Il re di Varsavia è il primo romanzo di Szczepan Twardoch arrivato in Italia, un noir esistenziale sullo sfondo della Varsavia anni ’20.
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di Francesco Annicchiarico
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Questo articolo è uscito per la prima volta nel 2017, pochi mesi dopo l’uscita de Il re di Varsavia in Polonia e durante il suo grande periodo di fama tra i lettori polacchi.
Oggi il libro è disponibile anche in Italia, pubblicato da Sellerio e tradotto da Francesco Annicchiarico che ha curato questo pezzo oltre all’estratto di traduzione che era uscito insieme al pezzo e che, per motivi di copyright, non è più disponibile sul sito.
Le parole dedicate al libro prima che arrivasse in Italia valgono allora come oggi, per un romanzo che abbiamo amato e che siamo orgogliosi di avere fatto arrivare in Italia con la nostra presentazione e la nostra passione.
Quindi lasciatecelo dire, prima di entrare nella lettura di questa recensione ante litteram, viva il re e viva noi di PoloniCult.
Buona lettura.
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Un po’ avevo perso le speranze. Non capivo come mai si trovasse niente di interessante davvero, niente più romanzi da leggere una pagina dopo l’altra, fino alla fine della storia. Ho passato un intero anno a snobbare le nuove uscite polacche perché non ci trovavo niente.
Mi sono detto che forse l’errore era mio, che non mi impegnavo troppo nella ricerca, ma ogni volta che ero in libreria a Varsavia mi imbattevo in questo libro dalla copertina verde. Sembra un oggetto antico, packaging affascinante, troppo bello per essere bello anche da leggere, troppo esposto per essere davvero un capolavoro. Troppo difficile il nome del suo autore, Szczepan Twardoch (chissà in pronuncia italiana come suonerà) per fare breccia negli occhi dei lettori italiani.
Eppure Twardoch è lo stesso autore di Morfina, di qualche anno prima. Un libro di quelli che restano, e che aveva avuto un successo clamoroso. Qui in Belgio, tra tutti gli expat polonofili, e non siamo così pochi, nel 2012 non si era parlato d’altro.
Tutti avevano acquistato o letto Morfina, e si parlava di questo autore in grado di mantenere alta la tensione per più di 400 pagine, che descriveva il rapporto tra narratore, sua moglie, sua madre e la sua amante viziato dalla sua dipendenza per la sostanza del titolo mentre Varsavia cadeva presa dai tedeschi, nel settembre 1939. Una lettura affascinante e disturbante, di sicuro successo.
Per lo stesso motivo per cui ho amato questo libro, mi sono ostinato a ignorare Król. Perché sono uno snob e mi sono detto: non ne posso più di vedere ebrei a Varsavia, yiddish e polacco in calderone, gli anni trenta del novecento, l’inizio popolare di una dittatura spietata e nera come la notte.
Non ne potevo più di sentire riproposti i soliti quattro o cinque cliché di molta letteratura contemporanea, eppure la pila verde di Król si vendeva da sola, ovunque.
Maledetto Król, maledetti libri fighi e cari e affascinanti e ciccioni e i soldi che ci vogliono per comprarvi e le bestemmie per portarvi dietro ovunque.
E quindi, per nutrire il mio ego snob e cedere alla tentazione di dire sì, quando mi viene chiesto hai letto l’ultimo di Twardoch?, l’ho comprato. Esitando, come un cretino, ma l’ho fatto.
Cosa ci trovo?
La storia: è Moises il narratore. Moises Bernstajn è un adolescente, ebreo, diciassette anni rinchiusi in un corpo magro, debole, povero; è figlio di Naum e Miriam, ebrei ortodossi. È Moises Bernstain, diciassette anni che parla, ma è anche Moises Inbar, sessantasette anni, generale del Mossad, israeliano, che racconta questa sua storia crudele e affascinante. Moises ha cambiato cognome, non è più la stessa persona. È diventato il suo doppio, è scappato in Israele e ora è seduto alla macchina da scrivere a parlarci.
Moises racconta gli anni trenta del novecento, a Varsavia che è ridiventata da poco la capitale della nazione indipendente, libera del giogo russo. È una libertà effimera, i partiti socialisti e i gruppi armati di questo partito hanno preso il potere praticamente con la forza. Sul vicino di sempre, la Germania, soffia potente il vento del nazionalsocialismo, che anche in Polonia recluta adepti, tra tutte le classi sociali, abbienti o no, e la stampa locale ne approfitta per attaccare la minoranza. Il clima è tesissimo. Il fronte comune cattolico-ebraico costituitosi in forza armata clandestina, capace di colpire l’occupante zarista, si è sfaldato. Gli ebrei sono ritornati a essere l’elemento allogeno e interno, il virus da estirpare.
