La Polonia sulle felpe – patriottismo e dove trovarlo

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Focus sulla retorica nazionalista, i giovani e il fenomeno dell’abbigliamento patriottico.

di Mara Giacalone

«Io andrò perché c’è una buona atmosfera. Li ho la sensazione che la Polonia è forte. Non mi disturba il fatto che durante la marcia <si vada giù duro>, perché abbiamo una storia che dobbiamo mostrare: forti, compatti. Le abbiamo sempre prese dai vicini. E se nulla cambierà, continueremo a prenderle. In questo momento, Francia e Russia non ci rispettano. Dobbiamo dimostrare che non è possibile giocare con noi come cento anni fa».

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Lunedì 6 novembre su Duży Format, inserto dei reportage di Gazeta Wyborcza, è apparso un articolo-intervista che vedeva protagonisti dei liceali e indagava il loro rapporto con il patriottismo e con la Polonia. Un pezzo degno di nota, in cui l’autrice scompare completamente dietro le voci di questi giovani studenti che sembrano avere le idee ben chiare su certe tematiche e che, soprattutto, non hanno paura di esprimerle a voce alta. La citazione con cui ho voluto iniziare è tratta proprio dall’articolo e quell’ io andrò si riferisce alla Marsz Niepodległości che si terrà l’undici novembre. Ora, perché la giornalista ha sentito il bisogno di intrufolarsi in un liceo varsaviano per capire cosa pensino i giovani di oggi riguardo al clima che c’è nel paese? Una delle possibili risposte, è perché siamo vicinissimi al giorno dell’indipendenza, ma non credo che le motivazioni si esauriscano qui. Credo piuttosto che si tratti di cercare di dare spazio a quello che sta succedendo in tutto il paese da un’angolatura diversa, andando a chiamare in causa chi di norma non viene interpellato “perché troppo piccolo e/o immaturo”. Stiamo infatti assistendo ad un’ondata di patriottismo particolarmente forte e violenta che vede come principali protagonisti i giovani, i quali si stanno muovendo e mobilitando in massa seguendo il fenomeno tramite i social e anche mettendoci la faccia, partecipando attivamente e numerosamente a diverse iniziative e comprando, indossando e sfoggiando vestiti patriottici.

Il fenomeno dell’abbigliamento patriottico è relativamente recente se consideriamo che una delle marche più note ha iniziato solo due-tre anni fa. Questo dato però si scontra con la realtà dei fatti che mostrano come fin da subito tale iniziativa abbia riscontrato un incredibile successo tra i giovani – ma non solo – che trovano in questo tipo di abbigliamento un modo di esprimere le proprie idee politiche e la loro idea di Polonia oltre che di patriottismo. Non ci sarebbe nulla di male nell’indossare un’innocente t-shirt blu con una piccola aquila o con una piccola bandiera biancorossa se questa scelta non fosse presa come dimostrazione di appartenenza politica e di una retorica nazionalista che si va sempre più espandendo in tutto il paese. Il punto di partenza o il nocciolo della questione, se volete, è proprio questo, che tali indumenti, non sono semplici vestiti, ma si presentano come simboli di una determinata ideologia e di un determinato discorso nazionale e – purtroppo – nazionalistico. Esso si presenta infatti come un discorso identitario veicolato tramite un mezzo – i vestiti – di prima necessità e che acquista determinati valori simbolici per chi li indossa e per chi li vede indossati: il messaggio trasmesso è un forte sentimento patriottico e di appartenenza ad un preciso e circoscritto gruppo sociale. Le magliette o le felpe che rientrano in queste linee usufruiscono e si fanno portatrici di una retorica fondata su degli elementi che puntano a conquistare la massa attraverso un linguaggio stereotipato che utilizza precise immagini storiche volte a sottolineare particolari caratteri della nazione – in questo caso polacca – con lo scopo di suscitare orgoglio nazionale.

