L’11 novembre, giorno della festa dell’indipendenza polacca, è da tempo appannaggio dei nazionalisti. Ma ci sono segnali diversi nell’aria.
di Salvatore Greco
–
L’11 novembre in Polonia si celebra la festa nazionale dell’indipendenza, anniversario di quel giorno del 1918 in cui, a seguito dello sfaldamento degli imperi centrali durante la Grande Guerra e dell’opera politica e militare del maresciallo Piłsudski, la Polonia tornò sulle carte geografiche per la prima volta dal 1795. In Polonia, tra le celebrazioni laiche, questa è quella più sentita, molto più di quella del 3 maggio o dell’anniversario dell’inizio del Powstanie Warszawskie il primo d’agosto – evento molto partecipato ma inevitabilmente legato alla capitale più che a tutto il Paese.
La festa dell’indipendenza, invece, è il giorno in cui tutti i polacchi mostrano la gioia per la patria riunificata e il proprio orgoglio nazionale, una caratteristica culturale estremamente radicata che agli occhi di un osservatore italiano –per tradizione poco abituato al patriottismo- può risultare ingenua, quasi folkloristica se non addirittura retaggio esclusivo del più becero nazionalismo. A onor del vero, la cronaca degli ultimi anni non ha certo disincentivato una lettura di questo genere. Abbiamo assistito da spettatori alla crescita del nazionalismo polacco più violento e nutrito di parole d’ordine xenofobe, mostrato al mondo dalle curve calcistiche, dall’eurodeputato Janusz Korwin-Mikke e in parte anche da alcuni esponenti dell’attuale governo monocolore PiS.
La crescita di questi movimenti ha tuttavia creato anche i suoi stessi anticorpi, sotto forma di una società civile fortemente contraria a farsi rappresentare, in Polonia e nel mondo, da questa raffigurazione. Così, alla ormai consueta Marsz Niepodległości, organizzata da varie anime dell’ultra-destra polacca, si sono aggiunte a Varsavia altre due grosse manifestazioni volute rispettivamente dal KOD (maggiori dettagli in seguito) e dal partito di sinistra Razem (maggiori dettagli in seguito) che hanno fatto propria l’intenzione di dimostrare come lo spirito nazionale non è patrimonio esclusivo della destra e come si possa dirsi orgogliosamente polacchi pur senza condividere uno spirito belligerante, purista e allergico alla modernità e alla diversità in ogni sua forma. Abituato come ero (e sono) a leggere, in rete, gli attacchi dei nazionalisti contro la sinistra e il mondo liberale, colpevoli di non sentirsi abbastanza polacchi, ho deciso di partecipare a entrambe le manifestazioni alternative per capire qualcosa in più e raccontare una Polonia meno visibile, soprattutto agli occhi dei media generalisti innamorati del paragone Kaczyński-Orban e di un nazionalismo di destra capillare e inarrestabile.
Quando inizio il mio personale 11 novembre, il quartiere di Wola, dove attualmente risiedo, non sembra particolarmente sentire la ricorrenza: poche bandiere appese a qualche finestra e tutti i negozi chiusi – ad eccezione di un grosso ristorante di kebab – sono gli unici segnali di un giorno di festa. La musica cambia appena salito sull’autobus, dove incontro alcuni ragazzi con una fascia militare biancorossa al braccio, numerosi anziani che sfoggiano una coccarda al petto, anch’essa biancorossa, e via via che ci si avvicina al centro, anche diverse persone munite di bandiere.
Il mio primo obiettivo è Plac Narutowicza, nel quartiere di Stara Ochota poco a sud del centro storico. Da questa piazza, intitolata al primo presidente della Polonia indipendente ucciso dopo una settimana di insediamento da un fanatico nazionalista, parte la prima manifestazione di oggi, quella del KOD, e non si tratta di una scelta casuale. Il KOD-Komitet Obrony Demokracji (Comitato in difesa della democrazia) è un’associazione attiva dal marzo del 2016 come movimento apartitico (sulla carta) di aperta opposizione al governo e ai suoi provvedimenti ritenuti pericolosi per la democrazia, a partire dalla discussa riforma del Tribunale costituzionale. In passato le manifestazioni indette dal KOD hanno visto le partecipazione di decine di migliaia di persone della più varia estrazione politica e sociale, simpatizzanti più o meno calorosi dei vari partiti di minoranza, accomunati quasi solo dall’essere all’opposizione.
