Alla scoperta de Il re di cuori, uno dei romanzi più riusciti della scrittrice e giornalista Hanna Krall.
di Lorenzo BerardiDa quasi cinquant’anni il nome di Hanna Krall è sinonimo di giornalismo d’alta qualità in Polonia. Merito di un’autrice coraggiosa, dal carattere forte e incapace di scendere a compromessi. Oggi quasi ottantenne, Krall continua a pubblicare articoli, partecipare a dibattiti e seminari recitando un ruolo attivo e rispettato nella vita politica e sociale polacca. Ritenuta una delle fondatrici della celebrata scuola del reportage polacco, Hanna Krall è nata a Varsavia nel 1935 da una famiglia di origine ebraica e ha studiato giornalismo nell’ateneo della capitale negli anni ’50. Il suo primo articolo, scritto a soli diciannove anni, descrive la difficile ma creativa vita quotidiana in un cortile del quartiere di Praga Północ, accanto al Bazar Różyckiego, noto luogo di contrabbando alla luce del sole. L’allora già affermato scrittore Marian Brandys, suo professore, apprezza il reportage, ma incoraggia la giovane giornalista a privilegiare la semplicità rispetto alla forma.
Un consiglio che Krall farà suo. Proprio l’assenza di descrizioni dettagliate ed eccessive aggettivazioni combinata a un’apparente laconicità nel commentare tragiche vicende personali caratterizza la produzione letteraria della decana del giornalismo polacco. Uno stile moderno e originale, per quanto a una prima e superficiale lettura possa apparire freddo o spassionato. Nulla di più falso. La metodica razionalità narrativa di Hanna Krall sottolinea da un lato la normalità ostinatamente ricercata dai suoi personaggi a dispetto di condizioni precarie o estreme. Dall’altro, l’essenziale utilizzo del linguaggio per descrivere azioni ed emozioni quotidiane mette in risalto l’assurdità e la violenza degli ostacoli che si frappongono in una realtà complessa. Spesso non è facile immedesimarsi nei personaggi narrati da Krall. Tuttavia il loro apparente cinismo, la loro testardaggine nel raggiungere una meta prefissa hanno molto, troppo di umano. Ed è questo a mettere spesso il lettore disattento o superficiale in difficoltà.
Terminati gli studi e affinato il proprio stile giornalistico, Krall lavora per il quotidiano varsaviano Życie Warszawy prima di passare al prestigioso settimanale Polityka nel 1966 e divenirne presto una delle firme più note. L’esordio letterario sul lungo formato avviene nel 1972 con la pubblicazione di Na wschód od Arbatu (Ad est dell’Arbat) – ancora inedito in italiano – raccolta di reportage scritti durante la sua permanenza nell’allora Unione Sovietica come corrispondente proprio di Polityka. Quattro anni più tardi la casa editrice Odra dà alle stampe quello che ancora oggi è spesso considerato il libro più celebre di Hanna Krall: Zdążyć przed Panem Bogiem (Arrivare prima del Signore Iddio). Un’opera che raccoglie una serie di conversazioni con Marek Edelman, uno dei leader dell’insurrezione del ghetto di Varsavia dell’aprile-maggio ’43. In questo libro, l’autrice esplora il delicato tema delle relazioni e degli attriti esistenti fra tedeschi, polacchi ed ebrei durante e dopo il secondo conflitto mondiale. Un filone seguito, aggiornato e svelato nelle sue molteplici sfaccettature da molte delle opere successive della scrittrice varsaviana.
A dispetto del successo di critica e pubblico ottenuto dai propri libri, il lavoro di redattrice e corrispondente diviene sempre più difficile per Krall. Il potente comitato centrale del Pzpr, il partito comunista polacco, ritiene i suoi reportage ‘deprimenti’ bloccandone la pubblicazione e ordinando di mandare al macero le copie del libro Szczęście Marianny Głaz (La felicità di Marianna Głaz). La situazione peggiora nel 1981. L’avvento della legge marziale porta il censore ad accanirsi sugli scritti di Hanna Krall, alcuni poi pubblicati clandestinamente all’estero. Fattori e pressioni che convincono la giornalista a lasciare in lacrime la redazione di Polityka nel dicembre dell’81.
Negli anni successivi, l’autrice scrive racconti, collabora con il regista Krzystof Kieślowski e mantiene i contatti con l’amico e collega Ryszard Kapuściński, grande ammiratore dei suoi scritti e della sua meticolosa tecnica d’inchiesta giornalistica. In seguito, gli articoli di Hanna Krall troveranno posto sulle colonne del primo quotidiano polacco, Gazeta Wyborcza, là dove meritano di essere. E sempre alla quasi ottantenne autrice si deve l’impulso e l’incoraggiamento dato a una nuova generazione di brillanti reporter polacchi, da Mariusz Szczygieł ad Angelika Kuźniak e Małgorzata Rejmer.
