Kazimierz: cuore della vita giovanile cracoviana, il vecchio quartiere ebraico tra colori e profumi.
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di Mara Giacalone
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“Molte sono le città come Filiade che si sottraggono agli sguardi tranne che se le cogli di sorpresa[1]”
Ad essere precisi Kazimierz non è una città bensì uno dei quartieri di Cracovia, eppure gode di una sua certa autonomia – è contemporaneamente parte della suddetta e luogo a sé stante, come d’altronde ci dice la storia. Kazimierz venne fondata infatti come città separata dal re Casimiro III (da cui prende appunto nome). Poiché ci riferiamo a secoli e secoli fa, la geografia del luogo era così diversa che lo era anche il corso della Vistola, il quale separava le due città. All’espulsione degli ebrei da Cracovia, questi andarono a trasferirsi proprio lì, a Kazimierz, ponendo le basi per quello che conosciamo oggi come il vecchio quartiere ebraico.
Se fossi una persona diversa, e se Polonicult fosse diverso, probabilmente ora mi troverei a snocciolarvi i luoghi d’interesse che da bravi turisti potete andare a visitare, ma nelle righe che seguiranno non troverete ciò. Kazimierz, nonostante riscuota tantissimo successo in chi visita Cracovia, è tutto fuorché una banale attrazione.
Ricordo ancora quando arrivai in Polonia per la prima volta e una delle mie amiche mi mise in guardia circa la pericolosità alla sera del quartiere ebraico. Ci passai dunque di pomeriggio: carino, belli i disegni sui muri, buona la zapiekanka. Koniec. Ci tornai per un corso di antropologia in una gelida mattina di fine novembre: iniziai a conoscere la sua storia, a vedere le sinagoghe, ad ascoltare leggende, a saper decifrare i significati dei simboli nel cimitero. Ci andai di nuovo per una classe di un corso sulla religione e la cultura ebraica: visitai tutte le sinagoghe, mi lasciai trasportare in un passato florido, lontano in cui c’erano diversità e contrasti ma ancora non così tanto odio, vidi per la prima volta l’interno della Sinagoga Riformata, quella che c’è proprio all’inizio di Miodowa, davanti a Galeria Luelue, per intenderci. Pian piano, le mie fughe a Kazimierz si intensificarono fino a quando non mi ci trasferii. E da quel momento, credo di non aver mai voluto stare in un altro posto che non fosse Kazimierz e ora che sono di nuovo in Italia, non mi manca Cracovia, mi manca Kazimierz.
Cose magiche accadono in quel quartiere, Kazimierz. Ripenso a quelle passeggiate super mattutine o in piena notte, con il gelo nelle ossa e io che mi perdevo in quella planimetria così conosciuta e allo stesso modo sempre nuova: “nel cuore della città si aprono, per così dire strade doppie, strade sosia, strade ingannevoli e fallaci. Stragata, aberrante, l’immaginazione crea una pianta illusoria della città, apparentemente ben nota e risaputa, in cui quelle strade hanno un loro posto e un nome, mentre la notte nella sua inesauribile fecondità non trova di meglio che fornire sempre nuove e immaginarie configurazioni[2]”. A Kazimierz piace cambiare (semi cit!). Ma ci si accorge dei suoi mutamenti solo se si è nella predisposizione d’animo giusta, se si è sensibili e attenti, se si ha un cuore girovago: allora lo sentirete, sentirete qualcuno che vi tira per la manica e vi chiede incessabilmente di seguirlo. Dovete immaginarvi Kazimierz come un folletto o un piccolo dybbuk – però non malvagio! – che voglia a tutti costi farvi vedere di cosa quell’angolo di mondo è capace, quali sono i suoi segreti, le sue strade che si aprono in stradine che si aprono su giardini interni, le sue strade che non finirete mai di conoscere nemmeno dopo anni. Se sentirete quel mostriciattolo chiamarvi, non ditegli di no, è Kazimierz che si apre a voi, al mito, alle infinite possibilità, all’inconscio e ai sogni. A me successe una notte freddissima di luna piena e neve (“uscii nella notte invernale colorata dall’illuminazione del cielo. Era una di quelle notti chiare in cui il firmamento stellato è così vasto e ramificato da sembrare frantumato[3]”), mentre tornavo a casa per la via più lunga: trasportata dalla luce dei lampioni e dai vorticosi fiocchi ero completamente immersa nei miei pensieri che non facevo caso a dove andavo. D’improvviso mi fermai e alzai gli occhi: sopra di me un’insegna diceva ulica krokodyli. Fu un’epifania. Rimasi per un bel po’ a fissare quella scritta. Non sapevo potesse esistere davvero. All’epoca stavo muovendo i primi passi in ambito schulziano e pensavo che la strada dei coccodrilli fosse solo un luogo immaginario o una metafora letteraria. Invece Kazimierz è esattamente questo. È un luogo che non esiste secondo i comuni schemi e le comuni denominazioni, è un qualcosa di vivo che si nutre di sogni e passioni. La Kazimierz di cui parlo io è un non-luogo che non si trova sulle mappe. Che i turisti non riusciranno mai a raggiungere. Kazimierz è uno stato dell’essere prima di essere luogo: è republika marzeń.