In effetti l’atmosfera che incontro raggiungendo Plac Narutowicza somiglia a quella dei girotondi anti-berlusconiani di morettiana memoria: musica allegra, tanta gente e un’aria festosa, non sembra la riunione di un movimento di opposizione, e nessuno per altro sembra infastidito dalla neve caduta nella notte e dal freddo di quella mattina. Quasi tutti sventolano bandiere polacche e molti anche europee: dopotutto l’appartenenza all’UE è un punto fondamentale per i militanti del KOD, in contrapposizione all’antieuropeismo del governo. Un’altra cosa che noto immediatamente, è che la composizione sociale dei manifestanti è meno variegata rispetto a quanto pensassi, l’atmosfera è piuttosto borghese e l’età media sarebbe facilmente intorno ai 50 anni se non fosse per i bambini e gli adolescenti che sono lì in compagnia di genitori e nonni. In generale ho presto l’impressione di essere l’unico sotto i 40 a trovarmi lì spontaneamente.
La prima persona con cui scambio due parole è una militante del KOD impegnata a raccogliere fondi che in cambio di una manciata di złoty in monete mi regala una spilletta e un’intervista. Si chiama Magdalena, ha 45 anni e mi racconta di essere un’attivista della prima ora. Quando le chiedo del governo mi risponde, con un sorriso beffardo, che di certo non lo approva né tantomeno approva il suo ammiccare all’estrema destra e ai nazionalisti, con i loro messaggi di odio contro gli altri e contro l’Europa. L’Europa, e non lo dimostrano solo le bandiere, per queste persone è un valore estremamente importante a cui sarebbe folle rinunciare. Quando le chiedo per chi ha votato alle politiche mi risponde senza indugio che il suo voto è andato a Platforma Obywatelska, il partito fino ad allora al governo. Lo rivoterebbe? Probabilmente sì, mi risponde, ma un po’ sconsolata. Non si stanno muovendo bene, aggiunge, ma non vede molte altre alternative. Magdalena lavora come segretaria per uno studio legale, si dichiara cattolica praticante ma ha anche aderito al czarny protest, lo sciopero di massa delle donne contro la discussa proposta di divieto totale di aborto. “Ho due figlie e sono felicissima di essere madre, ma rendere l’aborto illegale in ogni caso è pericoloso da un punto di vista sanitario e oltretutto sono convinta che se una donna arriva a prendere una decisione del genere debba perlomeno poterci pensare”. La saluto con la promessa di salutarle l’Italia al mio ritorno in patria, ha una sorella dalle parti di Carrara che va a trovare spesso.
Mentre proseguo nella marcia e cerco di carpirne il senso, noto ancora di più che le bandiere polacche e i simboli nazionali la fanno da padrona anche se ci sono molte bandiere del KOD e striscioni di vario genere, compreso uno con la scritta Wolność in rosso su sfondo bianco, lampante citazione dello storico logo di Solidarność. Il fatto che la gente sia qui oggi più per un senso propositivo di orgoglio nazionale che non esclusivamente di protesta, me lo dimostra un altro dei manifestanti con cui ho opportunità di parlare. Si chiama Zdzisław, non gli chiedo l’età ma è un signore che sicuramente ha superato i settant’anni, naturalmente pensionato e anche lui elettore di Platforma Obywatelska. Quando gli chiedo perché sia a questa marcia mi risponde così: “Vede, la festa dell’indipendenza è un patrimonio di tutti noi polacchi, una cosa di cui andare orgogliosi ma non come messaggio bellicoso o di superiorità rispetto ad altre nazioni. I miei genitori hanno combattuto nell’Insurrezione, io non me la ricordo perché ero appena nato, ma il patriottismo l’ho imparato a casa mia, assieme alle buone maniere, fa parte di me da sempre e non credo che quei nazionalisti che lo proclamano urlando parole di odio mi rappresentino. Sono qui perché amo essere in piazza in mezzo alla gente e in un clima di pace e solidarietà: con i nazionalisti sarebbe stato impossibile”.
