Soltanto Lola – Jarosław Kamiński #1

Il padre di Gienia, invalido di guerra, gestiva il dopolavoro alla fabbrica di spazzolini. Io e Gienia, uscite di scuola, ci precipitavamo a guardare la tivù, arrivavamo sempre sudate e col fiatone per la fretta di sederci prima degli operai del cambio turno. Non vedevamo l’ora di sentire le canzoni di Sława Przybilska, o vedere danzare i Mazowsze, o le lezioni di ballo di Witold Gruca. Ricordo ancora benissimo i pantaloni che portava, con l’abbottonatura tra le gambe che lo facevano sembrare un pallone. Io e Gienia poi fingevamo di parlare di balletti, delle varie coreografie, sfiorando soltanto con delle allusioni the heart of the matter. Finché poi il bubbone scoppiava e una di noi se ne usciva che Gruca aveva le palle di uno struzzo e sghignazzi e risate per tutta la strada di casa. Qualche volta attiravamo l’attenzione dei passanti, ragazze, non si fa così. La cosa bella era che nessuna di noi due aveva mai visto le palle di un uomo, e nemmeno quelle di uno struzzo. Ma per il resto… La mascolinità era un’ossessione stuzzicante, quanta forza conteneva, e quanta grazia, quanta decisione e quanto mistero.

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Sotto il sole – Julia Fiedorczuk #1

Quando riprese conoscenza, la luce porpora illuminava la stanza attraverso le finestre dischiuse. Capì subito che era sera, più che mattina, e che fuori cominciava ad annuvolarsi. Se ne rese conto prima ancora di ricordarsi dove fosse, come si chiamasse, quanti anni avesse. La luce obliqua rinfocolò le ceneri di una vita che ancora resisteva nei meandri del suo vecchio corpo, anche se la vita, la vita stessa, non era proprietà di nessuno e non possedeva alcuna età, proprio come l’acqua di un fiume che scorre sempre, e sempre arriva al mare. “Amo la tenue luce nell’alto del cielo”, questa frase riaffiorò dal flusso dei ricordi; poi, ancora: “E i vostri fiori senza nome”, “i vostri fiori”. “Quali fiori?” Forse l’aveva detto a voce alta, poiché la donna, eccola sbucare dalla penombra violacea, aggrottò lo sguardo. Era vestita di bianco, aveva le sopracciglia scure, grosse, marcate e i capelli castani, striati di grigio, pettinati morbidamente all’indietro. Lui si disse che lì dov’era in quel momento, con quella luce inquietante, doveva essere una stanza d’ospedale; che quel letto, circondato di macchinari a cui lui stesso era allacciato, come una pianta è attaccata al terreno con le radici, era il suo ultimo alloggio.

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Canzone del cuor di serpente – Radek Rak #1

Gli alberi si diradano, tra i rami spicca l’azzurro della notte. Il carro arranca per la strada in discesa, verso la campagna. Il sole è sparito già da molto oltre le montagne, ma splende ancora come fosse sottoterra, perché il suo bagliore filtrato lumeggia ancora il mondo, la paglia dei tetti e la chiesa.

Vecchio Topo e Kuba superano i fossi e i salici che li costeggiano. Sono dodici salici e Vecchio Topo dice che si tratta dei dodici apostoli del buon Gesù, e l’ultimo, quello secco e sforacchiato dai vermi, è Giuda Iscariota. Vecchio Topo racconta molte cose e Kuba non sempre crede a tutto.

Prima della discesa dell’arrivo, Kuba si tira in piedi sul carro. Si sforza di origliare, ma dal bosco non arriva nessuna voce. Solo i grilli cantano nell’erba.

 

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