
Occorre sfatare un mito. Le letture per l’estate possono essere intelligenti. E non necessariamente deve trattarsi di voluminosi tomi rimasti a lungo sul comodino in attesa delle sospirate vacanze. Prendiamo, ad esempio, un autore ben noto al pubblico di Polonicult – Sławomir Mrożek – e una delle sue raccolte di racconti più celebri: “L’elefante” (Słon). L’edizione italiana pubblicata quasi trent’anni fa da Einaudi nella collana de I Nuovi Coralli – ristampata nel ’97 – conta soltanto centosettantuno pagine. Si tratta di un piccolo gioiello che può essere un ottimo punto di partenza anche per chi non ha mai letto nulla dello scrittore e drammaturgo scomparso appena tre anni fa.
Quarantadue vignette dell’assurdo
Uscito in Polonia nel ’57 per i tipi cracoviensi di Wydawnictwo Literackie (e oggi disponibile in polacco anche per Noir sur Blanc), “Słon” raccoglie quarantadue racconti brevi, a volte vere e proprie vignette, in apparenza non collegati fra loro. Un filo conduttore, però, c’è eccome: il gusto per l’assurdo e la parodia in un contesto di apparente normalità. Una normalità talvolta opprimente dalla quale molti dei protagonisti cercano di evadere, non sempre riuscendovi.
Si tratta di un territorio all’epoca ancora poco esplorato, ma nel quale l’allora appena ventisettenne Mrożek sapeva già muoversi a proprio agio e fin dove spingersi. E quello che sorprende in positivo è proprio il felice connubio fra freschezza e maturità dimostrato dall’autore di questi racconti. Pare impossibile che i censori dell’allora Polonia socialista non siano stati in grado di cogliere l’affilato sarcasmo di Mrożek, ma forse non erano neppure in grado di apprezzarlo.
Un racconto come “La giraffa” è, in tal senso emblematico. L’innocente richiesta di un nipote che vuole sapere come sia fatta una giraffa scatena il panico nei suoi due zii. Il più anziano vive semirecluso dal mondo circondato da polverosi testi mangiati dalla polvere e immerso in perpetui ragionamenti teorici. Il più giovane dirige un quotidiano e conduce una vita attiva, ma il suo universo di conoscenze è ristretto alla sua biblioteca marxista e a Ludwig Feuerbach. Inutile aggiungere che nessuno dei due zii sarà in grado di dire al nipote come sia fatta una vera giraffa o vorrà ammettere di non saperlo. Difficile immaginare una metafora più azzeccata per descrivere l’alienazione prodotta dall’ostinato rifiuto di contemplare altri mondi, altre possibilità, concetti concreti che esulino dallo stretto quotidiano.
Diverso il registro di “Primavera in Polonia” che sconfina nel fantastico immaginando stormi di impiegati in volo da Varsavia verso sud ai primi caldi stagionali. Un fenomeno osservato con curiosità dai passanti della capitale e al quale le autorità non riescono a porre alcun rimedio. Nessuno sa cosa abbia portato gli impiegati a spiccare il volo dai propri uffici e a dirigersi verso le alture dei Tatra dove di tanto in tanto è possibile avvistarli in picchiata intenti a razzie di generi alimentari. L’effetto comico e assieme una precisa critica a un sistema alienante sono assicurati, tanto più che Mrożek aggiunge come gli impiegati uccel di bosco continuino a riscuotere il proprio stipendio a fine mese. Se Italo Calvino avesse scelto di rappresentare in chiave semiseria gli stereotipi italiani sui fannulloni statali non avrebbe potuto fare di meglio. Ed è proprio a Calvino e al francese Raymond Queneau, entrambi molto attivi a cavallo fra anni ’50 e ’60, che alcuni episodi di “Słon” possono rimandare.
In attesa di una terza edizione italiana
Questa recensione da ombrellone potrebbe proseguire citando ogni singolo episodio dei quarantadue presenti ne “L’Elefante”, ma in fondo è meglio fermarsi qui. A volte, in fondo, basta un piccolo assaggio per incuriosire futuri lettori senza svelare troppo dei contenuti. Tanto più quando si è in presenza di racconti capaci di racchiudere in due o tre pagine una molteplicità di significati e schizzi di personaggi tratteggiati con maestria.
Nei quasi sessant’anni trascorsi dalla pubblicazione di questo prezioso volumetto, la Polonia descritta dall’autore nato a Borzęcin è cambiata completamente, ma l’ironia e il gusto per l’assurdo di Sławomir Mrożek restano più che mai attuali. Né occorre conoscere la cultura o la storia polacca a menadito per apprezzare la maggior parte di questi racconti anche se polonicultori e polonofili sapranno trovarvi gemme inaspettate. L’unica perplessità, come spesso accade, riguarda la non sempre semplice reperibilità delle due edizioni italiane. L’invito è quello di sfornarne una terza ricordando come, nel 2017, “L’Elefante” meno pesante della letteratura mondiale compirà sessant’anni.