Gli slogan scanditi sono perlopiù neutri, del tipo “wolność, równość, demokracja” (libertà, uguaglianza, democrazia) e anche se non mancano parole di scherno contro il governo e striscioni contro Kaczyński, l’atmosfera generale sembra quella di un popolo pacioso che vuole solo manifestare la propria gioia dell’11 novembre senza coloriture radicali. A rendere la manifestazione poco politica contribuisce la mancanza di bandiere di partito e il fatto di trovarsi di fronte a un corteo poco rumoroso, animato al più da qualche tromba, ma che nonostante gli impegni dello speaker non sale di livello. D’un tratto mi colpisce la presenza di un signore in bicicletta che al cestino del suo mezzo ha legato un’asta dalla quale sventolano, con il vento freddo di quella mattina, una bandiera di Israele e una degli Stati Uniti: me ne accorgo attratto dai colori che spezzano il dominio biancorosso e non posso fare a meno di fermarlo. Per qualche motivo non vuole dirmi il suo nome, ma dichiara di essere un insegnante del ginnasio e in merito alle bandiere mi dice “sono di religione ebraica, certo, ma prima di tutto sono polacco. Con questa bandiera voglio omaggiare il ruolo degli ebrei nella storia della Polonia e il loro contributo all’indipendenza che non tutti ricordano”. E quella americana? “Beh, il presidente Wilson e la società delle nazioni hanno fatto molto a Versailles e poi gli americani sono da sempre nostri alleati”. Alle ultime elezioni, curiosamente, ha votato per Zjednoczona Lewica, la coalizione di sinistra che nel 2015 riuniva il partito socialdemocratico (SLD), i Verdi e altri movimenti. È praticamente l’unico elettore non centrista incontrato in tutta la mattinata. Mentre la neve aumenta il suo turbinio, la manifestazione arriva al suo obiettivo, il parco di Pole Mokotowskie dove –in un’atmosfera un po’ da primo maggio- sono previsti alcuni interventi politici (in scaletta c’è un intervento dell’attuale leader di PO, Grzegorz Schetyna, ma non faccio in tempo a vederlo) e poi il concerto congiunto di alcune band vicine al KOD. La scelta del parco, fondamentale per comizi e concerti, non è congenialissima per il clima, continua a nevicare e siamo difatti costretti a camminare tra fanghiglia scivolosa e foglie secche, ma questo non sembra minimamente scoraggiare i presenti e anche la fila al banchetto degli hot-dog è ridanciana e allegra come a una grande scampagnata. È a quel punto che incrocio gli unici giovani presenti alla manifestazione, sono dei ragazzi dei Młodzi Demokraci (giovani democratici), la sezione giovanile di Platforma Obywatelska. Non li avevo scorti prima in quanto erano in testa al corteo a portare gigantografie di alcuni personaggi simbolo dell’indipendenza (tra cui Narutowicz), ma mentre vado loro incontro, la neve cade copiosa e hanno tutti ancora in mano quei pesanti cartelli. Intuisco che non avrebbero particolarmente voglia di parlare e io stesso mi dico che per quanto riguarda il KOD va bene così. Inoltre fa davvero troppo freddo per stare fermi, quindi mi dirigo rapido verso Plac Zamkowy dove è prevista la partenza del corteo organizzato, tra gli altri, dal partito di sinistra Razem.
