Città giovane quanto l’indipendenza, Gdynia cerca e rivendica la sua identità sulla costa polacca del Baltico.
–
di Salvatore Greco
–
Non sempre è facile avere la prospettiva giusta per capire quanto è lungo un secolo. Può aiutare allontanarci dai nostri luoghi consueti e guardare alla costa baltica. Un viaggiatore partito da Danzica e diretto a occidente, nel 1919 avrebbe incontrato un villaggio di pescatori. Poche famiglie, qualche baracca, barche in attesa di prendere il mare. Nello stesso luogo oggi sorge una città di quasi 250.000 abitanti, il più grande centro urbano non capoluogo di regione in Polonia. Parliamo di Gdynia, la giovane regina del Baltico.
Un po’ di storia
Serve dare un po’ di contesto storico per parlare di Gdynia, altrimenti non si può capire davvero granché di un posto che nel giro di un secolo è passato da ospitare quattro lenze a un quarto di milione di persone.
Comincia tutto un po’ lontano dal Baltico: a Versailles nel 1920. È lì che i grandi d’Europa si riuniscono per sancire la pace dopo la fine della Grande guerra. Ce li possiamo ben immaginare questi diplomatici baffuti, esponenti di nazioni che fino a pochi mesi prima avevano tentato di annientarsi a vicenda, seduti attorno a un grande tavolo, con una mappa dell’Europa sotto gli occhi. I più corrucciati sono facili da riconoscere, sono gli sconfitti. I diplomatici tedeschi, quelli austriaci e gli ungheresi, eredi di due dei tre grandi imperi europei crollati durante la guerra. C’era anche l’impero russo, ma lì hanno fatto da soli e nelle diplomazie europee di invitare i bolscevichi alle trattative non passa per la testa a nessuno.
Dallo sfacelo degli imperi, nascono nuovi Stati. E sono Stati nazionali o che ambiscono a esserlo. Uno di questi è la Polonia, che torna sulle mappe dopo 123 anni di assenza. Divorata dagli imperi europei a fine Settecento, risorta dalle loro ceneri a inizio Novecento, lo Stato polacco ha una storia nazionale da riprendere, grande energia e condottieri decisi.
A Versailles dunque, la neonata Polonia ottiene generose concessioni territoriali: Varsavia, Cracovia, Poznań, Vilnius, Leopoli, una contesa parte di Slesia. E ottiene l’accesso al mare. Non è molto, solo uno spicchio di costa lungo pochi chilometri, che spezza la Prussia orientale dal resto della Germania e che sarà causa di innumerevoli guai: è il famoso corridoio di Danzica.

Mappa della Polonia post-Versailles. Si vedono chiaramente il corridoio di Danzica e la città di Gdynia
Danzica è un altro posto sul quale varrebbe la pena scrivere molto, ma molto è già stato scritto del resto. Alla fine della guerra, i cittadini di Danzica sono per la maggior parte tedeschi, ma la città è contesa anche dai polacchi e a Versailles i nostri baffuti ne escono fuori con una soluzione degna di re Salomone: Danzica sarà una città libera, Freie Stadt Danzig, una città-stato un po’ fuori dal tempo, sulla quale la Polonia ha diritti economici speciali, ma piena zeppa di tedeschi con il dente avvelenato.
La Polonia ha dunque il mare, ma non ha un porto. Tecnicamente quello di Danzica è a sua disposizione, ma ci si può davvero contare? La scelta è quasi obbligata, ma in fondo è anche simbolica. Subito fuori dai confini di Danzica, che in polacco si chiama Gdańsk, c’è un villaggio che si chiama Gdynia.
