I dieci calciatori polacchi più forti di sempre

Scegliere i dieci calciatori polacchi più forti di sempre è un lavoro che lega cronaca, storia e sport. Vediamo i risultati.

di Alberto Bertolotto

[Uscito originariamente il 2 agosto 2019, aggiornato il 12 gennaio 2021]

Da quando ho iniziato a interessarmi di calcio polacco, la domanda che più spesso mi viene posta è soprattutto una: “Qual è il giocatore polacco più forte di sempre?”. E’ un quesito stimolante, che dà vita a un dibattito potenzialmente infinito perché la risposta non è per nulla semplice: si mettono a confronto epoche diverse, in cui lo sport inevitabilmente cambia e  si inseriscono delle variabili che gli appassionati pesano in maniera diversa. Tuttavia è al contempo giusto provare a dare vita a una graduatoria che, al di là delle conoscenze più o meno approfondite e quindi più o meno accreditate, rimane sempre ed esclusivamente personale. E soggetta a mutazioni. La prima graduatoria stilata risaliva all’estate del 2019 e vedeva davanti a tutti Włodzimierz Lubański. Il grande attaccante slesiano è rimasto sul podio, ma ha dovuto cedere il primato a Robert Lewandowski. Con il suo 2020 perfetto, il centravanti ha stravolto le gerarchie.

1° POSTO: ROBERT LEWANDOWSKI. Anche un grande difensore come Jerzy Gorgoń, colonna della nazionale campione olimpica del 1972 e bronzo mondiale del 1974, ha dovuto rivedere l’opinione su di lui, etichettandolo come centravanti di enorme spessore. Tra i giocatori del passato c’è sempre l’idea che quelli attuali, ai loro tempi, avrebbe faticato. Non sarebbe così per RL9, soprattutto quello visto nel 2020, anno in cui ha vinto tutto e che solo l’annullamento del trofeo a causa della pandemia non gli ha permesso di vincere il Pallone d’Oro. Sarebbe finito nelle sue mani, esattamente come il Fifa World Player dell’anno, primo calciatore polacco della storia ad aggiudicarselo. L’attaccante di Varsavia, classe 1988, si è tenuto alle spalle nientemeno che Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, fuoriclasse planetari. Giusto premio a una stagione strepitosa: ha portato a casa cinque trofei, vincendo per la prima volta in carriera la Champions League, di cui è stato anche capocannoniere (15 gol); la Supercoppa Europea, quindi la Bundesliga (re dei bomber per la terza volta di fila con 34 centri), la Coppa e la Supercoppa di Germania. Nel 2019-2020 ha messo a segno nientemeno che 55 reti in 47 partite. Risulta pure il miglior marcatore straniero della Bundesliga. Una macchina perfetta che, dopo anni di altissimo livello, ha vissuto la sua consacrazione sotto tutti i punti di vista. Pensare che, quando si era avvicinato al calcio nelle fila del Varsovia nella seconda metà degli anni ’90, era il più piccolo della squadra e veniva a proposito soprannominato “Bobek” (fagiolino). Si trattava tuttavia del ragazzo più tecnico e già allora segnava senza soluzione di continuità. E’ cresciuto di livello piano piano, partendo dalla Trzecia Liga (la serie D italiana) con la seconda squadra del Legia Warszawa (2005-2006), salendo dalla Trzecia alla Druga Liga con lo Znicz Pruszków (2006-2008) quindi in Ekstraklasa col Lech Poznań (2008-2010). Da lì ha spiccato il volo verso il calcio tedesco, al Borussia Dortmund, dove Jurgen Klopp e le sue idee offensive gli hanno cambiato la carriera. Da citare, negli anni in giallonero, la quaterna nella semifinale di Champions League al Real Madrid al Westfalen Stadion (nel 2013). Dal 2014 è al Bayern Monaco. Gli manca l’acuto con la nazionale, di cui però è primatista a livello di presenze e di gol (oltre a esserne il capitano). Magari altri calciatori contemporanei scaldano maggiormente il cuore (Błaszczykowski, per fare un esempio, sempre molto amato), ma è indiscutibile il suo valore, la sua classe, il suo essere determinante non solo in area di rigore ma anche nello sviluppo del gioco della squadra.