Razem (Insieme) è una formazione politica molto giovane, fondata nell’estate del 2015 con lo scopo di dare un volto comune a tutte le espressioni della sinistra esterne a SLD in vista delle elezioni politiche. Il partito, che si dichiara apertamente laico e socialdemocratico, punta ad accompagnare e verosimilmente sostituire il ruolo politico della SLD, ritenuta ormai incapace di attrarre consensi a causa dell’età media elevata dei suoi massimi rappresentanti e per i legami –reali e simbolici- troppo forti con il passato socialista della Polonia. Razem, per contro, è un partito composto prevalentemente da giovani, soprattutto universitari, e punta a veicolare messaggi di sinistra senza usare un linguaggio e una simbologia indigesti, per motivi storici, a molti cittadini polacchi. È bene fare presente qui che tanto SLD quanto Razem alle ultime elezioni non hanno superato lo sbarramento minimo per entrare in Parlamento, anche se per poco, e sono quindi privi di rappresentanti al Sejm e in Senato.
Per raggiungere la piazza della Città Vecchia, simbolo dell’Insurrezione e della resistenza al nazismo, scelgo di prendere la metropolitana da Metro Mokotowskie per poi scendere alla fermata Nowy Świat-Uniwersytet e arrivare al Castello a piedi passando per Krakowskie Przedmieście. In metropolitana quasi tutte le persone che incontro portano un simbolo patriottico, dalla coccarda, quasi onnipresente, alla fascia militare al braccio, a molte bandiere. È un’umanità decisamente variegata, molto più di quella vista alla manifestazione del KOD. Questa è fatta di anziani, giovani, esponenti della borghesia varsaviana che sfoggiano cappotti eleganti e ragazzi in divisa militare e con la testa rasata, questi ultimi probabilmente diretti alla Marsz Niepodległości organizzata dai nazionalisti. Un mix di esperienze diverse dello stesso 11 novembre ma che (stranamente?) non sembra causare nessun tipo di screzio.
Quest’atmosfera di pacifica convivenza tra le varie anime del patriottismo polacco viene smentita non appena esco dalla metropolitana. Un cielo decisamente più grigio di quello, già poco radioso, abbandonato assieme al KOD a Pole Mokotowskie, fa da scenario a un robusto schieramento di poliziotti in divisa antisommossa. Alla manifestazione che ho appena abbandonato, la polizia era presente e numerosa, certo, ma non così tanto e non in tenuta antisommossa. Caschi bianchi, scudi alti un metro e mezzo e manganelli poco rassicuranti ricreano un’atmosfera che da girotondi e marce della pace fa improvvisamente pensare al G8 di Genova. Cammino per Krakowskie Przedmieście a passo spedito perché so già di essere in ritardo, e sento in lontananza rumore di petardi e bengala che sembrano venire in linea d’aria dalla zona dello Stadion Narodowy, punto d’approdo della marcia dei nazionalisti. Il corteo di Razem lo incrocio invece molto prima di quanto mi sarei aspettato, a diverse centinaia di metri dal naturale punto di inizio previsto in plac Zamkowy ma ancora fermo in attesa di partire. Lo striscione di apertura recita il titolo, estremamente significativo, sotto la cui egida il corteo si muoverà: “Za wolność naszą i waszą – przeciw nacjonalizmowi” (Per la nostra e vostra libertà –contro il nazionalismo) con una ripresa orgogliosa della parola d’ordine dell’insurrezione del 1831 e che era già stato slogan del Koncert Niepodległości del 2012 che, in uno spirito simile a quello della manifestazione di quest’anno, aveva intenzione di celebrare tutte le minoranze nazionali e confessionali che avevano contribuito all’ottenimento dell’indipendenza.
Parole d’ordine contro il nazionalismo, simboli dell’antifascismo internazionale (come quello delle tre frecce rivolte in basso a sinistra) e partecipanti perlopiù molto giovani sono la cifra stilistica di questa manifestazione. Già dall’evento pubblicizzato tramite facebook, attraverso una celebre citazione di Julian Tuwim particolarmente significativa, era chiarissimo quale sarebbe stato il tenore.