Il Museo della città di Gdynia riporta che nel 1919, qui erano censiti 49 pescatori con le rispettive famiglie e 8 pescherecci a vela. Nello stesso anno arriva sulla costa l’ingegnere Tadeusz Wenda, chiamato da Varsavia con un compito chiaro: progettare il porto per la marina polacca. Da quel momento, la crescita della città è imperiosa. Il primo censimento della neonata repubblica polacca riporta che a Gdynia vivono 1268 abitanti. Nel 1926, pochi mesi prima di compiere il colpo di Stato che gli avrebbe dato i pieni poteri, l’allora primo ministro e maresciallo Piłsudski presiede la sessione del consiglio dei ministri che concede lo status di città. In quel momento, gli abitanti registrati sono 12.000.
La città e il porto crescono di pari passo. Mentre vengono aperte scuole, uffici e attività commerciali, il porto ospita la prima nave di grande stazza, la battente bandiera francese SS Kentucky, e apre la sua prima linea transatlantica che dal 1930 collega direttamente Gdynia a New York. Intanto la popolazione cresce ancora: nel dicembre del 1936 risultano 102mila abitanti, nel 1939 sono 127mila. A quel punto la crescita è destinata a fermarsi, almeno per un po’.
Nel settembre del 1939, infatti, parte l’offensiva della Germania nazista e Gdynia cade presto nelle mani degli occupanti. I nazisti cambiano il nome della città in Gotenhafen, il porto dei goti, con una scelta propagandistica degna del genio maligno di Goebbels, ostile a riprendere il vecchio nome tedesco Gdingen che suonava troppo slavo, e decisa a un nome che ne rivendicasse un ruolo di primo piano nella costruzione del Reich. Assieme al nome, da Gdynia sparisce sistematicamente molto di quanto c’era di polacco. I dati su arresti e deportazioni non sono precisi, ma le targhe commemorative in città parlano di decine di migliaia di cittadini. Quelli che possono restare, hanno il divieto di possedere radio e di gestire negozi e ristoranti, le scuole polacche vengono chiuse o riconvertite, il porto e i cantieri navali passano al potere nazista e vengono usati come base strategica della Kriegsmarine, la marina del Reich.
La città supera la guerra in maniera relativamente tranquilla. I blindati sovietici che liberano Gdynia nel 1945, trovano la città in buone condizioni. Certo, il porto è distrutto e così buona parte della rete ferrovia, ma rispetto a quello che i nazisti in ritirata hanno lasciato a Varsavia, i locali possono ritenersi fortunati.
E infatti Gdynia si ripopola prestissimo: tornano molti dei precedenti abitanti sfollati, e arriva gente anche da Varsavia, da Vilno, da Leopoli. Gli storici polacchi parlano apertamente di “terra promessa” e di “nuovi pionieri”.
Gli anni della Polonia socialista danno un certo slancio, perlomeno apparente, a una città dalla vocazione industriale come questa. Se i cantieri navali destinati a diventare leggendari sono quelli di Danzica, la città cugina non è da meno, soprattutto quando scoppiano le proteste del 1970 e poi fiorisce Solidarność.
Gdynia oggi
La prima cosa che colpisce arrivando a Gdynia è la presenza ingombrante del mare. Non si fa in tempo a scendere dal treno alla stazione centrale che si viene investiti da un forte odore di salsedine e dal verso un po’ sgraziato dei gabbiani. Percorrendo le strade del piccolo centro (relativamente) storico, l’impressione si ripete: quasi ogni attività commerciale fa riferimento al mare. Se può sembrare una cosa normale per quanto riguarda bar e ristoranti, fa decisamente un altro effetto passare davanti a cartolerie, negozi di abbigliamento e cambiavalute a tema marino.
