Guida atipica e reportage storico, Kraków pod ciemną gwiazdą è un viaggio per le strade di Cracovia attraverso le storie dei delitti che ha ospitato.
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di Francesco Cabras
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Il testo che qui si presenta è opera di Krzysztof Jakubowski, divulgatore che ha dedicato non poche opere a Cracovia, tra le quali voglio ricordare un’interessante Kawa i ciastko o każdej porze, ovvero una storia delle caffetterie e delle pasticcerie della città del Wawel.
La sua fatica più recente, il cui titolo è approssimativamente traducibile con “Il volto oscuro di Cracovia”, è una raccolta di brevi resoconti dedicati a singoli episodi criminosi che lì si sono verificati in un arco temporale che si estende dal 1885 al 1967.
Il libro, edito da Agora nel 2016, è scandito da tre macrocapitoli, dedicati rispettivamente agli omicidi, alle truffe e a quei casi che hanno avuto, per ragioni diverse, implicazioni con la politica. Ogni capitolo si articola in svariati microparagrafi, ognuno dei quali racconta – sarebbe meglio dire “relaziona” – di un caso specifico.
Se Jakubowski non dimostra il talento giallistico del nostro Lucarelli, che ha saputo ri-raccontare la cronaca nera italiana con toni degni del noir, intrecciando spesso e volentieri i fatti narrati con la storia nazionale, il pregio di Jakubowski è la sua prosa secca e concisa di cronaca di giornale. Sono fatti – quasi a ricalcare la massima dickensiana che troviamo nell’incipit di Hard Times sulle labbra di Mr. Gradgrind: “Stick to facts!“, “si attenga ai fatti!” – quelli che Jakubowski ci offre. Il giudizio di Dickens nei confronti di Gradgrind non è per niente tenero, ma l’estensore di questo articolo non vuole affatto presuntuosamente impancarsi a Dickens della situazione, né accusare Jakubowski di essere un “moderno” Gradgrind, ché l'”attenersi ai fatti” è piuttosto un pregio del suo libro, utilizzabile con grande profitto come guida non convenzionale per le strade di Cracovia. La secchezza prosastica del resoconto (auspicabile per qualsivoglia guida) è infatti abbondantemente compensata da un ricco corredo fotografico che accompagnerebbe “con mano sicura” il lettore che decidesse di farsi turista e muoversi per le strade della città con questo Kraków pod ciemną gwiazdą sotto il braccio. Nel testo peraltro non mancano puntualissimi riferimenti agli aggiornamenti cui la toponomastica è andata soggetta nel corso dei decenni, sì da rendere impossibile lo smarrirsi, anche a chi il senso dell’orientamento facesse maggiore difetto.
Requisito indispensabile è tuttavia la conoscenza del polacco, dal momento che solo in questa lingua il testo è disponibile. Offrirò qui i riassunti di alcuni episodi narrati nel libro, da cui emerge un’immagine di Cracovia ben diversa da quella che potrebbe cogliere un turista che si trovasse a passeggiarla oggi; una Cracovia violenta e insanguinata, che contrasta prepotentemente con la tranquilla immagine da cartolina che il più delle volte lascia il segno sul visitatore contemporaneo.
Potremmo partire da quella che negli anni ’30 si chiamava ulica Potockiego, oggi la centralissima Westerplatte che dalla stazione centrale porta, costeggiando i Planty, in direzione del Teatr Bagatela. Qui si sono verificati due fatti di sangue che hanno messo in subbuglio la città per mesi, divenendo scaturigine di feroci polemiche sulla sicurezza e l’ordine pubblico (il problema della criminalità, almeno negli anni intrabellici, era molto grave e sentito dalla cittadinanza).
Il primo caso ebbe luogo al numero 12 di ulica Potockiego, il 14 maggio 1934. Il dottor Józef Nüssenfeld, primario all’ospedale ebraico, rientrando dal lavoro nel pomeriggio, trovò in casa il corpo senza vita di Anna Garncarzówna, la sua donna di servizio, trentaduenne. Come avrebbero accertato le indagini, la malcapitata morì soffocata, ma sul suo corpo erano evidenti ecchimosi ed escoriazioni, segni di lotta ingaggiata prima della morte. Il dr. Nüssenfeld custodiva incautamente in casa propria gran parte del proprio patrimonio, ciò a cui i criminali puntavano, visto che risultarono mancare all’appello ben quattordicimila dollari in banconote, due orologi d’oro, due medaglie d’oro, svariati preziosi e centocinquanta monete d’oro del valore di venti dollari ciascuna.
