A proposito di Fisica della malinconia
di Chiara Condò
Questo libro è un labirinto. Affrontarne i diversi argomenti, all’interno di una trama dai confini così labili, richiede una certa predisposizione allo smarrimento – capacità che la letteratura contemporanea ha, nel corso degli anni, sistematicamente inibito nel lettore. Fisica della malinconia, al contrario, è un romanzo fondato sullo stupore, come un Irrgarten rinascimentale dalle siepi alte, che impediscono a chi entri nel percorso una soluzione rapida e scontata. Molte tematiche si intrecciano nel testo; ognuna compenetra l’altra senza mai prevalere, in un gioco armonico difficile da scindere, e non stupisce che Gospodinov abbia utilizzato una struttura labirintica per raccontarle. Qui, l’infanzia è l’età felice della meraviglia continua, e il ritorno a essa è per lo scrittore principio e fine della sua opera, con un movimento molto simile a quello che Bruno Schulz compiva, nel 1934, con i racconti de Le botteghe color cannella. Scriverà Schulz stesso a riguardo:
“Mi sembra che il genere d’arte che mi stia a cuore sia proprio una regressione, sia un’infanzia reintegrata. Se fosse possibile riportare indietro lo sviluppo, raggiungere di nuovo l’infanzia attraverso una strada tortuosa – possederla ancora una volta, piena e illimitata – sarebbe l’avveramento dell’“epoca geniale”, dei “tempi messianici”, che ci sono stati promessi e giurati da tutte le mitologie. Il mio ideale è “maturare” verso l’infanzia. Questa sarebbe l’autentica maturità”.
Georgi Gospodinov occupa una posizione di rilievo nel panorama della letteratura bulgara contemporanea: già con la sua prima opera in prosa, Romanzo naturale (Voland, 2007) si inserisce in un momento in cui è indispensabile per uno scrittore bulgaro riconsiderare il modo di fare letteratura.
Ma Fisica della malinconia ha avuto una gestazione lenta; pubblicato nel Dicembre 2011 a Plovdiv, più di un decennio lo distanzia dalla prima opera in prosa di Gospodinov. Nel maggio 2012 ha visto, grazie alla cura di Giuseppe Dell’Agata, profondo conoscitore e grande diffusore all’estero dell’opera di Gospodinov, la sua prima traduzione. Il romanzo si è imposto gradualmente all’attenzione del pubblico italiano, risultando il libro più venduto della casa editrice Voland al Salone del Libro di Torino 2013, e ricevendo numerose recensioni favorevoli da parte di quotidiani, riviste del settore e vari blog.
Ma la conferma più significativa del successo di Fisica della malinconia è data dal numero dei lettori in continuo aumento, dato non scontato né tantomeno sottovalutabile per un autore appartenente a una realtà che ci è così oscura. Pende sulla nostra mentalità una frase che Matteo Marchesini riporta nella sua recensione al libro: “diceva il cinico Montale, citando il cinico Missiroli, che «non si può essere un grande poeta bulgaro»”, come se non si potessero concordare la grandezza del singolo e la modestia della nazione d’appartenenza in una sola frase.
Gli inizi del romanzo sono tanti, almeno quanto le vite (umane, animali, vegetali) in cui il protagonista, un bambino ammalato di empatia, si immedesima:
“Mi ricordo di esser nato come rovo di rosa canina, pernice, gingko biloba, lumaca, nuvola di giugno
(il ricordo è assai breve), fiore autunnale di croco intorno a Halensee, ciliego precoce gelato da una
tarda neve d’aprile, come neve che ha gelato l’ingannato albero di ciliegie…”
Non ha scampo dalla peculiarità della sua patologia che lo porta a vivere continuamente le vite degli altri: così inizia una vagabondaggio all’interno di un ricordo preciso, cardine e immagine costante del libro. Scivolato nella memoria del nonno, il protagonista giunge a una sera d’estate e all’incontro, durante una fiera di paese, con un minotauro bambino. L’impressione che ne riceve è annichilente, tanto da privarlo della parola; la paura, che la vista del gracile minotauro malinconico ha suscitato, si riflette nel muggito pietoso che, per mesi, esce dalla bocca del progenitore. Eppure dall’immagine non traspare nessuna bestialità: al contrario, è proprio la profonda umanità del bambino minotauro a spaventarlo, insieme alla chiara sensazione di abbandono che il nonno del protagonista riconosce come propria.