Questo aspetto monotematico, compreso il suo lato un po’ pacchiano, è una parte essenziale della sua identità un po’ nazional-popolare della città. Gdynia condivide la posizione geografica con Sopot e Danzica, assieme alle quali costituisce l’agglomerato metropolitano noto come Trójmiasto (la tripla città), e ha oggettivamente un po’ meno da offrire ai turisti rispetto alle città sorelle. Danzica è il capoluogo, la città di Solidarność, ha un passato secolare e monumenti splendidi; Sopot spicca per la sua eleganza un po’ salottiera, i ristoranti costosi e una certa atmosfera forzosamente da belle époque; Gdynia ha praticamente solo il mare. E quindi lo sfrutta. Un acquario, vecchie navi da guerra accessibili ai turisti, un galeone ricostruito per fare il giro della costa, e poi una miriade di posti che offrono cartocci di pesce fritto, gelaterie, bar da poco, sale giochi e caricaturisti. Uno scenario non molto diverso da quello che presentavano, e presentano ancora oggi, località della costiera ionica, adriatica o tirrenica.
Difficile trovare un elemento identitario di Gdynia che non riguardi il mare. Ci sarebbe anche l’identità casciuba, riconosciuta a livello istituzionale, ma sono pochi i riferimenti in questo senso. Fanno eccezione solo i nomi di alcune vie, qualche bandiera, e la statua di Antoni Abraham, attivista casciubo che lottò per strappare all’influenza prussiana la Casciubia e riportarla sotto l’ombrello di quella polacca.

Monumento ad Antoni Abraham a Gdynia
Inoltre, nonostante il casciubo abbia ottenuto il riconoscimento come lingua regionale, mancano dei segni di questa cosa come ad esempio della segnaletica bilingue. Del resto, il più recente censimento riporta che la popolazione che usa il casciubo come lingua di comunicazione in città è poco più dello 0,5 %.
L’impressione generale è che Gdynia sia intenzionata a mostrare un’identità tutto meno che ambivalente. Nata come alternativa polacca alla comunità tedesca di Danzica, l’elemento patriottico è ancora oggi molto forte, anche se sempre nei toni mai troppo seri che questa città sembra sempre portare con sé. A partire dal museo della marina militare, comprensibile trionfo di bandiere e coccarde, arrivando fino allo zelo quasi goffo con cui i negozi espongono gli adesivi che certificano la vendita di soli prodotti polacchi.
Se servisse, un altro segnale in questa direzione arriva dal calcio. Dando fede a Pasolini e alla sua idea secondo cui “il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”, gli screzi tra tifosi dicono molto di quali elementi identitari Gdynia abbia tra i suoi punti forti e quali tra i punti deboli. L’Arka Gdynia, la squadra cittadina, è da qualche stagione ormai stabilmente in Ekstraklasa, il massimo campionato polacco, e vive una rivalità feroce con il Lechia Gdańsk, la squadra di Danzica. Sono soprattutto i muri vicino alla stazione, oltre quelli della zona attorno al non grande stadio cittadino, a testimoniare una rivalità che negli anni ha portato anche a scontri ultras piuttosto violenti.
Gli ultras di Gdynia si sentono più polacchi di quelli di Danzica e non fanno a meno di esprimere quest’opinione. La storia antica e recente del capoluogo fa sì che i suoi rivali rinfaccino questo elemento. Una scritta serigrafata su vari muri e a varie dimensioni recita: “Danzica non è polacca, è una città tedesco-svedese piena di ucraini deportati da Leopoli”. Da parte loro i tifosi del Lechia Gdańsk conoscono i punti deboli dei cugini, ovvero il fatto di non avere una vera e propria storia e le origini modeste. Conoscenti di Danzica, pur lontanissimi dalla cultura ultras, riportano abbastanza divertiti alcuni sfottò riservati a Gdynia: come si fa a prendere sul serio una città priva di un centro storico e che ha nel suo simbolo due pesci infilzati?
Più difficile invece riuscire a scoprire quanto di questo condividano i nuovi abitanti di Gdynia, una città dove la fascia di età tra i 20 e i 30 anni è la più rappresentata, simbolo di una città giovane demograficamente oltre che per la sua storia. Lo slancio verso la modernità sembra più toccare ai cugini di Danzica, ma è tutto da vedere per Gdynia mentre si prepara, nel 2026, a festeggiare i suoi cento anni da città. Una giovane centenaria sul Baltico.