2° POSTO: WŁODZIMIERZ LUBAŃSKI. È stato il primo, grande, campione polacco dell’epoca moderna, capace con le sue gesta di far conoscere sotto il profilo calcistico il suo Paese all’estero. Stabilì ogni tipo di record, tanto da sfiorare il passaggio al Real Madrid: gli venne negato solo dal regime comunista. Giocò principalmente negli anni ’60 ed è difficile, a distanza di più di mezzo secolo, avere una reale percezione su chi è stato e quanto fosse forte questo attaccante, la cui carriera è stata spezzata quando aveva solo 27 anni. Nel momento di maggiore splendore, nel 1973, in seguito a un intervento di Roy McFarland in Polonia-Inghilterra, Lubański si ruppe il legamento crociato del ginocchio destro. Aveva pure segnato, in quel match. Curioso far notare che, in quella sfida, esplose la nazionale biancorossa – arrivata poi terza al mondiale – e si bloccò la sua crescita, secondo tanti inarrestabile. Già, perché prima di quel match l’attaccante, in forza al Górnik Zabrze, era considerato tra i cinque migliori giocatori europei in circolazione. Basta citare qualche aneddoto. Matt Busby, grande allenatore del Manchester United, disse che Włodek «sa fare tutto: vorrei vederlo assieme a Best e Charlton». Lubański fu invitato alla partita di addio di Lev Jasin, forse il più grande portiere di sempre: fu il numero uno sovietico a sceglierlo direttamente. Helenio Herrera, avendolo ammirato nei match di semifinale di Coppa delle Coppe del 1971 con i minatori, si innamorò di lui e lo convocò, nel 1972, per un’amichevole tra una selezione europea e una sudamericana. E proprio al termine di quella partita, che disputò in squadra con, tra gli altri, Schnellinger, Dzajic o Crujiff, Lubański venne corteggiato da Amancio e Velazquez, allora calciatori del Real Madrid, per passare al più grande club del mondo. Si attivarono i dirigenti dei blancos, per averlo, e arrivarono a offrire un milione di dollari al governo polacco pur di vederlo esibirsi in Spagna: una cifra spaventosa per l’epoca. Ma il regime si rifiutò, perché i trasferimenti all’estero erano ammessi solo dopo il compimento dei 30 anni. Basterebbe questo per giustificare il primo posto di Lubański, nato a Gliwice nel 1947 e oggetto del desiderio di tutta l’Alta Slesia calcistica quando era solo un adolescente. Fu capace di dare continuità alla tradizione vincente del Górnik Zabrze, la trascinò a alla vittoria di sette titoli nazionali, sei coppe di Polonia, arrivando poi a sfiorare – perdendo in finale – il successo nella Coppa delle Coppe. A livello individuale, di quest’ultima competizione fu capocannoniere nel 1970 e nel 1971: fu re dei bomber anche nel campionato polacco addirittura per quattro volte di fila (dal 1966 al 1969). Vinse la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici del 1972 con la selezione allenata da Kazimierz Górski e sarebbe stato la stella dei biało-czerwoni dei campionati mondiali del 1974 se non fosse incappato nel brutto infortunio accusato a Chorzów nel 1973. Pensate: il primo intervento chirurgico, avvenuto in Polonia, portò con sé delle complicazioni, tanto che Lubański non riuscì a tornare a giocare. Per curarlo al meglio si mosse addirittura Edward Gierek, segretario del Partito Comunista dell’epoca, slesiano pure lui, che lo fece operare Vienna, a Ovest: una decisione impensabile per quei tempi. «Era fortissimo: chissà dove sarebbe potuto arrivare senza quell’infortunio» mi disse a Chorzów il suo compagno di nazionale Marian Ostafiński, sancendo implicitamente la superiorità di Włodzimierz Lubański su tutti gli altri calciatori polacchi di sempre.

