Dzień świra: l’intellettualità polacca dopo il 1989.

Dzień świra PoloniCult

Film del 2002, Dzień świra è un amaro ritratto della disillusione degli anni ’90 e già commedia di culto.

di Francesco Cabras.
 

Marek Koterski (Cracovia 1942) appartiene a quella generazione di cineasti che si sono formati alla Państwowa Wyższa Szkoła Filmowa, Telewizyjna i Teatralna (Accademia di arte Cinematografica, Televisiva e Teatrale) di Łódź, la stessa da cui uscirono Kieślowski e Polański – per limitarmi a un paio i più conosciuti dal pubblico internazionale.

Il nome del regista è legato soprattutto al personaggio di Adaś Miauczyński, protagonista di quasi tutta la sua produzione cinematografica nonché di quella teatrale; artista poliedrico, Koterski ha offerto spesso e volentieri al proprio pubblico anche delle versioni per palcoscenico dell’epopea di questo (anti) eroe della quotidianità qual è Miauczyński; il regista ha costruito una vera e propria biografia cinematografica del personaggio, in questa scelta molto vicino a ciò che François Truffaut fece con il “suo” Antoine Doinel. Tale biografia filmata si distende lungo ben otto film: Dom Wariatów (1984; versione teatrale 1998); Życie wewnętrzne (1986; versione teatrale 1987); Porno (1989): Nic śmiesznego (1995); Ajlawju (1999); Dzień świra (2002; prima teatrale 2006); Wszyscy jesteśmy Chrystusami (2006); Baby są jakieś inne (2011).

Chi sia Adaś Miauczyński è presto detto: si tratta di un intellettuale frustrato, a volte un professore universitario, come in Wszyscy jesteśmy Chrystusami, altre un polonista professore liceale (Dzień świra) oppure un regista cinematografico (Nic śmiesznego); è un nevrotico che soffre di disturbo ossessivo – compulsivo, incapace di crearsi relazioni umane soddisfacenti e durature; ha un figlio e in alcuni film anche una figlia avuti dalla ex-moglie, con la quale a volte convive (Nic śmiesznego).

 Dzień świra 2 PoloniCult

Dzień świra [La giornata di uno svitato] è il resoconto di una “giornata” che la macchina da presa trascorre insieme ad Adaś Miauczyński, da quando egli apre gli occhi la mattina fino al momento di coricarsi. Le virgolette che ho impiegato si giustificano per il fatto che il regista forza il concetto di tempo all’interno della narrazione: è logicamente impossibile che tutto quello che vediamo sullo schermo accada in una sola giornata: il protagonista si sveglia, va a scuola a fare lezione, ritira lo stipendio, pranza dalla madre, va da un paio di psicanalisti, litiga con la ex moglie per poi passare del tempo con il figlio; fa la spesa, assiste a una surreale manifestazione politica, rientra a casa, dove prima legge il giornale e poi tenta di fare un pisolino pomeridiano… Non ci riesce e lo ritroviamo sul lettino di una specialista di agopuntura, poi su quello di un dentista e infine in uno studio medico a farsi controllare la prostata. Non basta: andrà anche da un fisioterapista per poi ritornare a casa e ritentare di fare un pisolino pomeridiano. Infine si decide a prendere un treno verso il mare della costa baltica, nella speranza di trovare finalmente un luogo in cui poter riposare (è ossessiva – lungo tutto il film – la rivendicazione da parte di Adaś di un luogo e di un tempo da poter dedicare al riposo). È soltanto dopo questo ultimo fallimento che sopraggiungono – mi si permetta una citazione da De Andrè – “la sera ed il buio”; solo alla fine del film dunque. Perché questo espediente narrativo? Credo che tale scelta stilistica abbia almeno due chiavi di lettura: la prima è quella che dice l’ossessiva, snervante ripetitività delle giornate del protagonista: “togliere” dal film la presenza della notte equivale a dare un senso tormentoso (e surreale) di “continuità” al narrato; la seconda è che la notte e il riposo tanto agognato che questa porta con sé restano un letterale oggetto del desiderio; desiderio perennemente frustrato. Va inoltre detto che il protagonista, nei suoi monologhi, rimpiange spessissimo Ela – il suo primo amore – convinto com’è che se solo la ritrovasse, tutto potrebbe “ricominciare da zero”, che tutte le possibilità che ha perduto nella propria vita (da quelle affettive a quelle accademiche a cui ha rinunciato) potrebbero ripresentarglisi.

La figura di Ela è particolarmente significativa: essa compare – sempre frutto di proiezioni mentali del protagonista – quattro volte nel film: due subito prima che Adaś si corichi a letto nel tentativo di addormentarsi il pomeriggio; una sulla spiaggia – l’onirismo della situazione, il fatto che anche qui si tratti soltanto di un desiderio del protagonista è evidente – e infine nel momento in cui egli riesce finalmente ad addormentarsi e – nel sogno – a fare l’amore con lei. Un sogno, questa donna che Adaś ha perduto – ma è poi esistita davvero?

