I Lutownica raccolgono esperienze varie nell’universo noise e hanno prodotto un disco prudente ma interessante.
di Salvatore Greco
Parlare di via “soft” al noise-rock potrebbe sembrare una contraddizione piuttosto vivida, anche i meno avvezzi a un genere difficile come il noise faranno fatica a immaginare l’approccio soft a una categoria musicale che costruisce con cura maniacale distorsioni scordate e suoni scomposti con un fine armonicamente disarmonico. Il noise più noto (ndr, una delle band principali del genere è quella dei catanesi Uzeda) si nutre inoltre di tendenze sperimentali e avanguardistiche unite a un gusto per l’improvvisazione meticolosa che lo rende un genere estremamente complesso e non facile a un primo approccio da ascoltatori più tradizionali. L’ascolto di Tribute to 4 and 10 dei Lutownica può essere un buon viatico per non odiare il noise prima di averlo conosciuto.
Il disco in questione è il primo che esce dalle mani del progetto noto come Lutownica, ma i musicisti che vi hanno partecipato non sono dei novellini della scena indipendente polacca. In particolare il bassista, Krystian Pilarczyk, ha suonato in passato in gruppi di una certa importanza nell’ambiente, come i Blue Raincoat, oltre che aver partecipato ad altre varie composizioni di musicisti. Oggi, assieme a Rafał Sztucki e Zbigniew Ambroży, sotto il nome di Lutownica ha messo assieme un album di indubbia qualità, suonato nel solco e con i canoni chitarristici del noise ma con una linea certamente più leggera rispetto al consueto.
La traccia di apertura, Five, si apre con un riff di chitarra abbastanza canonico che all’orecchio evoca facilmente i Pixies quanto gli Slint, soprattutto per l’aggressività della batteria che sopraggiunge. Il brano è accattivante e la linea melodica piuttosto pulita (rispetto agli standard del noise) senza cambi di ritmo o improvvisazioni che la deviino dalla strada maestra, anche se naturalmente dominano i toni sghembi di una chitarra suonata in chiave scientemente storta. Simile il percorso di Three dove lo spazio canzone perde un po’ i suoi margini nella seconda parte e si arriva a un accenno di improvvisazione in coda, ma per il resto si tratta di un brano dall’anima rock suonato con una tendenza verso suoni meno puliti. Anche Eleven è un pezzo ritmicamente coerente e lo stesso si può dire del successivo Seven che –tolte le incursioni aggressive del basso di Pilarczyk- è un pezzo dal tono molto classico e quasi ballabile, un rock ancora una volta più alla Pixies che un’elucubrazione noise, insomma.
Six apre con riverberi più noise, ma che strizzano l’occhio anche alla scuola shoegaze, e poi ha un aumento di ritmo che continua a cullarsi su quei riverberi e sulla chitarra ampiamente distorta che è il vero tocco di genere di tutto questo disco firmato Lutownica. È comunque un pezzo che potrebbe avere le carte in regola per diventare una piccola hit del mondo underground. Ideale continuazione di uno spirito del genere si sente anche in One e Nine, mentre Eight e la conclusiva Two soprattutto lasciano più spazio a divagazioni più importanti e di ammiccamento al noise duro e puro.
Una costante, accanto all’uso delle chitarre con distorsioni noise, è il cantato che spesso e volentieri prende la strada del growl accentuando i toni rabbiosi che caratterizzano la grinta dell’intero album. Tuttavia le caratteristiche noise, come detto, si limitano a questo senza un reale approfondimento di disarmonie o esperimenti sonori. Quello dei Lutownica è in fondo più un hard rock con venature noise che un album fedele al genere, ma non per questo il suo valore ne esce limitato, anzi. Per gli appassionati del rock indipendente è un ascolto di sicuro interesse.