(Sono polacco perché sono nato in Polonia/ci sono cresciuto/ci ho studiato, perché in Polonia sono stato felice e infelice. Sono polacco perché a casa mia/si parla polacco/perché la lingua polacca l’ho appresa con il latte materno. Sono polacco perché il mio odio/per i fascisti polacchi/ è più grande per quello di qualunque altro fascista)
Rispetto a quella del KOD, questa manifestazione è molto meno partecipata ma anche molto più politicamente connotata. Le bandiere di Razem, il principale organizzatore, sono numerose ma sono presenti anche quella dei Zieloni (Verdi) e di altre piccole sigle partecipanti, assieme a moltissime bandiere arcobaleno in rappresentanza di chi lotta per i diritti LGBT e a un folto schieramento di ragazzi che sventolano le bandiere rosse e nere con il simbolo del movimento antifa di matrice nord-europea. Nonostante la presenza di numerosi volti coperti mi faccia temere la volontà di uno scontro, la marcia inizia e prosegue in modo molto pacifico. Colorata, rumorosa, molto giovane, con parole d’ordine scandite e tuonate chiaramente contro ogni tipo di oppressione e fascismo: questa manifestazione è vistosamente diversa da quella del KOD nonostante il “nemico” sia per entrambe il partito di governo con i suoi più o meno palesi simpatizzanti e alleati nel mondo delle ultra-destre. Mi dirigo per primo verso un uomo che porta la bandiera di Razem. Si chiama Marek, ha 35 anni e, anche se non capisco bene cosa intenda, dice di lavorare “di tanto in tanto”. Gli chiedo un po’ provocatoriamente cosa ne pensi delle accuse dei nazionalisti, secondo cui i veri patrioti sono quelli che partecipano alla loro marcia e mi risponde così “è ridicolo che pensino di appropriarsi dell’11 novembre: l’indipendenza è di tutto il popolo polacco e soprattutto di quelli che ancora combattono battaglie contro ogni tipo di oppressione. Per questo siamo qui, perché non debba esserci un’altra indipendenza da conquistare contro un potere oppressivo e fascista”. Marek è uno dei 3500 (fonti di aprile) iscritti a Razem e ha votato per loro alle scorse elezioni. “Lo rifarai?” “Certamente, questo è solo l’inizio”.
La marcia è animata da musica tribale, la gente balla, saltella e ride anche mentre scandisce slogan molto duri contro il governo, i nazionalisti e in generale tutte le forme di oppressione. Ricomincia a nevicare ma quasi nessuno sembra farci caso. Noto un gruppo nutrito di ragazze vestite di nero con i simboli del czarny protest dipinti su striscioni, bandiere e persino ombrelli, vorrei fare qualche domanda anche a loro ma la musica particolarmente alta non lo concede e poi purtroppo le perdo di vista. Mi avvicino tuttavia incuriosito a un signore di una certa età, quasi una mosca bianca all’interno di un gruppo prevalentemente composto da trentenni o giù di lì. Mi dice di essere esponente di un movimento extra-parlamentare che si chiama Pracownicza demokracja (Democrazia operaia), è quì per festeggiare l’11 novembre, certo, ma quello che gli preme di più è “dimostrare a tutti che la sinistra in Polonia è viva e attiva, che siamo in grado di produrre pensiero e coinvolgimento, che i temi che portiamo avanti sono molto attuali. Le condizioni di vita dei lavoratori vanno peggiorando, i governi degli ultimi anni hanno portato ricchezza solo a chi già ce l’aveva, mentre i lavoratori lavorano di più e guadagnano di meno. Anche in Italia è così?” A quell’ultima domanda non rispondo a parole, ma la mia espressione deve risultargli abbastanza eloquente. Gli chiedo se si ritiene un nostalgico e mi risponde di no, che forse qualcosa durante la PRL funzionava meglio, specie in termini di disoccupazione, ma non era un sistema che poteva funzionare. “Bisogna ripartire dai veri principi di Solidarność” mi dice “l’ispirazione era cattolica, certo, ma pur sempre di un sindacato si trattava”. Alle elezioni ha votato per Razem perché è il partito più vicino alle sue posizioni e il movimento di cui fa parte non aveva espressso candidature.
