Esistono due Polonie? Breve viaggio nelle terre della Polonia occidentale.
di Luca PalmariniIl 1945 fu per l’Europa l’anno della fine della guerra e dell’inizio della ricostruzione. Per la Polonia si trattò di una sorta di anno zero. Il paese era quasi completamente distrutto, il governo legittimo in esilio, mentre le organizzazioni comuniste, appoggiate da Mosca, si accingevano a prendere il potere; il Paese aveva perso quasi il 40 per cento del suo territorio, (inglobato dai sovietici che già da tempo rivendicavano le terre orientali polacche, fatto esposto a Jalta e ribadito a Postdam), cedendo così città storiche come Leopoli e Vilna, Brześć e Stanisławów. In cambio la Polonia ricevette le terre orientali sottratte alla Germania, con le città di Szczecin (Stettino) e Wrocław (Breslavia); queste terre all’inizio erano sotto amministrazione polacca, ma non direttamente annesse al nuovo stato. Si trattò di uno sconvolgimento epocale, di cui in occidente, eccezion fatta per la Germania diretta interessata, ancora oggi si parla poco.
Il ritorno dei confini polacchi a quella che grosso modo corrispondeva alla precedentemente ipotizzata linea Curzon, cambiò totalmente i destini di un popolo. Oltre alla perdita di quasi la metà del territorio, e quindi di diretti riferimenti storico-culturali, la Polonia dovette procedere all’attuazione di un esodo di massa senza precedenti: più di sei milioni di polacchi, che da secoli avevano abitato le terre orientali, dovettero in gran parte trasferirsi in quelle occidentali appena ricevute, occupando le case dei cittadini tedeschi che a loro volta vennero espulsi e mandati nella nuova Germania, ridimensionata e divisa in due entità. Si calcola che prima di questo enorme spostamento di confini in queste terre abitassero circa un milione di polacchi e sette milioni di tedeschi. Una buona parte di questi ultimi era già fuggita davanti all’avanzata dell’Armata Rossa, i restanti tre milioni e mezzo vennero espulsi negli anni 1945-1950.
La nuova Polonia comunista si trovò quindi con un un paese fortemente spostato verso occidente, con milioni di profughi polacchi che avevano dovuto abbandonare i territori perduti e con un paese etnicamente polacco al novantacinque per cento, a fronte di una Polonia che prima del secondo conflitto mondiale presentava all’interno dei suoi confini minoranze etniche per più del trenta per cento della popolazione. Le autorità della nuova Repubblica Popolare Polacca, al fine di legittimare questo spostamento di confini, utilizzarono l’arma della propaganda, arrivando anche a creare dei veri e propri vocaboli a riguardo. Le terre in questione presero il nome di “ziemie odzyskane” (terre riconquistate), in quanto in parte di questi territori (ma non in tutti) la presenza slava si era già attestata un migliaio di anni prima. I polacchi dei territori orientali occupati dai sovietici e che sotto le pressioni di questi ultimi dovettero abbandonare le loro terre d’origine vennero invece denominati repatrianci (rimpatrianti), a sottolineare il loro ritorno in patria nei territori che mille anni prima avevano visto la formazione di un primo nucleo dello stato polacco. Negli anni 1945-1949 esisteva addirittura un apposito ministero che portava il nome di “Ministerstwo Ziem odzyskanych”, espressamente voluto dal leader comunista Władysław Gomułka.