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Dietro questo tipo di retorica, c’è un preciso meccanismo psicosociale che agisce a livello inconscio   funzionando da collante sociale e marcatore identitario; questa teoria è spiegata in modo semplice ma accurato nel saggio intitolato Myth and mobilisation: the triadic structure of nationalist rhetoric scritto da M. Levinger e P. F. Lytle. I due studiosi riprendono l’idea formulata da Anderson di nazione come costruzione artificiale, di Imagined Communities – comunità immaginate – basata sul mito, su narrazioni costruite da coloro che fanno parte di tale comunità secondo un preciso immaginario nazionale (national imaginary). Le idee e le immagini utilizzate – se non proprio sfruttate – dalla retorica nazionalista, si fondano dunque su narrazioni che non sono sempre storicamente accurate ma che funzionano come discorso collettivo e fanno presa sull’inconscio di una nazione, andando poi a svilupparsi come stereotipi e caratteri fissati. Alla base di ogni discorso identitario si trova infatti un mito etnogenetico, ovvero un mito che spiega le origini di un dato popolo (si veda ad esempio il Sarmatismo per quanto riguarda il caso specifico della Polonia). Il primo elemento della struttura triadica della retorica nazionalista è il recupero del passato glorioso di una determinata nazione (the glorious past). Dal punto di vista della retorica, l’appropriazione di un determinato passato serve come strumento per indicare e delineare virtù e valori della data nazione contrapponendoli ai caratteri negativi degli “altri”. È un discorso volto a sottolineare continuamente la grandiosità e il potere della nazione. Ma se la data nazione fosse ancora e davvero così potente, non ci sarebbe bisogno di tali e continue sottolineature. Il secondo passo è quindi la presenza – e la consapevolezza – di un degraded present, un presente degradato in cui i caratteri mitici non sussistono più a causa di particolari fenomeni esterni imputati ovviamente a qualcuno o qualcosa che è altro rispetto alla nazione – e quindi, fondamentalmente, allo straniero. Scopo della retorica nazionalista è così una ripresa del passato mitico per superare un presente degradato e puntare ad un futuro utopico – utopian future.

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Passando al concreto, mi pare (ci pare) evidente che questo è il meccanismo che agisce alla base del successo dei diversi marchi di abbigliamento patriottico. I simboli riproposti dalle maglie e dalle felpe puntano alla ripresa enfatica di momenti storici polacchi – la battaglia di Grunwald, la presa di Jasna Góra, Mieszko I, l’insurrezione di Varsavia… Andando ad esaminare le stampe di tali vestiti, si nota come si va dalla semplice maglietta con una mini bandiera polacca a quelle antieuropeiste, passando attraverso un repertorio vastissimo che presenta vari livelli di nazionalismo che sfrutta momenti storici dolorosi e complessi come strumenti di propaganda e di adesione sociale. Uno degli esempi più forti è la rivalutazione storica dei żołnierze wyklęci i quali spopolano sulle felpe e che sono considerati alla stregua di eroi solo perché anticomunisti. Il problema non è tanto il parlarne quanto il fatto che tale retorica narra e pone il focus solo su determinati aspetti senza andare a raccontare tutta la storia: ci si avvale di una debolezza storica, il comunismo, per far passare come eroi tutti coloro che lo hanno combattuto, senza fare distinzione alcuna. Questo è uno dei rischi in cui si finisce utilizzando e sfruttando – ma soprattutto aderendo – ad una retorica nazionalista: incapacità di discernere e una conseguente accettazione passiva di quanto viene proposto senza un proprio pensiero critico. Una di queste marche, inoltre, nella sua campagna pubblicitaria per la collezione primavera/estate utilizzava un’immagine che personalmente mi ha fatto raggelare: due giovani biondissime e perfettamente bianche trituravano dei libri. Mi sembra un simbolo molto forte che, personalmente, mi ha portato alla testa una e una sola cosa, un “certo” rogo di libri avvenuto nel non lontano 1933.