Scopro, non senza un certo stupore, che movimenti del genere sono numerosi, hanno tutti nomi molto simili e sono presenti alla manifestazione a testimonianza di una vitalità della sinistra che non mi sarei aspettato, anche se si tratta certamente di movimenti di piccolissime dimensioni. Mi colpisce più che altro l’assenza totale di bandiere o simboli della SLD, ma evidentemente la rivalità con Razem è più forte degli obiettivi comuni.
Il corteo a un certo punto si ferma in un punto alle spalle di Krakowskie Przedmieście da cui ci siamo spostati da poco, la ragazza che parla al megafono dice che lì è avvenuto l’attentato a Narutowicz –ancora una volta lui- simbolo dell’aggressività dei fascisti e della pericolosità che rappresentano rispetto all’indipendenza che sostengono di celebrare. La folla acclama, recita slogan contro i nazionalisti, partono applausi spontanei e danze improvvisate sulla musica emessa dalle camionette. Mentre il corteo resta fermo, colpisce la mia attenzione un ragazzo isolato e dall’aria corrucciata: decido di avvicinarlo. Si chiama Daniel, ha 24 anni e la bandiera che sfoggia è quella della “Postępowa młodzież Polski” (gioventù progressista polacca) che scopro essere un’associazione dichiaratamente marxista e anticapitalista. Il sito fa sfoggio di simbologia di matrice socio-comunista come falci e martelli ma sulla bandiera che porta Daniel non ce n’è traccia. “Non ce ne vergogniamo, sia chiaro, ma è comunque molto difficile proporci in giro con questi simboli, tanta gente non capisce, ha paura e anche alcuni dei nostri hanno paura di ripercussioni. Anche per questo l’organizzazione nel 2008 ha cambiato nome da Komunistyczna Młodzież Polski in questo più generico postępowa. Ma, se chiedi a me, personalmente mi definisco un nostalgico della PRL anche se non ci ho vissuto. Conosco bene la storia e grazie ai racconti dei nostri padri e alla loro esperienza riusciamo a essere credibili con i nostri sostenitori”. Questa affermazione mi lascia un po’ incredulo, glielo chiedo esplicitamente “Avete testimonianze positive di vita sotto il socialismo dalle quali fate partire la vostra opera di propaganda” “Sì, certo” mi risponde impassibile. Quando gli chiedo per chi ha votato alle ultime elezioni mi guarda quasi schifato. “Non ho votato” mi dice “Non c’era nessuno che mi rappresentasse”.
Riprende a nevicare, anche se in modo accettabile, e mentre il corteo è ancora fermo, probabilmente per ordine della polizia, mi avvicino a un uomo visibilmente fuori contesto. Ha circa quarant’anni e tiene per mano un bambino che scandisce chiaramente “wolność, równość, antyfaszysm” (libertà, uguaglianza, antifascismo). Il papà, Michał, 40 anni, impiegato in una società di analisi economiche è molto timido, dice di essere a una manifestazione per la prima volta in vita sua; il piccolo Piotrek, 10 anni, mi risponde impassibile “Siamo qui perché siamo orgogliosamente antifascisti” ed evidentemente non turbato dalla mia espressione basita continua “Ho dieci anni, ma sono un grande appassionato di storia e politica contemporanea. Trovo assurdo il nazionalismo, è un’idea semplicemente senza senso, sono d’accordo con quello striscione che dice “Polska biały tylko zimą” (La Polonia bianca soltanto in inverno), nella diversità c’è tanta ricchezza e molto da imparare. L’ho detto una volta anche a dei nostri vicini, loro sono nazionalisti radicali, purtroppo non credo di averli convinti”. Francamente sconvolto da un bambino di quell’età mentalmente aperto e lucido più di 75.000 teste rasate a pochi chilometri da lì, mi rivolgo al padre che al mio “è un ragazzino saggio, eh?” annuisce compiaciuto. Michał mi dice, non senza sorridere, che naturalmente la pensa come il figlio e che era un po’ dubbioso sul venire perché non ha mai frequentato ambienti di sinistra. Per chi ha votato? “Platforma Obywatelska, ma non credo che lo farò più”.
