Kogel-Mogel

Kogel-Mogel

Diretto da Roman Załuski, Kogel-Mogel è una commedia diventata di culto, ma non priva di ombre.

 
di Francesco Cabras

Kogel-Mogel è un film del 1988 del regista Roman Załuski, artista formatosi a Łodź, anche lui diplomato della locale scuola di cinema, la PWSFTviT, istituto che ormai dovrebbe essere familiare ai nostri lettori; alla stessa scuola si è formata anche Grażyna Błęka-Kolska, l’attrice che interpreta Kasia Solska.

Si tratta di una commedia che in Polonia è divenuta ben presto un film culto e che ha pure avuto un seguito, diretto dallo stesso regista: Galimatias, czyli Kogel- Mogel II (1989).

Kogel-MogelLa storia è quella di una ragazza (Kasia) che desidera andarsene di casa, studiare, viaggiare, conoscere il mondo; il film inizia proprio con il suo esame d’ammissione al primo anno di studi alla facoltà di pedagogia. Rientrata a casa in campagna, scopre che il padre e la madre (ma la madre si rivela essere decisamente succube del proprio marito) hanno organizzato a sua insaputa una festa di fidanzamento con un ragazzo del paese che Kasia non ama affatto; la ragazza naturalmente si rifiuta di acconsentire a questo fidanzamento (preludio naturale al matrimonio) e ha un confronto serrato con il padre, che è decisamente rivelatore: alle ragioni dell’uomo tutte economiche e di convenienza – il figlio maschio si è sposato con una “straniera” (z obcą) slesiana e quindi ha abbandonato il nido familiare; mancando la figura maschile che sostituisca il padre alla guida dell’impresa agricola, occorre “combinare” la figlia con un buon partito qual è ai suoi occhi Staszek, ricco e abile negli affari; che la ragazza non lo ami non è un problema anzi, secondo la madre, sarebbe “un vantaggio”; alle ragioni (al mus per l’esattezza [necessità!]) del padre dicevo, si oppongono quelle della figlia (mus), che vuole studiare, viaggiare, conoscere il mondo…ciò che colpisce è la totale incapacità del padre di ascoltare gli altri e soprattutto di concepire una realtà differente da quella che egli stesso si costruisce: quando la figlia rientra a casa, non la saluta nemmeno e si preoccupa di urlare contro la moglie, “donna incapace” (l’impiego costante del vocativo kobieto ha in questo caso un evidente valore spregiativo; come se in italiano si chiamasse continuamente la propria moglie “donna!” o, ancor peggio “femmina!”, mai per nome), perché mancano tre bottiglie di wódka al computo delle scorte fatte per la festa; spesso parla per frasi fatte, come questa: taka możliwość jest niemożliwa: będzie ślub i tyle!” [Questa possibilità (che non ci sia il matrimonio) è impossibile! Ci sarà e basta!]; quando parla con la figlia, le impone di stare in silenzio ad ascoltarlo (e lei in prima battuta accetta di non replicare). Quando la ragazza scappa di casa per recarsi a Varsavia e coronare il proprio sogno dopo aver ricevuto la raccomandata che la informava dell’esito positivo dell’esame, il padre la disconosce come figlia, offeso per il fidanzamento ormai saltato (e la festa che in quello stesso giorno si sarebbe dovuta tenere irrimediabilmente guastata).

Kogel-Mogel

Kasia a Varsavia finisce per fare da bambinaia a Piotruś, pestifero figlioletto del professore di pedagogia Marian Wolański; per una serie di fortuiti avvenimenti, la moglie di Wolański finirà per sospettare (infondatamente) una tresca tra il marito e la ragazza.

Kasia incontrerà infine Paweł, ragazzo che la conquisterà. Come? Kasia dichiara al ragazzo apertamente di non volersi sposare e di voler prima di tutto studiare e viaggiare. Sornione, egli le risponde: “Perché, il matrimonio esclude forse tutto questo?”; la porta allora a un incontro di lavoro con un olandese (Paweł è un agronomo e fa affari anche all’estero); la stupisce con il proprio inglese (che Kasia non parla quasi per nulla) e le prospetta una vita fatta di viaggi e avventure. Una volta capitolata, la porta a conoscere i genitori, senza dirle però di aver convocato anche i genitori di lei all’incontro. Messa alle strette, ormai davanti ai futuri suoceri, Kasia tenta di protestare, rinfacciando a Paweł il suo modo poco pulito di agire ma il ragazzo, inflessibile, ora mostra il suo volto più duro: dovrà sposarlo, altrimenti rivelerà ai genitori dove l’ha incontrata a Varsavia e la vita che faceva là (chiara l’allusione alla tresca – comunque non realizzatasi – con il professore).

L’happy ending è assicurato, ma viene da riflettere sul perché simili film divengano film di culto: la donna è sostanzialmente un “oggetto” nelle mani degli uomini e se tenta di ribellarsi a questo stato di cose diviene un “fenomeno abnorme” da riportare entro i rassicuranti confini della “normalità”. Kasia fugge di casa ma alla fine finisce per fare ciò che voleva suo padre: sposare un ricco possidente che prenderà in mano l’azienda di famiglia; le verrà magari concesso il contentino dei viaggi all’estero, ma sempre e comunque all’interno del rassicurante legame coniugale. Va notato inoltre come anche la sessualità di Kasia sia stata in qualche modo repressa: il ménage in casa Wolański è abbastanza noioso, nonostante i timori della moglie di Marian. Nulla succede tra i due, nonostante (pare di intuire a tratti) entrambi lo vorrebbero. Anche il maschio è in un certo senso “castrato”, nel momento in cui la sua virilità potrebbe mettere a repentaglio il vincolo matrimoniale. Poco importa che tra i due coniugi non ci sia più intesa (Pani Wolańska aveva esplicitamente confessato alle amiche di voler lasciare il marito, prima della comparsa di Kasia); nonostante Kasia si comporti in maniera irreprensibile (per i canoni di questa moralità che ho appena menzionato) viene fatta oggetto di continue insinuazioni anche da parte dei compagni di università e Paweł stesso alla fine – proprio chi ai suoi occhi sembrava diverso dagli altri – farà meschinamente leva sui trascorsi varsaviani della ragazza per costringerla ad accettare il matrimonio.

A pensarci bene non è qualcosa di troppo diverso da quanto accade in Seksmisja, sebbene lì accada in un modo estremamente più fine: anche in quel caso la ribellione del femminino era considerata aberrante e quindi relegata in un mondo ctonio; una tale ribellione andava addomesticata, ricondotta entro i canoni della “normalità” “maschiocentrica” che poco comprendeva le ragioni del femminile – ricordate Jerzy Stuhr di fronte all’aristofanesco senato di donne che lo sta giudicando per il suo essere uomo, minacciandolo sostanzialmente di castrazione? A un certo punto, urla: Chłopa wam trzeba! [Vi occorre un uomo!!] (nel senso sessuale dell’espressione, ovviamente…).

Non si vuole con ciò dare l’idea di una società patriarcale e “maschiocentrica”; la Polonia è un paese giovane (anagraficamente) e che sta attraversando da trent’anni a questa parte tumultuosi e rapidi cambiamenti; né gli anni della PRL erano così “bacchettoni” come tali pellicole farebbero supporre, anzi; le stesse cinematografia e cultura polacche hanno offerto anche narrazioni di segno opposto. Tuttavia, resta uno spunto di riflessione: lo straordinario successo commerciale di simili film può dire qualcosa della mentalità di una parte (non di tutta e non in ogni momento storico) di quella società che tali film apprezza. Beninteso: non solo di quella polacca.

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