Lubanski dieci calciatori polacchi polonicult

3° POSTO: KAZIMIERZ DEYNA. È molto difficile motivare il terzo posto di un calciatore che, segnando nove reti, fu capace di trascinare la Polonia alla vittoria ai Giochi Olimpici del 1972 e che, con una regia illuminata, condusse la stessa nazionale al terzo posto ai campionati mondiali del 1974, venendo in seguito nominato come terzo miglior giocatore del torneo dopo Franz Beckenbauer e Johan Crujiff.  Tuttavia, soprattutto ascoltate le testimonianze di alcuni calciatori dell’epoca, appassionati e giornalisti polacchi, il fuoriclasse di Starograd Gdański aveva qualità leggermente inferiori rispetto a Lubański ed ebbe un minor impatto nel club in cui ha speso gran parte della sua carriera, il Legia Warszawa. Ovviamente, per molti, Deyna è il campione del cuore: è stato il regista della Polonia più forte di sempre e ha commosso una nazione a causa della sua tragica fine. Aveva soltanto 42 anni quando fu vittima di un incidente stradale, avvenuto a San Diego, negli Stati Uniti, paese in cui si era trasferito per chiudere la sua carriera di calciatore. “Kaziu”, dalla sua, per gli appassionati di calcio occidentali è molto più conosciuto e ritenuto il più forte in virtù dello straordinario mondiale disputato in Germania Ovest e prima ancora per le prestazioni ai Giochi del 1972. A ogni modo, qualsiasi sia la scelta,  vale la pena approfondire chi è stato Deyna, ovverosia il capitano della nazionale e del Legia Warszawa, squadra con cui disputò 304 presenze e 94 gol, vincendo due campionati e due Puchar Polski tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70: in quel periodo, e in seguito alle prestazioni con i biało-czerwoni, Milan, Inter, Monaco, Real Madrid e Bayern Monaco si interessarono a lui. Ogni trattativa non andò mai a buon fine, in quanto – come per Lubański – prima dei 30 anni non era permesso lasciare il Paese per andare a giocare in una nazione che facesse della Nato (e inoltre in Italia non si potevano ingaggiare calciatori stranieri). Si trasferì a 31 anni al Manchester City, senza però incidere molto: per tanti fece una scelta sbagliata, quello inglese non era il suo calcio. Secondo gli esperti dell’epoca avrebbe fatto la differenza in Italia, per esempio, dove si praticava un gioco più tecnico, che avrebbe esaltato le sue doti. Come carattere, Deyna viene tuttora descritto come una persona umile, riservata e, soprattutto, fragile: aveva un debole per le donne, l’alcol e il gioco d’azzardo, “passioni” – in particolare le ultime due – che gli crearono non pochi problemi. Venne sepolto negli Stati Uniti. Nel 2012 è stato portato in Polonia: ha ricevuto l’estremo saluto in patria il 6 giugno a Varsavia, prima dei campionati europei disputati in Ucraina e, appunto, in Polonia. La salma è stata tumulata nel cimitero Powązki della capitale, in un viale dedicato alle glorie nazionali. «Ho fatto felici i suoi fan e lui è tornato a casa» – disse al tempo la vedova Mariola. Deyna non c’è più ma il ricordo tra gli appassionati è sempre vivo, anche a quarant’anni di distanza dalla sua scomparsa.

Deyna

4° POSTO: EX-AEQUO GRZEGORZ LATO e ZBIGNIEW BONIEK. I primi due sono inarrivabili dal punto di vista tecnico: nessuno mette in discussione quest’aspetto. Più volte, però, nei vari dibattiti, ho sentito dire che Lato è stato un calciatore più forte di Boniek e viceversa. Per quanto mi riguarda li metto alla pari ed è per questo che opto per un terzo posto ex-aequo. Entrambi, innanzitutto, avevano caratteristiche fisiche simili e su di esse basarono la loro carriera: Lato, con il suo primato personale di 11’’ sui 100, era velocissimo mentre Boniek era più potente, in particolare quando sfruttava gli inviti di Platini partendo dalle retrovie. Dal punto di vista dei successi individuali e di squadra quasi si equivalgono. “Zibì” ha avuto il merito di essere il primo calciatore polacco a vincere a livello europeo con un club: per lui una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea (1984 e 1985), conquistate segnando in entrambe le occasioni, nonché una Coppa dei Campioni, ottenuta nel 1985 (la tragica finale dell’Heysel col Liverpool). Lato, a riguardo, ha la bacheca spoglia ma a differenza di Boniek ha potuto lasciare la Polonia solo a 30 anni, età in cui il regime autorizzava il trasferimento all’estero. Boniek in questo senso è stato un precursore, avendo lasciato Łódź e il Widzew a 26 anni per la Juve. Lato invece approdò in una squadra modesta come il Lokeren in Belgio, paese quest’ultimo meta di tanti calciatori della sua generazione perché “amico” dell’allora segretario del Partito Operaio Unificato Polacco Edward Gierek. Tuttavia, a differenza di Zibì, il giocatore di Malbork è stato l’unico polacco di sempre a far parte delle squadre più forti in assoluto della storia della nazionale: vinse così i Giochi Olimpici del 1972, conquistò l’argento nell’edizione del 1976, si mise al collo la medaglia di bronzo ai campionati mondiali del 1974 e del 1982, conquistando nel primo caso anche il titolo di capocannoniere con 7 centri. Inoltre, rimane tuttora il miglior marcatore della Polonia nella rassegna iridata con 11 reti. Un curriculum pazzesco. Boniek, da questo punto di vista, è stato capace “soltanto” di conquistare il terzo posto a Spagna ’82, pur da protagonista con 5 gol e la storica tripletta al Belgio nel secondo girone. A ogni modo si tratta di punti di vista e di opinioni. È sicuro e oggettivo il fatto che tutti e due abbiano ricoperto la carica di presidente della Pzpn. Lacunoso il mandato di Lato (2008-2012), con la colpa di aver toppato il campionato Europeo disputato in casa (eliminazione al primo turno) sbagliando in particolare la scelta del ct, carica per cui preferì Franciszek Smuda al suo ex compagno di nazionale Henryk Kasperczak, il miglior trainer uscito dalla generazione d’oro e al tempo “guru” delle nazionali africane. Di maggior spessore i sette anni di gestione di Boniek (dal 2012 a oggi), visto che la Polonia ha fatto dei passi da gigante per quanto concerne l’organizzazione dei grandi eventi ed è stata capace di entrare nell’elite continentale delle nazionali maggiori. Inevitabile l’ex-aequeo finale, anche se rimane un dubbio: cosa avrebbe potuto fare Lato, nel cuore della sua carriera, in un club dell’Europa occidentale?

