Michał Cichy – flash noir da Varsavia cangiante

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Un libro breve e intensissimo su Varsavia vista da una prospettiva smarrita. Questo il contributo di Michał Cichy alla forma libraria di una città complessa.

di Salvatore Greco

Varsavia non è una città che si presta a una lettura univoca. A un primo sguardo non piace quasi mai ai turisti. Vive dentro un caleidoscopio pasticciato che non restituisce una visione chiara né a chi la vede né a chi la vive. È una città che coltiva profonde contraddizioni, non le spiega e un po’ se ne nutre. Non è facile scrivere di Varsavia sinceramente e affrontare tutto questo. Ci è riuscito – in parte – Michał Cichy in un libriccino di settanta pagine scarse edito nel 2014 dagli illuminati tipi di Czarne: Zawsze jest dzisiaj (È sempre oggi).

Zawsze jest dzisiaj, più che un libro su Varsavia, è un condensato fitto della città vista da un suo abitante, e sarebbe difficile descriverlo in un modo che non sia questo. È un reportage? Niente affatto, nonostante l’editore che lo propone. È un romanzo? Troppo breve, e poi non ha una trama. Allora è un racconto? Nemmeno. La parola saggio, poi, proprio non va pronunciata.

E se cercando le risposte si sperasse di trovarle nella biografia del poco noto autore? Cichy, a quanto dicono le sue schede online, è un giornalista cinquantenne residente nel grazioso quartiere varsaviano di Ochota, è alla sua prima (e coraggiosa) fatica editoriale in forma di libro, e prima di questo il mondo si era accorto di lui solo per un controverso articolo storico sulle violenze a danni degli ebrei da parte dei soldati dell’Armia Krajowa durante l’insurrezione di Varsavia. Poco, molto poco, per inquadrare quest’opera.

In realtà il punto è molto semplice. Nelle settanta pagine di Zawsze jest dzisiaj, Cichy ci porta a spasso per Varsavia guardandola senza timori, senza aspettative, senza un’apparente intenzione. Non c’è un racconto volontario nel suo girovagare urbano, non intenzioni di denuncia né un focus particolare: racconta letteralmente quello che si trova davanti. È così che sulla sua strada, prevalentemente notturna, si incrociano improbabili appassionati di aerei, alcolizzati, prostitute, zingari, cameriere. Nella maggior parte dei casi, Cichy interagisce al minimo, contestualizza le immagini con coordinate urbane molto precise, probabilmente gratuite per chi non conosce la topografia di Varsavia, inserisce nella sua narrazione linguisticamente molto fluida elementi solidi e pesanti: treni, autobus, stazioni, strade con il loro nome e carico immaginifico impossibile da ignorare. È in questo frastuono di ferraglia, che si alterna al silenzio della notte e alle poche e sparute voci delle persone incontrate – che si dispiega – la “passeggiata” del nostro eroe per la città. Ed è una passeggiata che incontra prevalentemente la Varsavia degli ultimi, si muove per il centro e per le periferie, ma evitando –quasi come se non ci fossero- i grattacieli, le caffetterie alla moda, i ristoranti thailandesi. La capitale finanziaria, capricciosamente attaccata ai vizietti modaioli del liberismo resta sullo sfondo, quasi taciuta, non scompare nella notte vagabonda dell’autore, ma nemmeno coglie la sua attenzione. Quella che l’autore osserva è la Varsavia “normale”, se non quella degli ultimi, perlomeno dei penultimi, rimasti ai margini del banchetto e immersi in una quotidianità uguale a se stessa – come il titolo stesso suggerisce.

Se è vero che il focus è puntato proprio su quella Varsavia lì, che lavora e vive nell’ombra, lo sguardo del narratore non è politico in nessun modo. Non c’è compassione di quel mondo, né denuncia e neanche critica paternalistica, solo un’osservazione quasi da romanzo naturalista nella sua impassibilità.

C’è un’immagine in particolare, al contempo peculiare e unica, che racconta bene (secondo me) Zawsze jest dzisiaj. Si svolge alla sera, nei dintorni di Plac Narutowicza, poco a sud del centro storico di Varsavia. Cichy si avvicina a una panchina su cui è poggiato un piccolo cero. Si tratta della panchina accanto a quella che gli abitanti della zona sanno essere un ricovero di sventurati ubriaconi. E difatti la candela è per uno di loro, morto lì. La scena che segue, il dialogo tra Cichy e una commerciante del quartiere, riassume amaramente il rapporto di Varsavia con i suoi figli più infelici:

“-È morto su quella panchina, aveva cinquantasette anni- mi ha detto la signora dello Żabka che ho incontrato il giorno dopo -È caduto, ha battuto la testa e il sangue gli ha coperto le orecchie, il naso, tutto. Stamattina alle nove lo hanno portato al cimitero di Wólka. Non provo pena per gli ubriachi, non fanno altro che bere e bivaccare su quelle panchine”.

La freddezza di un racconto di morte e il disprezzo nemmeno troppo velato come contraltare al gesto semplice ma potente del cero in onore del defunto, messo là da chissà chi, sono emblematici. Cichy passa velocemente all’aneddoto successivo, con il suo sguardo continuamente imparziale, ma è un silenzio assordante quello che lascia dietro di sé. Racconta tra le righe una Varsavia che si vergogna dei suoi ultimi, che li nasconde con cautela, lontano dai suoi tram freschi di officina, dai locali alla moda in cima ai grattacieli, dalle catene americane di caffetterie e hamburgerie così alla moda. È il mercato, bellezza. Eppure c’è un’umanità resistente, eredità del migliore cattolicesimo e del migliore lascito socialista, che concede attenzione alle tragedie di queste vite spezzate, nel poco che può.

Come detto all’inizio, Zawsze jest dzisiaj non ha nessuna pretesa di porsi come reportage o addirittura saggio antropologico su Varsavia: la sua vita, il confronto con i suoi cittadini, e certo nemmeno Cichy, non compie battaglie neanche quando mette il punto su situazioni particolari. Un discorso letterario e sociale di questa città non può basarsi solo su questo libriccino che si legge in un amen, ma inserirlo nel canone non guasta di certo. Occupa poco spazio a scaffale e parla senza remore o filtri, il miglior compagno di una buona bibliografia.

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