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Il vecchio quartiere ebraico ha un fascino difficile da spiegare. Eppure per molti anni è stato un luogo abbandonato. Non è poi da molto che è diventato il luogo hipster pieno di vita che conosciamo e tanto elogiato dalle guide turistiche. È anche un posto pieno di sofferenza, ancora oggi. Collegato a Stare Miasto da due lunghi viali – Stradom e Starowiślna – il quartiere si caratterizza per la numerosissima presenza di bar, pub, foodtrucks, negozi e negozietti oltre alle sue sinagoghe e due cimiteri. Non posso dire “andate a vedere questo o quello”, non ne sono capace. Ma se vi fermate a Cracovia più di tre giorni, a Kazimierz tornateci più volte e in diversi momenti della giornata. Buttate la mappa e perdetevi tra le viette. Non è un quartiere così grande e la cosa peggiore che possa capitarvi è finire a Podgórze ma ve ne accorgereste perché dovreste attraversare un ponte. Quello che mi sento davvero di dirvi è che se non siete mai stati in una sinagoga, allora i 5zl dell’ingresso vale la pena pagarli, così, giusto per fare un tuffo in un’altra cultura, che male non fa. E se proprio proprio dovessi consigliarvi un posto dove andare per una pausa, magari per un bel tè caldo, segnate: Eszeweria – ne uscirete frastornati a causa dell’incenso ma vi sfido a trovare un posto più bello di questo se vi piacciono il legno, gli ambienti bislacchi poco illuminati e molto schulziani – e l’Ogródek na Dachu Kazimierza che in caso di giornata soleggiata vi offre una terrazza che si affaccia su Plac Nowy.
Kazimierz oggi è un posto in cui le culture si incontrano e si mescolano grazie ai vari foodtrucks dove potete trovare cibo georgiano, fish and chips, crepes… chi più ne ha, più ne metta. Per non parlare di mostre, concerti, vita notturna, murales. È un’esplosione di vita, di voci, di colori. Non è snob come Stare miasto. Kazimierz è un luogo che parla e racconta tantissime leggende, se si sa ascoltare. Vi racconterà di Ester, di come la sinagoga Izaak è stata edificata grazie ad un tesoro, oppure vi narrerà di una tomba molto particolare del cimitero vecchio. Se farete attenzione e le darete tempo, vi saprà regalare tanto e probabilmente poi non riuscirete a farne più a meno.
Kazimierz per me è diventata metafora della vita. È quel luogo a cui tornerò sempre, come una sorgente. Sento il suo eco che mi richiama. Vedo passeggiare i chassidim e li sento chiacchierare in quell’idioma che vorrei saper parlare. Il profumo di incenso che si propaga per tutta Ul. Józefa mi abbraccia fino a qui assieme al cicaleccio del sabato sera di Plac Nowy.
Kazimierz è il riscatto di un luogo dimenticato e spesso denigrato.
E non importa il numero esorbitante di turisti che lo assedia incessantemente senza capirne l’essenza, se vi avrà tirato per la manica, riuscirete anche a trovare tutte le scorciatoie e i modi per gironzoleggiare indisturbati.
PS: non perdetevi Kazimierz alle 6 del mattino. È pura poesia.
[1] I. Calvino, Le città invisibili
[2] B. Schulz, Le botteghe color cannella
[3] B. Schulz, Le botteghe color cannella