Furono proprio le monete d’argento a mettere la polizia sulla strada giusta, visto che la svolta nelle indagini venne proprio da una di queste monete, quando un avventore del ristorante di Berta Haubenstock (che, per il turista curioso che s’aggira per Cracovia con il libro sotto braccio, si trovava in ulica Czarnowiejska al numero 39), volle pagare proprio con una moneta da venti dollari. Risultò poi che l’incolpevole contadino aveva ottenuto quella moneta come ricompensa per aver fatto salire sul proprio carro un paio di sconosciuti che si fecero portare fino a Olsza, campagna a nord est della città, allora non ancora inglobata entro i confini comunali (si tratta grossomodo della zona in cui si trova il cimitero Rakowiecki). Furono arrestati in rapida successione Henryk Wanata e Jan Doniec, trovati in possesso di buona parte della refurtiva sottratta dall’appartamento di Nüssenfeld. Quello che però nessuno si aspettava e che più di tutto fece davvero scalpore fu il coinvolgimento nell’affare di due studenti dell’accademia di Belle Arti, il ventiquattrenne Kazimierz Schenkirzyk e il venticinquenne Władysław Bobrzecki. Allora le istituzioni universitarie godevano di autonomia garantita a livello costituzionale, ciò che implicava l’impossibilità di arrestare uno studente senza l’assenso del rettore; assenso che la polizia ottenne, a patto però che l’arresto dei sospettati avvenisse al di fuori delle mura dell’ateneo. La scena che ne sortì fu alquanto plateale: la polizia circondò l’edificio su Plac Matejki e attese che i due si decidessero a uscire; il primo a farlo fu Schenkirzyk, mentre Bobrzecki, resosi conto di ciò che stava per capitargli, cercò di starsene rintanato all’interno dell’edificio il più a lungo possibile, ma dovette infine capitolare, consegnandosi alle forze dell’ordine.
Era stato proprio Bobrzecki a organizzare la rapina in casa di Nüssenfeld: lo conosceva personalmente grazie alla moglie, impiegata come segretaria alla Camera dei Medici. Fu lui a coinvolgere prima il compagno di studi e poi Doniec, che nel piano d’azione originariamente elaborato dai complici doveva recitare la parte di amante della vittima, onde carpirne la fiducia e impossessarsi delle chiavi dell’appartamento; purtroppo per la donna però questa possibilità fu scartata e i criminali decisero di eliminarla. Bobrzecki, Doniec e Schenkierzyk furono infine condannati a 14, 12 e 10 anni di carcere, mentre Wanat e altri personaggi che erano entrati nell’indagine risultarono aver avuto ruoli defilati nella faccenda.
Il 31 agosto 1937, pochi anni dopo l’omicidio della Garncarzówna, Jan Kozierowski, commerciante d’ombrelli che aveva la sua attività in ulica Potockiego 13, riuscì a salvarsi da un tentativo d’omicidio seguito a una tentata rapina al suo negozio, mettendo in fuga i suoi aggressori, Aron Schwarz e Stanisław Żelazny. Come Jakubowski stesso scrive, s’assistette a scene degne d’un gangester-film holliywoodiano: i due malviventi presero a correre in direzione della stazione, lungo i Planty, inseguiti da poliziotti e gente comune che di lì si trovava a passare; non passò molto che fuggiaschi e inseguitori presero a spararsi addosso a vicenda. Żelazny cadde ferito e fu arrestato subito, mentre il complice, lanciandosi in direzione di ulica Lubicz (con la stazione ferroviaria alle spalle e la strada immediatamente a sinistra) sparò a bruciapelo a Marcin Gądek, uccidendolo sul colpo. Il trentenne, impiegato come cameriere al ristorante Dworek e residente al numero 13 della centralissima ulica Św. Jana, all’incrocio con ulica Św. Marka, aveva tentato suo malgrado di fermare il bandito, afferrandolo per una mano. Morì davanti all’Hotel Europejski, ancora oggi esistente, al numero 5 di ulica Lubicz. Schwarz fu ucciso in una sparatoria con la polizia il 18 settembre. Due poliziotti recatisi in ulica Czarnowiejska 5 (siamo nella zona di ulica Dolnych Młynów, ulica Rajska e Plac Inwalidów; in particolare ulica Dolnych Młynów e ul. Czarnowiejska sono oggi tra le vie più piacevoli di Cracovia, caratterizzate da tutta una serie di locali di nuova apertura e dall’atmosfera un po’ hipster, punti di ritrovo per i giovani, dov’è possibile gustare delle ottime birre e ascoltare della buona musica) lo condussero in caserma per accertamenti, insospettiti da quel personaggio trovato in casa di un noto truffatore che si erano recati ad arrestare. Arrivati alla stazione, Schwarz, che pure era stato precedentemente perquisito, estrasse una pistola e sparò ai due poliziotti che lo scortavano: uno, Stanisław Kopaczyński fu colpito al cuore morendo sul posto, mentre Ludwik Hołda fu centrato dalle pallottole di Schwarz alla coscia e al basso ventre. È probabile che Schwarz fosse entrato in possesso dell’arma dopo la perquisizione, quando un capannello di curiosi si fece attorno al bandito e alla scorta di polizia, che evidentemente non si avvide di nulla; sia come sia, dopo gli spari iniziò un inseguimento folle, a cui parteciparono anche civili che si trovavano casualmente sulle strade interessate dalla fuga del bandito. Schwarz corse in lungo e in largo tutta quella che oggi è una zona eminentemente studentesca (è lì ad esempio che si trova lo studentato “Piast”), ovvero quella zona delimitata dai Błonia e da ulica Lea, passando per l’allora ulica Popiela (oggi Galla), Racławicka e Kazimierza Wielkiego (che incrocia ulica Urzędnicza). Una bella zona residenziale (oggi), decisamente accogliente e tranquilla. Difficile immaginarsi scene da Far West tra quelle strade, eppure è proprio ciò che si verificò. Finì con Schwarz braccato nei pressi di ulica Królowej Jadwigi. Ferito alle spalle da un primo colpo, non volle arrendersi, continuò a sparare sulla polizia e fu raggiunto infine da un colpo mortale alla testa.