Venne così esaltata l’antica presenza storica, quasi a giustificare questa annessione, mentre le terre orientali venivano lentamente e volutamente dimenticate, in quanto non si poteva offendere il “fratello” sovietico con nessuna rivendicazione. In quel momento si trattava di costituire un nuovo stato polacco omogeneo, unendo due mondi completamente differenti tra loro. Si può quindi immaginare il caos iniziale e le devastazioni a cui queste terre vennero sottoposte. Da una parte arrivavano treni e carri pieni di polacchi dall’est che occupavano immobili che venivano abbandonati dai tedeschi, dall’altra, mentre i questi ultimi fuggivano rapidamente verso ovest, la fama della ricchezza del popolo tedesco attirava gente di ogni tipo e di ogni dove che si abbandonava a furti e ruberie di ogni tipo, in una totale anarchia. Le autorità polacche cercarono, non senza difficoltà, di riportare l’ordine, ma ciò risultava tutt’altro che facile. D’altra parte la stessa situazione d’incertezza riguardo ai confini non facilitava il compito: ancora non si sapeva si se sarebbe trattato di un’amministrazione temporanea e dove sarebbe stato stabilito il confine definitivo tra i due stati. Ciò portò lo stesso governo ad intraprendere delle azioni oggi ritenute chiari crimini contro l’arte: molte opere d’arte presenti in queste zone vennero trasferite a Varsavia in fretta e furia, mentre venne addirittura intrapresa un’ azione che alcuni soprannominarono ironicamente Podaj Cegłę (Dai un mattone ), da un famoso quadro del pittore Aleksander Kozbdej. In molte città, centinaia di antichi palazzi antichi vennero letteralmente smontati pezzo per pezzo per prelevare da essi mattoni, tegole, portali ed altri preziosi dettagli architettonici. Centinaia di treni, carichi di tonnellate di materiale, partirono alla volta di Varsavia, fornendo materiale per la ricostruzione della capitale dopo le distruzioni della guerra che l’avevano quasi completamente rasa al suolo. Le vittime più illustri furono le città di Szczecin, Wrocław e Nysa. La motivazione ufficiale era quella che gli edifici erano rimasti gravemente danneggiati e quindi irrecuperabili, ma in realtà ciò non sempre era vero: bisognava invece attingere il più possibile prima di un eventuale ulteriore spostamento di confini, procedendo nello stesso tempo all’eliminazione sistematica delle tracce del passato tedesco. Fu così che centinaia di palazzi antichi vennero per sempre cancellati dalla faccia della terra, immolati per Varsavia e al posto dei quali apparvero i “bloki”, i grigi palazzoni del periodo comunista, allora orgoglio del nuovo ordine e del socialismo reale, oggi insanabile ferita nel paesaggio urbano di queste città (e non solo di queste).
Narrando del processo di polonizzazione di queste terre, bisogna inoltre accennare anche al dramma della ridenominazione geografica di migliaia di località; dal 1946 al 1950 funzionava la Komisja Ustalania Nazw Miejscowości i Obiektów Fizjokratycznych con il compito di decidere quale nome avrebbero dovuto prendere le località ora polacche, le quali per secoli avevano portato nomi tedeschi. Questo non riguardava solo le denominazioni delle località, ma anche di fiumi, monti, laghi e così via. In molti casi esisteva già una precedente toponomastica polacca, con denominazioni corrispondenti a quelle tedesche, ma essa presentava spesso degli influssi tedeschi oppure ceco-moravo-slesiani (nel sud) e dialettali, e ciò non piaceva alle autorità di allora che optarono per ulteriori cambiamenti. Tra le migliaia di casi presenti si può citare ad esempio la città di Kłodzko che quando apparteneva alla Germania portava il nome di Glatz e che prima della guerra nella toponomastica polacca era già conosciuta come Kładzko. Tale denominazione ricordava troppo le sue origini boeme e la successiva presenza tedesca, quindi venne modificata ulteriormente in Kłodzko. Un altro esempio è il villaggio di Šamařovice, nome che non aveva nulla a che fare con la cultura tedesca, ma la cui denominazione ricordava le sue origini morave; venne allora cambiato in Samborowice.
Questa situazione di caos si protrasse per molti anni e ne troviamo testimonianza nel libro 1945. Wojna i pokój (1945. Guerra e pace) di Magdalena Grzebałowska. In questa sua opera si narra del lavoro di un gruppo di giornalisti che nel 1945 vennero mandati in esplorazione nei territori appena tolti ai tedeschi, al fine di invogliare alla “colonizzazione” i futuri “pionieri” polacchi. L’autrice effettua una ricerca delle prime famiglie insediatesi in questi territori e la sua difficoltà nel ritrovarle consiste proprio nel fatto che molte località in questione, dopo essere state ridenominate in polacco, avevano nuovamente cambiato nome, venendo ulteriormente polonizzate, oppure cambiando il nome dato loro dai “pionieri” al momento del loro arrivo, con uno invece più “d’ufficio”. In molti casi si poteva assistere a delle denominazioni date da polacchi provenienti dai territori orientali, i quali avevano ribattezzato le località da loro raggiunte, con nomi di località rimaste al di fuori della Polonia, a cui essi erano probabilmente legati dal punto di vista sentimentale.
Passando al punto di vista economico si può senza alcun dubbio affermare che le differenze tra le due parti erano (ed in parte sono ancora oggi) ben visibili. Come accennato, queste terre erano relativamente ricche, industrializzate e con una buona agricoltura. Le strutture non danneggiate dalla guerra vennero comunque saccheggiate dai sovietici che spesso smontarono pezzo per pezzo i macchinari di molte fabbriche per portarli in Unione Sovietica. La successiva nazionalizzazione delle industrie imposta dal regime comunista non portò a nulla di buono. Per quanto riguarda l’agricoltura venne attuato un piano che ricordava vagamente quelli quinquennnali sovietici; dalla Polonia centrale e dai territori orientali ormai perduti, i cosiddetti kresy, vennero fatti arrivare contadini per lo sfruttamento intensivo delle terre, ma tutte le strutture presenti vennero fortemente collettivizzate. Questo fu anche il destino di molti palazzi signorili dei nobili tedeschi, trasformati in stalle per mucche o porcili, oggi devastati o persi per sempre.