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Se si fa una breve ricerca su internet, escono tantissime pagine che vendono tali indumenti ma la questione si fa più interessante se la ricerca la si fa su Instagram. Selezionando gli hashtag giusti, si spalanca un mondo che ci illustra bene chi acquista questi vestiti. Scopriamo così che c’è – come si menzionava sopra – uno strettissimo legame con una certa ala politica che tende all’estrema destra. Ma anche che queste linee puntano molto a chi fa una determinata tipologia di sport come la box o mma – sport violenti, insomma che trasmettono l’idea di un polacco pronto a combattere per la nazione (pro bono patriae!) contro il nemico (inesistente).

E poiché noi di PoloniCult dobbiamo metterci il naso alla stregua di San Tommaso siamo andati a cercare di capirne di più direttamente sul campo chiedendo alle persone cosa ne pensassero. I risultati ottenuti sono diversi e interessanti. Quest’estate l’ho passata in Francia presso una ragazza polacca che però ha lasciato il paese da circa dieci anni e parlando di tutto e di più le chiesi cosa ne pensasse ma mi rispose che non ne sapeva nulla. Dopo essersi informata e aver letto, mi disse che mai e poi mai avrebbe indossato dei vestiti del genere e che fondamentalmente aveva lasciato la Polonia proprio per queste cose ma che d’altro canto, il fatto di essere prodotte interamente su suolo polacco con cotone polacco era una buona cosa – certo avrebbero potuto farlo con altri soggetti!
Al mio coinquilino cracoviano doc invece feci vedere direttamente una serie di magliette chiedendo quali indosserebbe: alcune si, altre no. Quando poi gli spiegai il contesto, era sconvolto. Anche la mia docente, quando le proposi il progetto e l’idea di un saggio su tale tematica, mi disse di non saperne nulla. Ciò conferma l’idea che, nonostante sia un fenomeno di massa che si allarga sempre di più a macchia d’olio, riguarda soprattutto una certa fascia di popolazione e cioè quella più giovane – fattore secondo me ancora più allarmante. Io ne venni a conoscenza ad esempio dal fidanzato polacco di una mia amica, al quale piacciono questi indumenti e alla domanda “perché compri queste magliette” mi rispose che “rappresentano la Polonia, la storia polacca, le vittime del comunismo e le persone che hanno combattuto per la libertà”.

Ma andiamo oltre, perché non potevamo restare solo su territorio cracoviano, così ci siamo spostati anche a Varsavia e fuori da un negozio di uno dei brand più famosi di questa linea, abbiamo incontrato due ragazzini sui quindici anni. Uno dei due ci ha risposto dicendo che gli piace lo stile “combattivo” e che lo fa sentire orgoglioso, perché la storia polacca è fatta di battaglie e sente di farne parte. Alla domanda se fosse contro gli stranieri risponde di no, che ha un amico vietnamita ma pensa che di essere polacchi si debba essere orgogliosi. Non ha opinioni sull’Europa, non segue i tg. Il compare invece la fa più complicata, ci dice che i genitori gli raccontano di come si stesse male sotto i sovietici (parole testuali) i quali sottomettevano i polacchi che non potevano dimostrare la loro grandezza. Gli piace la storia ma non quella fatta a scuola, si documenta su internet e su youtube. Va in chiesa ogni domenica assieme alla famiglia e difende la tradizione. A parte i turisti, dice, ognuno dovrebbe stare al suo posto. Sulle magliette aggiunge che è normale essere orgogliosi del proprio paese e possono essere portate con fierezza.

Abbigliamento patriottico

Si capisce bene che, quando questi discorsi sono fatti da giovani e giovanissimi, spesso sono ignorati perché lì si reputa non gravi, non pericolosi: “ripetono quello che sentono dalle famiglie o in giro”, “non sono seri”… il problema sta proprio qui, il fatto che siano affascinati da un discorso identitario di massa che stordisce e cattura – perché non si può negare che sia accattivante il modo in cui opera. È come nella fiaba del pifferaio magico, dove la musica attira e conquista i bambini. O come le piante carnivore che attirano gli ignari insetti con fiori e profumi prima di divorarli. E la massa, si sa, divora. Esattamente come l’ignoranza e la mancata informazione.

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