“È impossibile conoscere la propria cultura senza conoscere quelle degli altri”.
Ryszard Kapuściński – Nel turbine della storia (trad. di Vera Verdiani)
Una delle prime cose che si nota in Polonia è l’elevato numero di lettori a bordo di treni, autobus e tram. Lettori che spesso e volentieri disdegnano free press e romanzetti vari, per immergersi nelle pagine di Gazeta Wyborcza e Polityka oppure in libri dall’aria rispettabile. Sbirciando autori e titoli delle copertine ci si rende conto di un fenomeno interessante: i polacchi leggono reportage! Non a caso alcuni degli autori italiani più noti fra il Baltico e i Tatra sono giornalisti come Tiziano Terzani, Oriana Fallaci e Roberto Saviano.
La definizione di reportage per un polacco è, per la verità, molto flessibile. In Polonia l’etichetta ‘reportaż’ comprende un mix di giornalismo d’inchiesta, ricerca sul campo e resoconto di viaggio; il tutto spesso arricchito da osservazione partecipante à la Malinowski. I reportage più apprezzati sono a volte caratterizzati da un punto di vista soggettivo, e quindi originale, da parte dell’autore che spesso non rinuncia a sarcasmo e ironia. L’esatto contrario di ciò che si insegna nelle scuole di giornalismo e nelle redazioni italiane dove si insiste sull’obiettività e ai giovani reporter è tassativamente vietato l’uso della prima persona singolare nelle proprie corrispondenze.
Molti degli autori polacchi di reportage lavorano o hanno scritto per Gazeta Wyborcza. Non si tratta di una coincidenza. È proprio grazie al quotidiano diretto da Adam Michnik e al suo inserto culturale del giovedì, Duży Format, che tanti giovani reporter hanno avuto e tuttora hanno l’occasione di pubblicare i propri pezzi e farsi conoscere. E in Polonia il passo che porta dagli articoli ai libri di reportage è breve grazie all’interesse del grande pubblico nei confronti di questo genere letterario.
Se i numi tutelari del giornalismo polacco contemporaneo sono Melchior Wankowicz e Hanna Krall, il padre fondatore del moderno reportage è senz’altro Ryszard Kapuściński. Sono stati infatti i suoi libri pubblicati a partire dagli anni ’60 il primo vero fenomeno editoriale del giornalismo polacco. Un successo reso possibile non solo dal brillante stile dell’autore e dall’attualità dei temi trattati, ma anche dal fatto che all’epoca il massimo dell’esotismo per il polacco medio era una vacanza in Ungheria. Per molti, quindi, le opere di Kapuściński su Africa, Asia e America Latina rappresentavano anche un’evasione dal grigiore della vita quotidiana.
All’infuori di Kapuściński, oggi gli autori polacchi di reportage tradotti in italiano si contano purtroppo sulle dita di una mano. Il libro forse più noto ai lettori italiani è Gottland di Mariusz Szczygieł pubblicato nel 2009 da Nottetempo e capace di riscuotere un insperato successo editoriale. Il libro offre una sorprendente galleria di personaggi e situazioni appartenenti a una nazione che non esiste più, la Cecoslovacchia, in un enciclopedico e coinvolgente affresco privo di cadute di ritmo e di stile. Nel 2012 il medesimo editore ha pubblicato un altro libro di Szczygieł: Fatti il tuo paradiso.
Interessante è il caso di Wojciech Górecki, un altro giornalista che vanta due libri tradotti in italiano: La terra del vello d’oro. Viaggio in Georgia, edito da Bollati Boringhieri nel 2009, e Pianeta Caucaso uscito presso Bruno Mondadori già nel 2003. Górecki venne presentato al pubblico italiano come ‘l’erede di Kapuściński’ ed è tradotto dall’eccellente Vera Verdiani, ma i suoi efficaci reportage caucasici, frutto di una profonda conoscenza del territorio, sono passati quasi inosservati.
Nel 2010, invece, è stato l’editore Keller (già capace di scovare e tradurre Herta Müller) a pubblicare Come se mangiassi pietre di Wojciech Tochman. Il libro riesce a descrivere con sintetica maestria contraddizioni, emozioni e speranze di una Bosnia percorsa alcuni anni dopo la fine del conflitto nell’ex Jugoslavia. Nel novembre di quest’anno, sempre per i tipi di Keller, è uscito Febbre bianca di Jacek Hugo-Bader. Si tratta di un’eccellente raccolta di reportage su molteplici aspetti della Russia contemporanea fra attempati hippie, santoni siberiani, (mal)educazione sessuale e contatori Geiger impazziti.