Vale inoltre la pena di ricordare la vicenda di Marianna Bałucka, madre dello scrittore Michał Bałucki (1837-1901), importante figura del positivismo letterario anch’egli, come la madre, morto di morte violenta (si suicidò).
Marianna Bałucka (da tutti allora conosciuta come Pani Miriam), dopo la separazione dal marito tentò di ovviare alle ristrettezze materiali aprendo una caffetteria nella zona di Ulica Sienna, quella via che si apre di fronte alla statua di Adam Mickiewicz sul Rynek Główny. Gli affari le andarono talmente bene da permetterle di trasferirsi nell’odierna Dom Hippolitów (a fianco della Bazylika Mariacka, poco prima del Mały Rynek e dell’inizio di Ulica Szpitalna); in quello stesso edificio continuava a gestire una caffetteria che le fruttava cospicui guadagni. Dal 1877 si trasferì in ulica Floriańska 10; ormai ricca, poteva permettersi di vivere di rendita, prestando talvolta denaro a interesse e, almeno così scrive Jakubowski, facendo anche donazioni a bisognosi.
La sera del 3 settembre 1885 fu ritrovata morta nella sua camera da letto dalla cameriera che come d’abitudine s’era recata da lei. L’assassino fu identificato nella persona di Seweryna Łabędziowska, amica di vecchia data della vittima, che la uccise per procurarsi del denaro. Al di là della cronaca dei fatti e del processo, Jakubowski riferisce di alcune dicerie che iniziarono a circolare per la città: perché la Łabędziowska, donna di umili condizioni, dedita al gioco d’azzardo e sposata a un modesto rilegatore, intratteneva rapporti così confidenziali con una donna, la Bałucka, di condizione sociale infinitamente più elevata? Non poteva bastare, almeno questo si andava dicendo, il fatto che le due donne fossero state a lungo vicine di casa, prima che la Łabędziowska si trasferisse con il marito fuori Cracovia. Jakubowski riporta affermazioni di Stanisław Bylicki, del cui padre Franciszek Michał Bałucki, figlio della vittima, era amico. Bałucki era solito recarsi in visita all’amico, in ulica Krupnicza (è la via a destra del Teatr Bagatela). A detta di Bylicki, Bałucki avrebbe rivelato, proprio durante una di queste visite, dei particolari emersi dalle dichiarazioni della Łabędziowska durante gli interrogatori immediatamente successivi all’arresto e tuttavia non emerse nel dibattimento processuale.
Le due donne si sarebbero conosciuto sullo scorcio degli avvenimenti riguardanti l’insurrezione del gennaio 1863. Un giorno la madre, di ritorno a Cracovia da un viaggio, si sarebbe fermata per la notte in una locanda di Miechów. Compagna di stanza in tale locanda sarebbe stata proprio la Łabędziowska, che allora stava fuggendo da Kielce. Un uomo si sarebbe presentato alla loro porta, affidando alle due donne una valigia da portare a Cracovia. Il destinatario si sarebbe presentato spontaneamente a ritirarla e segno di riconoscimento avrebbe dovuto essere una chiave che aprisse la valigia; l’uomo però non si presentò mai, motivo per cui, trascorso qualche tempo, le due donne la aprirono da sole, dividendosi equamente il denaro che vi trovarono; insieme ai contanti, erano contenuti nella valigia anche alcuni documenti riguardanti l’insurrezione (ormai privi di valore, visti gli anni passati).
La storiella va presa con le proverbiali pinze, eppure aggiunge un’aura di mistero e un pizzico d’avventura attorno a quelle strade del centro di Cracovia che oggi un turismo “di massa” e forse un po’ superficiale non è molto capace di apprezzare fino in fondo.
Voglio segnalare, per chi fosse interessato a una forma di turismo un po’ diverso dal solito, che esiste la possibilità di prenotare visite guidate a tema dedicate proprio alla “Cracovia criminale”.