żmuda e Młynarczyk, una volta scesi dall’aereo, vengono ospitati in tv. Il portiere ammette pubblicamente, e almeno in parte, le sue colpe: «So di essermi comportato in maniera poco corretta lasciando il ritiro. Ma ho dei problemi in famiglia e ho ceduto psicologicamente». Zibì, invece, difende il compagno: «Bisogna capire che a Józef è morto il papà da poco e che la mamma è rimasta da sola. Lui è tornato in hotel al mattino e non sembrava avesse abusato con l’alcol. Per questo eravamo sorpresi del fatto che lo si volesse lasciare a casa». Dice la sua anche Terlecki: «Era necessario prendere una decisione veloce all’aeroporto e l’unica cosa che interessava era avere Młynarczyk con noi, sia per il valore della persona sia per le sue qualità di portiere. Non ho mai pensato alle conseguenze del nostro gesto di difenderlo». In studio l’atmosfera si fa poi difficile per i giocatori. Il loro comportamento viene criticato duramente da alcuni giornalisti, che evidentemente non vogliono andare contro le opinioni di chi comanda. Przegląd Sportowy, nel frattempo, nell’edizione del 2 dicembre afferma: “Vedremo ora cosa deciderà la Pzpn in relazione alle sanzioni disciplinari”. Tempo, quotidiano sportivo di Cracovia, dopo aver titolato con Bunt na Okęciu (Ribellione a Okęcie), sottolineando come Kulesza fosse stato costretto ad accettare la condizione della Banda Czworga essendo solo contro tutti, al rientro dei giocatori in Polonia scrive: “I quattro famosi ritornano a casa. Ma la decisione non doveva arrivare mentre erano in viaggio”. A ogni modo, le sanzioni disciplinari saranno determinate dopo la partita con Malta. A tal proposito, lo staff tecnico e i giocatori devono ora soprattutto pensare alla sfida con gli isolani, in programma cinque giorni più tardi. Kulesza è costretto a rivedere la squadra, non potendo disporre più di ben quattro titolari oltre a Grzegorz Lato. L’attaccante si è convinto a tornare in nazionale ma non ha avuto tempo sufficiente per ricevere i visti necessari per la trasferta (prima in Italia e poi a Malta). Sono stati chiamati a rinforzare la squadra Waldemar Matysik (un centrocampista) e Krzysztof Budka (un difensore). Al posto di Młynarczyk in porta ci sarà Piotr Mowlik, già tra i convocati. Il ruolo di riserva sarà ricoperto invece da Zdisław Kostrzewa. Sono 14 in tutto gli elementi a disposizione del ct, che testa la nazionale in un’amichevole con il Perugia (serie B italiana) vinta per 2 a 0 grazie ai gol di Pałasz e Smolarek.
Salvo clamorose sorprese si giocherà all’Empire Stadium a Gżira, vicino a La Valletta. Si tratta di un impianto molto vecchio – tanto che chiuderà nel 1981 – il cui terreno non è in erba ma addirittura in sabbia: diventa fangoso e scivoloso quando piove. Queste condizioni nel 1971 avevano indotto il leggendario portiere inglese Gordon Banks a indossare due maglie per proteggersi ulteriormente nei tuffi. È un aspetto temuto da tutti i calciatori della nazionale biancorossa, che, infatti, decidono di scendere in campo con le mani coperte da una fasciatura per evitare abrasioni ed escoriazioni. È il 7 dicembre, la Polonia affronta la gara con una formazione rimaneggiata ma comunque di valore: Pałasz, Iwan e Smolarek sono gli attaccanti. Proprio quest’ultimo, dieci minuti dopo l’inizio della ripresa, sigla la rete dell’1-0 mettendo in porta da due passi un tiro-cross di Dziuba proveniente dal lato sinistro. Per la punta del Widzew Łódż si tratta del primo centro con la maglia della nazionale, gol che sblocca una partita che nel primo tempo aveva regalato ben poche emozioni. Malta cerca di reagire, Fabri spreca un’occasione d’oro da posizione favorevole, e così la squadra di Kulesza trova il 2-0. Al 30’ Pałasz, dalla sinistra, mette un bel pallone al centro per Lipka che, dopo aver stoppato la sfera, calcia a rete con il destro, superando Bonello. Dziuba è in posizione di fuorigioco ma, trovandosi dall’altra parte del campo, non influisce sullo sviluppo dell’azione. L’arbitro, lo jugoslavo Dusan Maksimovic, convalida immediatamente il gol, scatenando le furibonde proteste dei