L’esordio della scrittrice classe ’88 Maria Karpińska è una delle notizie letterarie del 2020. Dietro le siepi di Żywopłoty.
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di Salvatore Greco
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Più tempo passa in editoria e più sembra che la forma del racconto sia sempre più destinata a sopravvivere quasi solo nelle riserve indiane delle riviste e dei blog, arrivando solo raramente a godere della dignità della forma libro. Ci sono certamente eccezioni, e persino un pioniere coraggioso come Racconti Edizioni, ma in generale è così che va. Per tutti questi motivi, un’autrice giovane che esordisce con un libro di racconti sembrerebbe automaticamente destinata all’oblio. Invece Maria Karpińska con le sue prose brevi raccolte in Żywopłoty ha colpito lettori e critici, dimostrandosi l’ennesima scommessa vinta dalla collana Archipelagy dell’editore W.A.B.
Due o tre piccole precisazioni prima di entrare nel merito del libro. Maria Karpińska è un’esordiente nel senso che questo è il suo primo contributo raccolto, impaginato e distribuito in forma di volume, ma il suo nome è noto tra i lettori più o meno occasionali di riviste culturali polacche. E poi: Żywopłoty è un libro di racconti, indubbiamente, ma che possono essere letti come un romanzo, uniti come sono da un io narrante omogeneo e che potrebbe essere la stessa persona.
Żywopłoty in polacco significa siepi, e difficilmente Maria Karpińska avrà avuto occasioni di contatto con la poetica leopardiana, ma è evidente che anche per lei la siepe è un punto di separazione e osservazione. Lungo i sette racconti/capitoli di questo libro il protagonista è un uomo in varie fasi della sua esistenza, eternamente passivo, deciso (o costretto) a osservare la vita più che a viverla, sempre da dietro una siepe, spesso ma non sempre metaforica.
Si comincia con un ragazzino che si fa trascinare in giochi che non gli piacciono da una coetanea volitiva e un po’ dittatoriale, poi si passa a un ventenne che tradisce la fidanzata quasi per inerzia mentre si preoccupa dei parassiti di una palma, o ancora a un adulto finito a inventare storie sui vicini per attrarre l’attenzione della madre in eterno lutto per l’altro figlio prematuramente scomparso. E poi ancora: un frequentatore di bar, un muratore curioso, un paziente sul letto di ospedale, un anziano rimasto solo con il suo cane.
Sembrano racconti fatti di niente quelli che compongono Żywopłoty, con un’essenzialità minimalista, che nel mondo del racconto è inevitabile, per quanto atrocemente banale, riportare alla lezione di Carver. La lingua di Maria Karpińska è pulita e scarnificata, non c’è mai un aggettivo di troppo o una perifrasi inutile. Come il suo personaggio, l’autrice si siede al bordo delle sue storie e le lascia scorrere. E per questo ne escono fuori ricolme di letteratura della qualità migliore. Il più iconico dei racconti in questo senso è quello dei quarant’anni (ognuno dei capitoli racconta una storia riferita a un decennio di vita della voce narrante), dove il protagonista lavora come muratore e imbianchino. Nelle lunghe ore che passa vicino alle finestre di case altrui, inizia a osservare la vita di una ragazza che si convince essere una ballerina. Non c’è nulla di pruriginoso in questo suo osservare, nessuna vocazione da guardone né tantomeno intento criminale. L’uomo guarda i piccoli gesti che la donna fa dietro la sua finestra e prova a immaginarne la vita. Parte da cose minute, come una matita, una zuppa o un vecchio maglione, e si costruisce un’immagine alla quale si affeziona. È uno sguardo parziale, reso ancora più distante dal cellophane blu che i muratori sono tenuti a incollare sulle finestre per rispettare la privacy degli inquilini, ma a lui basta. Così il nostro lavora, lentamente per non doversene andare, e guarda una vita di cui scorge solo piccoli segnali, filtrati da una luce blu opaca che toglie il colore.
Żywopłoty è un libro fatto di narratori, o forse di un unico narratore. Del resto lui stesso nel prologo si presenta così e tiene fede capitolo dopo capitolo, racconto dopo racconto, alla sua vocazione. Ci dice da subito, insomma, che è normale vederlo di fianco alla vita e non al centro. Questa consapevolezza non toglie però la leggera malinconia che permea la lettura di un libro nel quale seguiamo dall’infanzia alla vecchiaia un uomo davvero mai capace di vivere, ma maestro dell’osservare.
La scrittrice Olga Hund, per parlare di Żywopłoty, scomoda persino Gombrowicz. Non sembra un collegamento del tutto onesto, ma di certo la scrittura di Maria Karpińska al pari di quella del suo illustre predecessore lavora con cura sui livelli della narrazione e la analizza da dentro per raccontarci qualcosa di più su noi stessi.
Per la sua struttura, Żywopłoty è un catalogo di osservazioni non dotato di una vera e propria trama e che ha la sua forza altrove, nella pacatezza che diventa avvolgente e nella quotidianità che diventa universale. Senza cedere al compromesso di riempire le sue storie di simboli coadiuvanti dell’immedesimazione, Maria Karpińska crea mondi riconoscibili, essenziali, ma che lasciano il segno sul lettore.
A oggi, il migliore esordio del 2020 in Polonia, uno dei migliori degli ultimi anni.