Destino Cieco. Passaggio chiave nella parabola artistica di Krzysztof Kieślowski.
Per capire un autore come Krzysztof Kieślowski, le radici concettuali e la poetica del suo cinema di finzione, sarebbe necessario vedere la lunga serie di documentari realizzati tra il 1966 e il 1980, anno in cui girò La stazione, il suo ultimo documentario. A questa parte della sua cinematografia dedicherò un articolo tra qualche tempo e per ora mi limiterò a raccontare il suo concetto di cinema documentario e l’evento che lo portò definitivamente a passare dalla realtà alla finzione. Il regista sin dalle prime sperimentazioni si fa portatore di un’ idea di documentarismo freddo e attivo allo stesso tempo in cui la realtà è la vera protagonista della narrazione, una realtà esteriore ma registrata oggettivamente e indipendentemente dalle nostre esperienze e desideri. I documentari di Kieślowski sono tutt’altro che reportage giornalistici o esperimenti in cerca della perfezione formale, sono invece atti di pura registrazione della vita. Per Kieślowski il documentarista può essere un “reporter-testimone” che attinge materiale per le sue “postume” sceneggiature esclusivamente dalla realtà, lasciando il giudizio e le conclusioni allo spettatore, oppure un “regista” che invece si fa drammaturgo e realizza il suo film registrando elementi (reali), utilizzando simboli e argomenti che illustrino bene la sua tesi. Entrambi gli approcci sembrano essere validi, ma il nostro “artigiano” del cinema (Kieślowski si sentiva un artigiano più che un artista) sembra preferire quello del reporter-testimone, che cerca e indaga nella realtà utilizzando la macchina da presa come strumento di indagine. La conoscenza delle cose si ha e si amplia solo nel momento stesso della ricerca e solo al termine delle riprese è possibile costruire una sceneggiatura (per questo in precedenza ho utilizzato il termine “postume” per indicare le sceneggiature). Il legame dell’autore con la realtà va ben oltre la registrazione della semplice esistenza, ciò che spinge il regista a filmare è l’inquietudine, l’irrequietezza, il desiderio di tante altre possibili risposte. La sua forte attitudine all’opposizione (contro il regime socialista, nello specifico) e all’indipendenza lo portano a scartare qualsiasi teoria definitiva sulle società e sull’esistenza, a essere contro qualsiasi visione unidimensionale e uniforme della realtà, rivendicando un mondo aperto all’evento e a una moltitudine di interpretazioni. Il desiderio di filmare un evento, o raccontare una storia di finzione che incrina anche solo per un attimo il fluire della vita o di una particolare circostanza, è la base della ricerca documentaria e poi filmica di Kieślowski. Nel 1973, Kieślowski inizia il suo lento e graduale passaggio ai lungometraggi di finzione, da quest’ anno in poi gira film a metà strada tra il documentario e la finzione, ma senza mai archiviare davvero il documentario. Il cineamatore (1979), che incarna in sé il problema dell’etica e dei limiti dell’uomo con la cinepresa, segna una delle tappe più importanti del percorso che lo porterà a produrre film di pura finzione.
Nel 1980 Kieślowski gira gli ultimi due documentari della sua carriera: Le teste parlanti e La stazione. Girato in dieci notti e con le cineprese più o meno nascoste, La stazione è una breve panoramica notturna sulla stazione di Varsavia. Nel lavoro in questione il regista punta lo sguardo sulla moltitudine di persone che affollano la stazione, che aspettano di partire, di acquistare il biglietto o l’arrivo di qualcuno. L’intento di Kieślowski sembra molto chiaro: piazzare le cineprese in attesa che succeda qualcosa, l’inaspettato, un evento dettato da un caso “generato” dalla summa incontrollabile di uno sciame di eventi, dal caos personale della vita di ciascuono dei passanti. Questa è l’inquietudine di cui si è parlato, una ricerca. Il protagonista astratto del film sembra essere l’attesa stessa, nonostante la presenza di telecamere di sicurezza lasci pensare ad un “grande fratello” che dall’alto controlla la stazione.
Per Kieślowski l’inquietudine è il manifestarsi di un evento casuale, inaspettato, quell’evento di cui era costantemente alla ricerca e che solo la realtà aveva il potere di (ri)velare.
Non è un “caso” se la stazione è tra gli ultimi documentari di Kieślowski. Un piccolo incidente di percorso convince il regista ad abbandonare definitivamente il documentario. Una notte, alla troupe capita di filmare le buffe reazioni di alcune persone alle prese con gli armadietti portabagagli, che a quel tempo rappresentavano una novità alla stazione di Varsavia. Quella stessa notte il regista, di ritorno alla WFD, trova la polizia ad attenderlo. La polizia sequestra tutto il materiale girato e tutti i negativi di quella notte, senza fornire alcuna spiegazione. Pochi giorni dopo tutto il materiale viene restituito, ma solo più tardi Kieślowski viene a conoscenza di una storia macabra e inquietante. Quella notte una ragazza aveva fatto a pezzi la madre e aveva messo il corpo in una valigia lasciandola proprio dentro quegli armadietti. Ma nel girato de La stazione non c’è traccia della ragazza, che alcuni giorni dopo viene ugualmente arrestata. Questo episodio è considerato dal cineasta come un segno, un ultimo avvertimento, dato che non era la prima volta che la polizia confiscava il girato di un suo documentario. Si era trovato a fare l’informatore della polizia e di certo non era tra le sue massime aspirazioni.
“Certe volte mi sento come qualcuno che si trova in un regno senza confini. Questo è il motivo principale per cui sono fuggito dai documentari”.