Due ottimi autori polacchi di reportage non ancora disponibili in italiano, pur potendo già contare su traduzioni inglesi, sono Wojciech Jagielski e Witold Szabłowski. Il primo è un giornalista sui generis nel panorama del reportage polacco. Jagielski adotta infatti uno stile assai meno conciso di quello caratterizzato da un mosaico di brevi episodi, interviste e osservazioni che ha fatto la fortuna di Szczygieł e Hugo-Bader. Per questo, i suoi libri su Cecenia, Uganda e Afghanistan non sono sempre di immediata accessibilità.
Szabłowski, invece, è il primo reporter polacco a specializzarsi sulla Turchia. Il suo Zabójca z miasta moreli (L’assassino dalla città delle albicocche) è un capolavoro vista anche l’importanza dei temi trattati, dal femminicidio, alle storie di migranti per concludere con un illuminante reportage sul caso di Ali Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II. Il libro si è aggiudicato numerosi premi in Europa e oggi sembra implorare una traduzione italiana. Sempre nella categoria degli autori non o non ancora tradotti va citato lo scrittore e giornalista – collaboratore anche de L’Espresso – Andrzej Stasiuk. Il suo Jada̜c do Babadag (In viaggio per Babadag) è un eccellente esempio di giornalismo on the road nell’Europa dell’Est.
Vi sono poi numerosissimi autori polacchi di reportage ancora semisconosciuti al pubblico internazionale, ma spesso capaci di vendere decine di migliaia di copie in patria. Molti dei loro libri sono pubblicati dalla casa editrice Czarne e basta entrare in qualsiasi libreria polacca per trovarne un’ampia e ben visibile selezione. Fra i nomi capaci di riscuotere maggiore consenso di critica e pubblico vi sono Włodzimierz Nowak, Lidia Ostałowska, Paweł Smoleński e Małgorzata Szejnert. Fra le nuove leve, invece, si sono distinti Angelika Kuźniak, Małgorzata Rejmer, Maciej Wasielewski, Ewa Winnicka e Ilona Wiśniewska.
A ben guardare, non esiste – o quasi – luogo da e di cui i brillanti giornalisti della moderna scuola polacca di reportage non abbiano scritto. Dall’ex Cecoslovacchia (Szczygieł) alla Turchia (Szabłowski) passando per Bosnia (Tochman), Albania (Stasiuk) e Romania (Rejmer). Dalle gelide isole Spitsbergen (Wyśniewska) alle Faer Oer (Michalski & Wasielewski) e poi in Inghilterra (Winnicka) per spostarsi in Georgia (Górecki), Kazakhstan (Hugo-Bader) e Afghanistan (Jagielski). Oppure si può partire dagli Stati Uniti (Szejnert) per sorvolare l’Africa e l’Iran di Kapuściński sconfinando in Iraq (Smoleński) e concludere il viaggio a Pitcairn, remota isola del Pacifico dove è approdato Wasielewski. Ai polacchi piace viaggiare leggendo e il loro interesse nei confronti di questo genere è tale che la stessa Czarne ha da poco pubblicato una mastodontica antologia sul reportage polacco del XX secolo curata da Mariusz Szczygieł. Sono 1832 pagine: difficile che vengano tradotte in italiano, ma sperarlo non costa nulla.
10 Consigli di lettura
In italiano:
Wojciech Górecki – Viaggio in Georgia (Bollati Boringhieri, 2009);
Jacek Hugo-Bader – Febbre bianca (Keller, 2014);
Mariusz Szczygieł – Gottland (Nottetempo, 2009);
Wojciech Tochman – Come se mangiassi pietre (Keller, 2010).
In polacco:
Wojciech Jagielski – Wieże z kamienia (WAB 2004 e Znak 2012) disponibile in inglese qui;
Małgorzata Rejmer – Bukareszt. Kurz i krew (Czarne 2013);
Andrzej Stasiuk – Jada̜c do Babadag (Czarne, 2004) disponibile in inglese qui;
Witold Szabłowski – Zabójca z miasta moreli (Czarne, 2010) disponibile in inglese qui;
Marcin Michalski & Maciej Wasielewski – 81:1. Opowieści z Wysp Owczych (Czarne, 2011);
Ilona Wiśniewska – Białe. Zimna wyspa Spitsbergen (Czarne 2014).