Inoltre, le campagne in questione differivano biologicamente dalle terre dove i contadini avevano lavorato in precedenza ed i risultati delle prime coltivazioni furono pessimi, in quanto non venne minimamente programmato di adattarsi alle differenze vigenti tra i territori. In virtù di tale “colonizzazione” e del caos che vi regnava, nell’immaginario collettivo della Polonia iniziò a farsi largo l’idea dell’esistenza di un “Dziki Zachód” (Far West) polacco. Dal punto di vista della provenienza dei nuovi abitanti di queste terre si era tra l’altro creato un vero e proprio “meltin’ pot polacco”. A fianco dei tedeschi che in parte ancora abitavano in queste terre (ma che inesorabilmente continuavano a trasferirsi in Germania uno dopo l’altro), si potevano incontrare persone delle terrre nord-orientali e di quelle sud-orientali, che avevano avuto sì un destino comune, ma che erano comunque molto diverse tra loro, così come altre provenienti dalla Piccola Polonia (la regione di Cracovia), o dalla Polonia centrale (la regione di Łódź), per non parlare poi dei polacchi arrivati dalla Romania e dalla Siberia. Per molti anni, tra gli stessi polacchi, vi furono delle incomprensioni culturali, dovute all’utilizzo di dialetti e agli stili di vita completamente differenti. Wrocław, la città più grande di queste terre, secondo molti appassionati di cultura polacca rispecchia la vecchia Lwów (nome polacco di Leopoli), in quanto una buona parte dell’odierna popolazione ha le famiglie originarie di questa città, oggi ucraina. Ciò rivive nella città stessa, in quanto nella centrale piazza del mercato si può trovare il monumento al poeta Fredro, letteralmente strappato dal suo basamento a Leopoli, portato qui e sistemato al posto di un precedente monumento che celebrava il Kaiser.
Stesso discorso si può fare per la famosa tela circolare che rappresenta il Panorama di Racławice e la collezione dell’Ossolineum. Una città sembra rivivere in un’altra a 600 km di distanza. Ma ciò è vero solo in parte: Wrocław ha in realtà assistito ad un arrivo in massa di “rimpatriati” da tutto l’est, ma anche di polacchi da molte altre parti della Polonia e di molti pochi di buono che negli anni cinquanta vennero ghettizzati nel quartiere, ancora oggi di dubbia fama, che per le forme di tre vie he lo racchiudono prese il nome di “Trojkąd bermudzki” (triangolo delle Bermuda). Per diventare breslaviani gli abitanti hanno avuto bisogno di due generazioni.
Ma com’è oggi la situazione in queste terre, dopo settantanni di appartenenza alla Polonia? Si può tranquillamente affermare che esiste ancora un solco tra la Polonia centro-orientale e quella occidentale, o più precisamente, quella Polonia che era sotto dominazione prussiana durante le spartizioni (1795-1918). Un esempio che da qualche anno si ripete ciclicamente sono i risultati elettorali. A fine maggio si è assistito al ballottaggio tra i due candidati a presidente, il presidente uscente e rappresentante del partito liberale Platforma Obywatelska Bronisław Komorowski, e il candidato del partito conservatore e di opposizione Prawo i Sprawiedliwość, Andrzej Duda. Oltre al fatto che quest’ultimo ha vinto, segnando un punto di svolta nella politica polacca degli ultimi decenni, le votazioni hanno dato conferma di un fenomeno a cui si assiste da qualche tempo: il partito liberale PO risulta vincitore in tutte le terre ex tedesche (quelle “riconquistate”), mentre il candidato conservatore di PiS, ed ora nuovo presidente della Repubblica, è vincente in tutte le regioni centro-orientali, quelle “più polacche”. Una differenza di mentalità? Sembrerebbe proprio di sì. In una recente analisi si è infatti confermata questa teoria, dove la differenza tra ovest ed est non si limita soltanto al portafoglio; infatti, spesso si pensa che l’ovest polacco sia più ricco rispetto all’est, soprattutto grazie agli investimenti tedeschi che per ovvie ragioni logistiche sono concentrati soprattutto in queste zone, a ridosso della Germania.