Dopo questo episodio Kieślowski decide di abbandonare definitivamente il documentario e nel 1981 gira uno dei suoi primi lungometraggi, che probabilmente resta uno dei più rappresentativi della sua ricerca, e che in Italia e in altri paesi esce con il titolo Destino Cieco (Przypadek, trad. lett. Il caso) compromettendo forse le intenzioni del regista. La parola destino implica una direzione precisa, un percorso già stabilito da qualcosa o da qualcuno. Il caso invece rimanda a una radicale mancanza di regia, o meglio rimanda alla regia più crudele e insieme più innocente. Il caso è il regista della vita e delle possibili storie del protagonista, è il creatore non morale (per natura) per il quale tutto è possibile.
Il film racconta infatti le tre possibili storie di Witek che, dopo la morte del padre, decide di lasciare gli studi di medicina per andare a Varsavia, alla ricerca di ciò che realmente vuole dalla vita. Nella memorabile sequenza della corsa alla stazione, Witek urta una signora facendole cadere di mano una moneta che finisce ai piedi di un uomo. Questo alto signore, probabilmente un ubriacone, non perde tempo a ordinare una birra, ma un attimo dopo viene spintonato da Witek, in corsa verso il treno già partito. Proprio questo particolare episodio e dalla sua apparente fortuita casualità, si diramano le tre possibili direzioni (casi) della vita del protagonista. Nel primo caso il giovane studente riesce a salire sul treno su cui conoscerà un attivista di partito che lo avvierà ad una triste carriera politica. Nel secondo caso Witek perde il treno, si scontra con un ferroviere con cui ha una breve colluttazione, viene arrestato e poi costretto ad un mese di lavori di pubblica utilità. Durante i lavori inizia a frequentare e a collaborare con gli ambienti dell’opposizione politica cattolica, intraprendendo una strada completamente opposta a quella del caso precedente. Nel terzo caso non riesce ugualmente a prendere il treno, ma stavolta evitando il litigio con il ferroviere. Ad aspettarlo ai binari c’è una collega di università, Czuszka. Witek, grazie a lei ritorna sui suoi passi, riprende la carriera universitaria, si sposa e diventa un buon medico impegnato nel sociale, ma non schierato politicamente. Purtroppo in questo caso il protagonista rimane vittima di un incidente aereo durante un viaggio di lavoro.
Il film dal punto di vista della carriera del regista, rappresenta una cesura con il passato, infatti da Destino cieco in poi, Kieślowski punterà il suo sguardo cinematografico sulla realtà interna delle cose e dei personaggi (Witek), abbandonando la realtà esteriore della produzione documentaria. Quella che il regista porta in primo piano non però una interiorità intesa come psicologia, ma intesa come alterità, un’interiorità variabile e atta ad una molteplice possibilità di esistenza. Kieślowski lo fa raccontando una storia al condizionale, dominata cioè dalle feroci leggi del caso.
Nonostante la vita di Witek, indipendentemente dalla strada intrapresa, sembri dominata esclusivamente dal caso, è importante chiarire quanto questo film non sia così assolutamente deterministico. Le dinamiche della corsa del protagonista verso il treno, apparentemente irrilevanti ma che invece decidono il suo destino, sono provocate soprattutto da egli stesso, malgrado possano sembrare una serie di eventi unicamente casuali. Infatti a determinare gli eventi sono anche la sua fretta, le sue distrazioni e la sua generale confusione mentale, dovuta alla morte del padre e a quel “tu non devi…” che il padre ha proferito poco prima di morire. Quindi il caso, che sembra essere il motore unico delle “vite” di Witek, si scopre dipendente da Witek stesso e dalle sue non-scelte. Il protagonista, sin da bambino, troppo preoccupato delle aspettative degli altri e del padre in particolare, non riesce a vivere la vita in funzione di sé, e anche in età ormai matura, anziché pensare da solo alle sue scelte, le adegua alle ultime parole del padre, vivendo nell’indecisione e in balia delle decisioni altrui. “Il destino è dunque cieco, casuale, per tutti quelli che non riescono a vedere se stessi: a vedersi nella propria vita, a causarla dandole una destinazione che sia frutto della propria, libera scelta”.
“Molte cose nella vita dipendono da chi ti dà uno scapaccione e tavola quando sei ancora un bambino. Dipendono cioè da chi erano tuo padre, tua nonna, tuo bisnonno, e dal tuo passato in genere. E’ molto importante. La stessa persona che ti ha rimproverato a quattro anni perché eri cattivo a colazione, più tardi ti mette il primo libro sul comodino o te lo regala per Natale: quegli stessi libri che ti formano, o almeno questo è ciò che è accaduto a me; mi hanno insegnato e mi hanno reso sensibile a qualcosa. (…) C’è qualcos’altro che per me ha più importanza. Ci sono molti avvenimenti che credo facciano parte della mia vita ma non so bene se siano accaduti realmente o no. Li penso e li ricordo in modo vivido ma forse solo perché qualcun altro me ne ha parlato. In altre parole, mi approprio di fatti che appartengono alla vita di altre persone. Spesso non ricordo neppure a chi li rubo e inizio a credere che siano accaduti proprio a me. Ricordo diversi episodi della mia infanzia, e pur sapendo che non mi sarebbero potuti accadere, allo stesso tempo sono sicuro del contrario”.
Per chi volesse vedere i film citati, per il pubblico italiano è uscito tempo fa questo cofanetto Krzysztof Kieslowski – Ritratti (3 Dvd) che li include tutti, per chi invece ha una buona conoscenza del polacco c’è la possibilità di vederli in lingua originale e in versione rimasterizzata Destino Cieco / Il cineamatore / Senza fine.