Per chi non avesse ancora letto nulla di Hanna Krall, ‘Il re di cuori’ (Król kier znów na wylocie), scritto nel 2006 e pubblicato in Italia da Cargo nel 2009 tradotto da Valentina Parisi, può essere un ottimo punto di partenza per avvicinarsi a questa autrice. Ispirato alle vicende di una donna ebrea-polacca durante la Seconda Guerra Mondiale, il libro si legge come un romanzo breve e presenta una trama degna di una spy story.
Il re di cuori del titolo è l’ebreo-polacco Shayek deportato dal ghetto di Varsavia per destinazione ignota. Per riuscire a rintracciarlo e nella speranza di salvarlo, la giovane moglie Izolda intraprende una trasformazione che la porterà a cambiare nome, colore di capelli, religione, persino il modo di vestire e camminare. Tutto nella speranza di passare inosservata, riuscire a raccogliere denaro importando cibo dalla campagna nella capitale per inviare aiuti al marito lontano. Una rischiosa impresa quotidiana compiuta sotto la falsa identità di Maria Pawlicka. Catturata e torturata più volte, scambiata persino per prostituta, con periodi di prigionia trascorsi nel carcere varsaviano di Pawlak e a Cottbus, in Germania, Izolda riesce sempre in qualche modo a salvarsi.
Venuta a sapere che Shayek si trova nel campo di concentramento austriaco di Mauthausen, Izolda riesce a raggiungere Vienna, nella speranza di potere meglio aiutare il marito da lì. Scoperta e identificata come persona di religione ebraica, la giovane viene deportata ad Auschwitz. Non è la fine per Izolda/Maria. Grazie a una combinazione di circostanze fortuite e coraggiose iniziative personali, la donna riuscirà a sfuggire ai propri aguzzini transitando dalla Germania prima di ricongiungersi a Shayek, anche lui sopravvissuto fingendosi non ebreo.
A guerra conclusa, la coppia vivrà prima a Łódź e poi a Vienna mantenendo per alcuni anni le proprie false identità facendo battezzare e portando regolarmente a messa le figlie. Il timore, la paura di riaffermare le proprie origini spinge Izolda a importanti atti simbolici come cancellare la parte del tatuaggio sull’avambraccio inflittole ad Auschwitz che la identifica come ebrea. Lo stesso Shayek, pur onorando la memoria del padre – ex proprietario di un’industria tessile a Łódź – incarica un fotografo di rimuovere la barba dalla foto che lo ritrae, così da farlo passare per gentile.
Le ultime pagine del libro sono quelle in cui Hanna Krall ci svela che le vicende narrate sono ispirate alla storia vera di Izolda R. raccolta nell’arco di lunghe e approfondite interviste in Israele, dove la donna si è trasferita. Una scelta stilistica insolita e spiazzante che ha il merito di ottenere la quadratura del cerchio del racconto varcando la sottile linea rossa che separa la realtà dei fatti dalla loro finzione.
A dispetto del titolo – e come si sarà intuito – ‘Il re di cuori’ non è un libro facile. Nonostante sia diviso in brevi e agili capitoli e non arrivi a sfiorare le 200 pagine, questa è un’opera che richiede una lettura attenta e meticolosa. Krall non indugia in particolari macabri o in facili moralismi, eppure è proprio il suo stile sintetico, analitico e affilato a non lasciare i lettori indifferenti. Vi sono frasi, riflessioni che colgono con assoluta precisione lo smarrimento e assieme la forza di volontà di Izolda/Maria durante le sue lucide peregrinazioni.
La sensazione è quella di osservare al tempo stesso dall’esterno e dall’interno le scelte e i dilemmi affrontati dalla protagonista ed è proprio questo a creare l’illusione di non sapersi identificare appieno nella donna, rendendola vicina e lontana al lettore. Il poeta Ryszard Krynicki ha definito i libri di Krall come ‘esempi di reportage metafisico’. Un’etichetta affascinante, ma che non rende giustizia all’autrice. Tutto si può dire di Hanna Krall tranne che viva estraniata dalla realtà o che prediliga i ragionamenti astratti o complicati, come la definizione di ‘metafisico’ suggerirebbe. Semmai è vero il contrario. Attaverso la loro semplicità stilistica e grazie a ragionamenti concreti, i libri di questa importante autrice stimolano una partecipazione che lungi dall’essere solo emotiva, diviene razionale e complessa.
Altri consigli di lettura:
Ipnosi e altre storie (Giuntina, 1993)
La festa non è la vostra (Giunta, 1995)
Il dybbuk e altre storie (Giuntina, 1997)
Ritratto con la pallottola nella mascella (Giuntina, 2010)
Arrivare prima del Signore Iddio. Conversazione con Marek Edelman (Giuntina, 2010)