Gli ebrei vivono in città da secoli, gli ebrei sono Varsavia e sono polacchi. Sono parte integrante della storia cittadina e del suo tessuto sociale. Sono giornalisti, professori, commercianti, criminali. Il gruppo che fa capo a Kum Kaplitza è il più potente e influente di Varsavia. Kum e i suoi uomini hanno in mano tutto ciò che conta in città, hanno appoggi influentissimi (grazie all’antica militanza di Kum tra le fila dei socialisti armati) a ogni livello cittadino. Uccidono, commerciano, stuprano, taglieggiano i commercianti. Ricchi e poveri, tutti pagano Kum, il compare Kum.
Tra i commercianti più poveri della categoria, c’è Naum Bernstajn, il padre di Moises. Naum viene sequestrato e ucciso da Jakub Shapiro e la sua gang agli ordini di Kum Kaplitza, boss ebreo della città.
Il giovane Moises assiste quando suo padre viene prelevato a forza da casa, trascinato per la barba come un animale, rinchiuso nel bagagliaio dell’auto di Shapiro e portato via. Il ragazzo è traumatizzato, ma anche affascinato da quest’uomo, Shapiro, che a Varsavia conoscono tutti. Lo chiamano Jankiew, o Jakub, o Kuba, è il campione dei pesi massimi della città. Jakub Shapiro è rispettato e temuto, per i meriti sportivi e per essere il braccio destro del boss di Varsavia.
Da giovane ebreo del keder di quartiere Moises Bernstain decide di diventare come Jakub Shapiro. Soprattutto decide di abbandonare tutto ciò che è sempre stato, decide di abbandonare la paura costante, gli occhi minacciosi dei cristiani che lo guardano con disprezzo, il gregge dei capri espiatori sempre pronti al sacrificio.
Così abbandona casa per andare a cercare l’uomo che ha rapito suo padre, e che solo dopo scoprirà essere stato squartato e gettato nella Vistola. Shapiro lo prende con se, forse per il senso di colpa che il ragazzo gli ispira, o per pena nel vedere Moises gracile e indifeso, o forse per nutrire e lasciar evolvere la rabbia che il ragazzino nutre verso la vita e verso di lui, e trasformarlo in qualcos’altro che un povero ebreo spazzato dai venti della storia.
Comincia l’apprendistato criminale di Moises Bernstain, che viene accolto in seno all’organizzazione di Kum Kaplica come il giovane Shapiro. Verrà sfamato a dovere, allenato come un pugile, ripulito degli stracci da ebreo ortodosso dei quartieri poveri, introdotto ai personaggi più influenti di Polonia e ai più acerrimi nemici della patria e del popolo, quei nazisti di cui si sente tanto parlare e che cominciano a fare danni irreparabili. Ci saranno armi, morti, sesso, droga e politica. E sarà un’avventura da cui non si potrà tornare indietro, condotta sul filo del rasoio della storia più implacabile, che cambierà il volto della Polonia e dell’Europa per sempre.
Cos’altro c’è nel libro?
La formazione e l’evoluzione del protagonista, che da adolescente informe e insicuro diventa artefice del proprio destino; l’antagonista potente dilaniato dai dilemmi di un destino che sta per compiersi malgrado la sua volontà e contro cui è impotente, nonostante tutta la violenza che esercita per sopravvivere; il boss, a capo di una banda di ebrei pronti a tutto per arricchirsi col crimine, che è anche padre di famiglia e che lotta anche per la legittimazione della sua gente, nonostante tutto; Varsavia, percorsa in lungo e in largo sulla Buick di Shapiro; donne potenti e padrone del proprio destino, vendicative, perverse, come perversi sono i viscidi umani che sono costrette a servire; il potere, spietato, che si abbatte su tutti come il diluvio; la raffinata psicologia con cui vengono descritti i personaggi; un autore di razza e mestiere, Szczepan Twardoch, che non gioca con gli stereotipi ma che continua a spingere con le parole per costruire romanzi sempre più avvincenti.
Un libro così, un autore così e una storia così meritano di essere letti.
Evviva il re.