“Non lo vogliono neanche i bufali, non lo riconoscono come uno di loro, si spaventano davanti a lui, la mia mandria si è dispersa e non posso più portarlo con me. Da allora frequentiamo tutte le fiere con questo povero orfanello, abbandonato dal padre e dalla madre, non è né uomo tra gli uomini, né toro tra i tori”.
Gospodinov può così raccontare una tipica infanzia degli anni settanta, “con quella precoce e innata sensazione di abbandono” che ha caratterizzato tutti i bambini dell’epoca, lasciati spesso a trascorrere intere giornate in solitudine a causa del lavoro dei genitori. Come minotauri abbandonati negli scantinati di enormi condomini, i ragazzi di quegli anni sono il simbolo di un’infanzia socialista, fatta di oggetti che Gospodinov ha inventariato con l’ossessione del collezionista. L’estrema attenzione per i dettagli occuperà la parte del libro dedicata al recupero delle vicende che, crescendo, il protagonista non può più vivere attraverso l’empatia. Gospodinov, reinventando se stesso attraverso la professione di mercante di storie, trova così il modo di bypassare i blocchi che la “disempatizzazione” ha creato e, parallelamente, redigere una storia alternativa della sua epoca. Gli occhi dei malinconici personaggi del romanzo possono farci vedere, nel modo migliore, l’eternità delle cose effimere, più care all’autore per la loro caducità: “Lo dirò in modo paradossale – il deperibile è più duraturo, proprio grazie alla propria mortalità, dell’eterno che non può riprodursi”.
Tuttavia essere continuamente collegato con il mondo non garantisce al protagonista un’esistenza intatta e felice. Al contrario, il diretto contatto con il dolore altrui genera in Gospodinov una malinconia sottile, che sente gravargli addosso come una malattia; la tăgà.
Già Nabokov aveva specificato che le lingue occidentali rendono malamente e in maniera incompleta le sfumature della malinconia slava, come nel caso della parola russa “toska”, più simile al desiderio intenso di qualcosa che non esiste, a un languore vago, spesso senza causa:
“Toska – noun /ˈtō-skə/ – Russian word roughly translated as sadness, melancholia, lugubriousness“.
“No single word in English renders all the shades of toska. At its deepest and most painful, it is a sensation of great spiritual anguish, often without any specific cause. At less morbid levels it is a dull ache of the soul, a longing with nothing to long for, a sick pining, a vague restlessness, mental throes, yearning. In particular cases it may be the desire for somebody of something specific, nostalgia, lovesickness. At the lowest level it grades into ennui, boredom”.
Similmente la parola “tăgà.” sembra impossibile da rendere fuori dalla Bulgaria:
“La parola è breve, ma lo stato d’animo che descrive è lungo. Parola pomeridiana. Si appalesa in quella fase del giorno quando le mosche svolazzano semiassopite. Io sono un essere pomeridiano, per questo la amo. Le mattinate sono operose e perciò non lasciano tempo sufficiente per la tăgà. E la tăgà ha bisogno di tempo, di intervalli vuoti, per potersi dispiegare. Prossime per significato sono parole come ‘tormento’ e ‘malinconia’, ma non si tratta proprio della stessa cosa. Non è ‘sorrow’, e ancor meno ‘sadness’. La mia traduttrice americana sostiene di non riuscire ad esprimere adeguatamente in inglese tutto lo spettro semantico slavo di questa parola. Un suo collega ha addirittura scritto una tesi di Dottorato su questa parola intraducibile. Tăgà è ad esempio il lamento irrealizzato ‘A Mosca… A Mosca’ nelle Tre sorelle di Cechov. Nella tăgà c’è aspirazione, c’è sogno. E’ la sensazione incombente di irrealizzabilità, di qualcosa di mancato per sempre e non verificatosi. La tăgà non ti aggredisce all’improvviso, non ti travolge come un’ondata, le sue acque sono pigre, il suo veleno agisce lentamente, ti fiacca pian piano. La parola ha una pronuncia gutturale, come se dovessi inghiottire qualcosa: tăgà… Il suo stato fisico è la liquidità”.
Fisica della malinconia è un libro ricco di spunti originali e dettagli potenti; tuttavia il ritmo sincopato della vicenda spezza le piccole storie che la compongono, negando loro la possibilità di un’evoluzione.
Come in Romanzo naturale, Gospodinov si dimostra un virtuoso della narrazioni abortite: la stessa dimensione onirica in cui ci sembra sempre di irrompere è espressione di un’interruzione. Cosa è infatti il sogno, se non una storia che dimentichiamo al risveglio, senza riuscire a raccontare?