Analizzando in profondità gli stili di vita delle “due Polonie” si scorgono ben altre differenze. Alcuni professori della facoltà di sociologia dell’Università di Łódź, studiando lo stile di vita degli abitanti dell’ovest della Polonia, hanno riscontrato delle evidenti differenze nella loro vita sociale rispetto agli aspetti tradizionali imperanti nel resto della Polonia. In queste terre (compresa la Masuria, anch’essa regione ex tedesca, sebbene situata ad est), si conta un maggior numero di divorzi ed anche la percentuale di figli affidati a terzi in seguito allo sfaldamento della famiglia è ben più alta che nel centro e nell’est. Un altro fattore non da meno è la presenza della criminalità, anch’essa più alta rispetto al resto del paese. L’aspettativa di vita, risulta invece ben più bassa, quasi a voler significare un peggiore stile di vita. Come si spiega questo fenomeno? I sociologi pongono l’accento sul fatto che si tratta di terre, seppur molto belle dal punto di vista storico e paesaggistico, che durante il comunismo sono state sottoposte ad una violenta collettivizzazione delle industrie e delle campagne, dove la componente umana era fortemente demoralizzata. Il passaggio forzato dalle terre orientali a quelle occidentali ha portato con sé la consapevolezza della perdita della propria terra di origine, della piccola patria e lo strappo è stato, come si può facilmente intuire, assai traumatico. Questo disagio psicologico si è trasmesso di generazione in generazione, accentuato dall’atmosfera depressiva che regnava nelle fattorie collettive, presenti qui in grande scala, grazie alle numerose e ricche fattorie tedesche. A differenza delle terre già precedentemente polacche, nelle “terre riconquistate” i beni immobili rimanevano completa proprietà dello Stato, venendo dati solo in affidamento.
Questa mancanza dell’idea del possesso, di avere qualcosa di proprio, aggravata inoltre dall’onnipresente impronta della cultura tedesca (visibile ancora al giorno d’oggi dopo 70 anni!) ha col tempo nutrito un sentimento di insicurezza e di sfiducia nel futuro. Inoltre, l’arrivo dei “coloni” da ogni parte della Polonia e non solo, ha provocato la mancanza di una solida base culturale omogenea, di solito presente in un normale tessuto societario. Sembra difficile credere a tutto ciò, in quanto i polacchi che dovettero abbandonare le loro terre ricevettero comunque in cambio dei territori ricchi dove, grazie alla proverbiale operatività tedesca, le infrastrutture, l’industria e l’agricoltura erano comunque più sviluppate che nel resto della “vecchia” Polonia. Ciò era rinforzato dal fatto che dopo l’arrivo dei “rimpatrianti” ci fu anche quello di polacchi provenienti dai territori di Poznań e dalla Slesia, cioè da terre vicine a quelle ex tedesche; la loro migliore conoscenza del modello di vita germanico portò infatti a dei notevoli miglioramenti nell’ambito organizzativo, superando spesso le zone centrali ed orientali. Purtroppo questo non avvenne invece in ambito sociale.
Da tutti questi fattori nasce anche il cosiddetto “complesso della valigia”, ovvero una facilità a lasciare tutto e partire, realtà in verità diffusa in tutta la Polonia, ma in queste terre ben più forte. In fondo, senza una proprietà privata vera e propria, ospiti di una terra con il paesaggio urbano non polacco e che fino poco a tempo fa era terra del nemico, dove nessuno dei propri nonni ha visto i propri natali e quindi priva di legami affettivi, prendere la decisione di trasferirsi, alla ricerca di un altra “West America” da colonizzare non dovrebbe risultare poi così difficile. C’è da dire che qualcosa è comunque cambiato: nelle nuove generazioni polacche si fa strada l’idea nuova del tedesco, ora visto come “sąsiad” (vicino) e partner commerciale, mentre per i “pionieri” delle “terre riconquistate” e per i loro figli esso era identificato (grazie anche alla propaganda della Repubblica Popolare) soltanto nel classico nazista invasore. Ciò lo si riscontra soprattutto nell’ambito del turismo, dove le tracce del passato tedesco vengono rispolverate ad arte. Esistono inoltre molte associazioni per la salvaguardia dei monumenti, sia che essi siano espressione di un passato ceco , tedesco o polacco. Alcune di esse hanno iniziato a chiedere indietro le opere trasferite “in Polonia” subito dopo la guerra, in quanto esse sono espressione della cultura di queste regioni e non di Varsavia. Chissà che non sia il primo di tanti cambiamenti che potranno avvenire in queste splendide regioni dell’occidente polacco tutto da scoprire.
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