‘La Toccata in do maggiore’ è l’ultimo romanzo di Antoni Libera, in Italia per Sellerio con la traduzione di Vera Verdiani.
di Salvatore Greco
La penna di Antoni Libera è già nota ai lettori di PoloniCult di più vecchia data e oggi lo scrittore varsaviano, autore di romanzi nonché famoso traduttore e interprete di Beckett, torna ad avere ospitalità nella Polonia a scaffale con un nuovo romanzo uscito in Polonia nel 2013 e proposto in italiano da Sellerio nello scorso mese di marzo: La Toccata in do maggiore.
Come in Madame, Libera torna a usare l’ambiente scolastico per dare la cornice a una storia al centro della quale, ancora una volta, c’è una grande passione e che, ancora una volta, cede qualcosa nel finale. Il narratore e protagonista di La Toccata in do maggiore è un ragazzo all’ultimo anno di un istituto superiore musicale in procinto di sostenere l’esame finale che poi potrebbe aprirgli, in caso di un buon risultato, le porte del conservatorio. Gli elementi di contorno sono pochissimi e anche i personaggi si contano sulle dita di una sola mano. Ci sono il giovane protagonista, il suo compagno-rivale Slavek e l’insegnante di pianoforte dei due, il rigido professor Plater. Anche l’ambientazione è ridotta all’osso, Libera -pur dotato di una notevole capacità descrittiva- si limita a scolpire nella mente dei lettori le aule dell’istituto e poco altro. Per intuito si può collocare la storia nella Varsavia di fine anni ’70, ma l’ambientazione è davvero di interesse relativo in una storia il cui nocciolo è tutto attorno alla musica e a un componimento in particolare, ovviamente la Toccata in do maggiore di Schumann. Quest’opera giovanile del compositore tedesco è infatti quella che il professor Plater praticamente impone ai suoi due allievi come componimento facoltativo con cui chiudere la sessione d’esame non senza la perplessità dei ragazzi visto che il brano è di una difficoltà esecutiva notevolissima. Nella mente del protagonista lo sconforto per un compito così gravoso e che sente al di là del proprio talento combatte con la piacevolezza della composizione e con lo spirito che ne coglie. In questo punto del romanzo (piuttosto esile comunque, non supera il centinaio di pagine), Libera si concede uno sfoggio di maestria dal gusto classico che coglie il lettore quasi di sorpresa e lo trasporta in un momento di lettura quasi travolgente nella sua delicatezza. Nella parte centrale de La Toccata in do maggiore, infatti, si rincorrono come dita sul pianoforte l’esegesi testuale del professor Platter, le paure del protagonista, il rapporto di amicizia e rivalità coil giovane Slavek, più talentuoso allo strumento ma meno capace di cogliere a fondo la musica, i timori e i dubbi per il futuro, tutto in un turbinio che -se letto con la composizione in sottofondo- dà davvero la sensazione che le parole e le pagine seguano il ritmo ondivago, difficile e tormentato della composizione di Schumann. Il talento vero esiste? Vale la pena inseguirlo per una carriera che comunque non sarà mai nemmeno paragonabile a quella di Schumann, per non parlare di quelli ancora più grandi di lui? La sola pazienza nell’esercizio riesce a superare limiti di natura? Queste e altre domande accompagnano il protagonista mentre suona, prova e riprova la Toccata in do maggiore e alla fine si presenta all’esame finale dove ancora gli unici veri personaggi -come in un agone teatrale classico- sono lui, il professore e Slavek. Slavek suona per primo e lo fa magnificamente, il protagonista segue e suona altrettanto bene ma sul più bello, proprio durante l’esecuzione della Toccata, sente che sta perdendo il contatto con la musica, che i pensieri lo sopraffanno e si ferma a metà facendo il gesto che ogni pianista teme: toglie le mani dai tasti.
A quel punto come la composizione si arresta e involontariamente (?) scoppia la bolla di candore e prosa coinvolgente che finora Libera è stato in grado di tirare fuori. La storia subisce il classico passo in avanti di anni con il protagonista che, abbandonati i sogni di musicista, ha intrapreso una carriera da avvocato con tanto di emigrazione in giro per l’occidente e altri stereotipi triti sui polacchi di successo in seguito all’emigrazione francamente discutibili e noiosi. Ritroviamo dunque il nostro protagonista, uomo di successo secondo i canoni occidentali, che riceve la convocazione per un raduno di alumni del liceo che quindi lo convince a tornare a Varsavia nella speranza recondita di reincontrare Slavek, cosa che effettivamente accade, e ritrova l’amico impantanato in una modesta carriera di professore di musica alla quale si è rassegnato dopo un inizio di carriera che sembrava dimostrare tutt’altro. E il romanzo si chiude su di loro, sui racconti delle rispettive vite, con una frettolosità che dispiace e che chiude la storia con l’ennesima esecuzione da parte di Slavek della Toccata in do maggiore.
In sintesi, La Toccata in do maggiore non è onestamente un romanzo indimenticabile e Libera dimostra uno iato piuttosto curioso tra la sua apprezzata capacità di interpretare Beckett e quella, di cui è quasi del tutto privo, di osservare il presente e dare alla sua narrativa lo spessore che certi spaccati storico-culturali meriterebbero. D’altro canto la lettura si può svolgere più che bene a un livello diegetico più “basso” e che probabilmente è lo stesso che l’autore incoraggia, in quel caso resta una lettura gradevolissima accompagnata da una prosa (quasi) sempre all’altezza e da una competenza nel trattare l’ambito musicale che colpisce anche i meno avvezzi.