Lato Boniek dieci calciatori polacchi polonicult

5° POSTO: ERNEST POHL. Subito alle spalle di questi campioni un altro fuoriclasse, uno dei primi della Polonia del dopoguerra: è stato il padre calcistico di Włodzimierz Lubański e a lui, attaccante, è stato intitolato lo stadio del Górnik Zabrze. Sarebbe stato interessate vedere cosa avrebbe fatto a livello internazionale (escluse le Coppe Europee) e con una selezione in grado di supportarlo, perché in Polonia è stato semplicemente devastante. Con 186 reti rimane tuttora il marcatore più prolifico del massimo campionato nazionale: grazie a questi centri contribuì ai primi successi dei minatori, che lo acquistarono dal Legia Warszawa nel 1957 per cercare di interrompere il dominio del club dell’esercito. Obiettivo centrato, visti gli otto titoli vinti. Con la selezione fu straordinario e sfortunato allo stesso tempo: incredibile la media di 39 gol in 46 presenze, ma i gettoni avrebbero potuti essere di più se non fosse stato squalificato per aver bevuto della birra a tavola dal ct Koncewicz. «Vengo da una famiglia di minatori e sono abituato a bere birra» – rispose. Carisma da vendere.

6° POSTO: GERARD CIEŚLIK. Se bisogna paragonarlo a un altro grande giocatore del lontano passato, si può dire abbia segnato un minor numero di gol rispetto a Pohl (167 gol nel massimo campionato nazionale) e che abbia vinto meno titoli (3). È tuttavia il più grande calciatore polacco dell’immediato secondo dopoguerra, esattamente dal 1945 al 1959 (poi venne l’era di Pohl). Capitano della nazionale biancorossa del periodo (45 presenze e 27 reti il bilancio), nacque a Chorzów quando la città era chiamata Hajduki Wielkie e faceva parte del voivodato autonomo della Slesia durante la Seconda Repubblica di Polonia. Proprio a Chorzów la sua partita-simbolo con la maglia della Polonia: la vittoria, la prima della storia dei biało-czerwoni con l’Unione Sovietica, arrivò grazie a una sua doppietta (2-1). Un successo di cui si parla tuttora e che viene giustamente in ogni libro di storia del calcio polacco e in particolare allo Stadion Śląski.