padroni di casa. Il direttore di gara viene assalito dai giocatori maltesi, che pretendono l’annullamento della marcatura. Il fischietto non cambia idea e così, dalla tribuna, cominciano a piovere insulti oltre che sassi all’assistente di linea. Maksimovic cerca di calmare gli animi, si dirige verso il pubblico ma anche lui riceve lo stesso trattamento. La partita riprende, tuttavia dopo due ammonizioni inflitte a Dziuba e Fenech, iniziano i veri problemi. In campo vengono lanciati oggetti dalle tribune. Sul terreno di gioco entra il presidente della Federcalcio maltese, Giuseppe Mifsud Bonnici, per provare a raffreddare il clima di rabbia e tensione. Il suo intervento non serve a nulla e i supporter continuano a lanciare sassi e pietre anche alla panchina polacca tanto che il tecnico maltese, Victor Scerri, deve scortare fuori dal rettangolo i dirigenti della nazionale avversaria. L’arbitro decide così di far terminare l’incontro al 32’ della ripresa sul risultato di 2 a 0 a favore di Smolarek e compagni. Finisce in campo ma non fuori. Ci vuole, infatti, più di mezz’ora affinché tutti i calciatori possano andare a farsi la doccia. I tifosi di casa, sistemati vicino alla porta dell’ingresso dello spogliatoio biancorosso, sono pronti nuovamente a lanciare pietre. Alcuni coraggiosi, come Skrobowski, decidono di sfidare il pubblico ed entrano subito a cambiarsi. Altri aspettano che si plachi la rabbia. Finisce così. Il risultato sarà omologato ufficialmente dalla Fifa pochi mesi dopo.
“Scandalo a La Valletta: la partita finisce 10 minuti prima della fine” è il titolo di Tempo, che apre così il servizio relativo al match: “Invasione scandalosa a La Valletta”. “Due reti e sassaiola – i primi punti nelle qualificazioni a Spagna ‘82” è, invece, lo strillo di Przegląd Sportowy. Nel servizio del quotidiano di Cracovia si osserva il fatto che “la Federazione di Malta ha fatto pressione affinché l’arbitro portasse a termine la gara. Tuttavia, lo stesso direttore non se l’è sentita di continuare”. «Mai visto una cosa del genere – è invece l’opinione di Kulesza al termine della partita –. Sono contento per i due gol, giocare in quelle condizioni non era facile. Era molto complicato stare in piedi. In alcuni istanti non si è giocato a calcio, poi per fortuna nel secondo tempo sono usciti i veri valori delle due squadre».
La Pzpn chiede che il match degli isolani con la Germania dell’Est venga disputato nello stesso stadio ma a porte chiuse. «Non devono essere favoriti i tedeschi» afferma Ryba. Alla fine, il campo verrà squalificato per un match e la DDR giocherà sempre allo stadio di Gzira ma a porte aperte.
Si arriva così al 15 dicembre, il giorno dell’udienza, che si tiene a Varsavia. I funzionari della Pzpn ricostruiscono gli eventi della notte tra il 28 e il 29 novembre, chiedendo poi anche ai giocatori e ai dirigenti accompagnatori di fornire la loro versione. Si cerca di capire quanto avesse bevuto Młynarczyk (difeso da uno psicologo, considerato il lutto famigliare subìto), in che condizioni si fosse presentato al mattino e cosa si fossero detti Kulesza e i giocatori all’aeroporto. Questi ultimi negano l’accusa di ricatto avanzata da parte della Pzpn. La settimana successiva, il 22 dicembre, arrivano i verdetti: Żmuda e Młynarczyk fermati per otto mesi (per il portiere l’allontamento dalla nazionale viene esteso a due anni), Boniek e Terlecki per dodici. Per questi due la decisione è stata presa “in considerazione della particolare attività nella contestazione nonché in riferimento alle ripetute punizioni disciplinari per un tipo di comportamento altamente antisportivo”. Viene, infatti, tenuto conto di ciò che era successo nel 1979 in occasione della gara con la DDR. La squalifica di Żmuda è inferiore in quanto “la sua condotta fuori dal campo non ha mai causato alcun problema”. Stop di due mesi, infine, per Smolarek (provvedimento sospeso per sei mesi). Il ct Kulesza, poco dopo, si dimette in segno di protesta in quanto ritiene le sanzioni inflitte ai giocatori troppo dure. Nel nuovo anno alcune pene saranno ridotte, altre no.