La marcia finalmente riprende a muoversi, si sposta lenta di nuovo verso Krakowskie Przedmieście, la ragazza del megafono dice che l’obiettivo è fare un sit-in davanti ai cancelli dell’università in segno di protesta contro il fatto che la ONR (Obóz Narodowo-Radykalny, Fronte nazional-radicale) ha fatto propaganda lì qualche giorno prima violando la legge che vieta diffusione di materiale di tipo politico nelle vicinanze di scuole e università. Mentre ci muoviamo, un ragazzo mi si avvicina per chiedermi se gli posso mandare alcune delle foto che ho scattato perché il suo cellulare è scarico da ore. Gli faccio presente che come fotografo non valgo granché ma ovviamente accetto e poi parliamo un po’. Sui motivi della manifestazione non mi dice niente di nuovo, ma è l’unico iscritto alla SLD incontrato finora. Non è contento del suo partito, ritiene che vada fatto molto e che la candidatura di Magdalena Ogórek alle presidenziali sia stata un errore “era la candidata sbagliata nel momento sbagliato, io stesso non l’ho votata” e sul fatto che da candidata presidente per la sinistra sia finita a fare il volto televisivo di un programma di destra fa un sorriso amaro ma non commenta. Su Razem mi dice: “sono bravi, molto volenterosi e giovanili, ma non è un vero partito, non hanno struttura, non hanno cultura politica, per questo preferisco la SLD, è un partito vero, con sezioni, programmi, cultura politica e dirigenti colti, questi sono universitari di buona volontà ma con poca esperienza”. Alla fine mi offre uno strano dolce preso da un sacchetto del freezer, ha un aspetto pessimo ma lo accetto lo stesso, salvo poi buttarlo appena voltato l’angolo. Durante il sit-in davanti all’università, il corteo è nuovamente fermo, stavolta ad ascoltare le testimonianze di alcuni migranti –verso i quali parte un coro di solidarietà molto sentito- che parlano della loro esperienza in Polonia; ascolto distrattamente ma la parola chiave è “non vogliamo avere paura di andare per strada”. Mi fermo a parlare con due ragazzi sui 18 anni, Marcin e Ewa, l’abbigliamento un po’ da controcultura mi fa sentire improvvisamente a una manifestazione no global: “siamo punk” mi dicono “come atteggiamento verso la vita e non solo come scelte musicali. Siamo qui perché il pericolo del fascismo e dell’intolleranza è vivo. È una stupidaggine quella che dicono i nazionalisti, che l’11 novembre è una cosa di destra, l’11 novembre appartiene a tutti i polacchi liberi e che combattono per la libertà, noi dobbiamo continuare a difenderla proprio da loro, ce n’è drammaticamente bisogno”.
A quel punto sono già le 18. Nei programmi iniziali avevo sperato di andare a fare un salto anche dai nazionalisti, per quanto i loro simboli e parole d’ordine non abbiano bisogno di essere raccontati. È la neve che continua a cadermi sulla testa già fradicia a farmi desistere, unita alla stanchezza di una giornata ormai lunga. Credo di aver fatto il mio compito, in fondo, ho seguito una Polonia diversa, fatta di gente normale, che sente di poter sventolare la propria bandiera con fierezza ma senza per questo usarla come arma verso la diversità o strumento di identificazione totale e asettica. Che la Polonia non fosse solo dei nazionalisti, lo sapevo già. Che un sincero patriottismo potesse esprimersi attraverso parole di civiltà e antifascismo, l’ho scoperto con piacere: è una boccata d’aria fresca di cui questo Paese ha bisogno, dentro e fuori dai suoi confini.