7° POSTO: WŁADYSLAW ŻMUDA. Magari Jerzy Gorgoń, come difensore, è stato capace di fare maggiormente la differenza sia in nazionale sia nel club (il suo Górnik Zabrze). Ma, Żmuda, oltre a essere stato un grande giocatore, è stato assieme a Boniek il primo calciatore a lasciare la Polonia in anticipo rispetto ai tempi previsti del regime (andò al Verona nel 1982 a 28 anni) ed è stato l’unico polacco ad aver disputato quattro edizioni dei campionati mondiali: ha preso parte alle rassegne del 1974, 1978, 1982 (era il capitano) e 1986, collezionando in tutto ben 24 presenze esattamente come Diego Maradona, non proprio l’ultimo arrivato. Difensore del grande Widzew Łódź di inizio anni ‘80, estremamente stimato dai suoi ex compagni di squadra per le sue qualità umane, a differenza di molti altri a fine carriera si è messo al servizio delle nuove leve, trasmettendo la sua esperienza come commissario tecnico delle nazionali giovanili e come assistente nella selezione maggiore.

8° POSTO: EDWARD SZYMKOWIAK. Già celebrato nel recente servizio sulla solida tradizione dei portieri polacchi, secondo quanto letto e ascoltato mi sono fatto l’idea che Szymkowiak per qualità, costanza e leadership sia stato il più grande interprete del ruolo, più di Tomaszewski e Młynarczyk, a cui però vanno riconosciuti i successi con la nazionale (che al giocatore mancano). Era un vero e proprio fuoriclasse il giocatore alto-slesiano, Classe 1932, a vent’anni aveva già ottenuto da protagonista due titoli nazionali col Ruch Chorzów, conquistando inoltre la convocazione ai Giochi Olimpici di Helsinki. Si era costruito da solo e il suo stile non era per gli esteti. Tuttavia, era estremamente efficace e di lui si diceva che fosse in grado di usare le mani dove nessuno aveva il coraggio di mettere il piede: anche grazie a questa dote fece, la storia del Polonia Bytom, di cui difese i pali per dodici anni (1957-1969), collezionando 245 presenze, vincendo un campionato nazionale e conquistando quattro volte il titolo di miglior calciatore polacco (1957, 1958, 1965 e 1966). Una vera e propria icona del club, tanto che a lui è stato intitolato lo stadio di Bytom. Con i biało-czerwoni giocò 53 gare sino al 1965 ed era in porta nella leggendaria vittoria con l’Unione Sovietica del 1957.

9° POSTO: ERNEST WILIMOWSKI. Basta ricordare i quattro gol siglati al Brasile ai campionati mondiali del 1938, unico match giocato nella rassegna iridata dalla Polonia prima del 1974 (e perso per 5-4): personaggio e calciatore icona dell’epoca pioneristica, attaccante, si dice avesse il piede destro con sei dita. Da inserire senza alcun dubbio tra i migliori di sempre per le sue straordinarie capacità realizzative: con i biało-czerwoni realizzò 21 reti in 22 gare, col Ruch Chorzów addirittura 112 in 86 match. Nato come tedesco nel 1916 nell’allora Kattowitz, l’odierna Katowice che al tempo faceva parte dell’Impero tedesco, giocò per la Polonia e, durante il secondo conflitto bellico, per la Germania di Adolf Hitler: una decisione che in patria non venne mai digerita, tanto che gli fu negato il ritorno nella sua terra d’origine e pure la visita alla nazionale di Górski nel ritiro di Murrhardt in Germania Ovest ai mondiali del 1974.

Wilimowski PoloniCult

10° POSTO: ANTONI SZYMANOWSKI. Il Giacinto Facchetti polacco, perché interpretò pure lui in maniera offensiva il ruolo di terzino destro. Antek, infatti, fu allo stesso tempo regista aggiunto in fase di possesso e, naturalmente, fludificante: in molti ricordano ancora il suo cross per la testa di Szarmach durante Italia-Polonia ai campionati iridati del 1974. Era talmente riconoscibile il suo talento e il suo stile che durante gli anni ’70, i tifosi del Wisła Kraków, andavano allo stadio soprattutto perché giocava lui, fatto decisamente inusuale per un terzino. Non ce ne voglia Zygmunt Anczok, altro splendido laterale dell’epoca: la sua esclusione a favore di Szymanowski è dettata dal fatto che quest’ultimo fu un ingranaggio fondamentale delle Aquile di Górski capaci di vincere l’oro olimpico a Monaco nel 1972 e, soprattutto, conquistare il terzo posto ai mondiali in Germania Ovest con quella che, per tutti, rimane la nazionale polacca più bella di sempre. Per lui, con la nazionale, 82 presenze nell’arco del decennio 1970-1980.

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