Credo tuttavia ci sia dell’altro nascosto dietro queste visioni/sogni del protagonista e in particolare dietro all’ultimo, ma per comprenderlo occorre una prospettiva leggermente diversa da quella impiegata finora, e cioè quella del suo tema di fondo: il linguaggio. Adaś non riesce a comunicare con gli altri perché i “codici” di cui è abituato a servirsi non sono più gli stessi della società in cui è costretto a vivere suo malgrado. Una società meschina,Dzień świra invadente, vuota. Il linguaggio a cui Adaś è abituato è quello di Mickiewicz e della poesia; è la musica di Chopin; è la poesia che egli stesso vorrebbe scrivere per comunicare con gli altri ma non riesce a farlo, interrotto continuamente dai rumori che lo disturbano mentre è al lavoro sui suoi versi – la società volgare e soprattutto invadente di cui si è appena detto. Un esempio lampante di questa situazione è la lezione che Adaś tiene ai propri studenti sui Sonetti di Crimea di Mickiewicz: mentre ne recita i versi, l’unica reazione che ottiene dal suo uditorio sono peti e sghignazzi. Solo una ragazza, che un attimo dopo assumerà le fattezze di Ela, pare dare ascolto al professore, ma tutto ciò si rivela presto, almeno per lo spettatore, una pia illusione del protagonista, il quale viene bruscamente interrotto – nel bel mezzo del suo slancio “poetico” – da una banalissima domanda della stessa fanciulla, che gli chiede come mai abbia in testa un cerotto.

Anche la musica di Chopin è privata di quell’aura sacrale che la circonda: Adaś in realtà ama Chopin, ma non può tollerare il proprio vicino di casa, che lo ascolta a volume altissimo a quasi tutte le ore del giorno, senza peraltro coglierne la grandezza – è significativo che quando Adaś si presenti in casa dell’uomo per protestare, lo sorprenda sotto la doccia, in un’attività “bassa” e “fisica” (sulla corporeità dovremo tornare a breve).

Mickiewicz da una parte, Chopin dall’altra, due figure emblematiche di “padri della patria” (di Chopin in particolare si sente lo Studio op. 10 n. 12, il cosiddetto “Rivoluzionario”); due figure che rappresentano – pars pro toto – l’intero mondo della cultura che il nostro Adaś vorrebbe (dovrebbe) impiegare per parlare alla comunità in cui vive. Che questo linguaggio sia inadeguato ce lo conferma una scena molto importante del film, in cui il protagonista guarda alla televisione dei comizi surreali, in cui i politici si susseguono su un palco all’interno di uno stadio semivuoto, sulle gradinate del quale siedono sparuti gruppi di “tifosi”. Alle parole dei politici – che sono tutte uguali: “Io ho ragione perché ho ragione”, oppure “la ragione è solo una ed è quella mia” – i vari gruppi rispondono alternativamente sempre allo stesso modo: hańba [vergogna] oppure brawo!. L’unico momento in cui i vari gruppi risultano concordi è quello in cui Adaś si immagina di parlare proprio da quel palco: tutti lo dileggiano e lo scherniscono, dal momento che sostiene di non credere in nulla e di non avere certezze da offrire loro.

Notevoli inoltre, per quanto riguarda l’inefficacia del linguaggio, le scene di Adaś in treno e sulla spiaggia: nel primo caso, vorrei citare l’episodio di tre compagne di scompartimento che ripetono ecolalicamente sempre la stessa conversazione: -“Io di notte dormo dormo dormo!” -“Anche noi anche noi anche noi!”; in spiaggia invece Adaś sperimenta l’incomunicabilità più totale: dapprima tenta di parlare con un uomo raccontandogli i propri problemi esistenziali, ma questo gli risponde di sentire solo rumore; poi gli si accostano due punksters (ragazzo e ragazza): il primo batte meccanicamente il pugno a terra, come fosse uno scimpanzé, l’altra letteralmente squittisce. Se prima almeno, le frasi che Adaś sentiva erano quantomeno enunciati di senso compiuto, per quanto idioti, ora non hanno più nemmeno quello; infine due ragazze lo rincorrono cantando felici: egli non trova di meglio che farle smettere prendendole a bastonate e le malcapitate s’interrompono pian piano, come fossero jukeboxes scassati.

La vacuità di una tale società si esprime anche (direi forse soprattutto) a livello fisico: già si è accennato all’invasività e indelicatezza degli “altri” nel voler invadere gli spazi che il protagonista cerca di ritagliarsi (la musica alta del vicino, a cui vanno aggiunti gli operari che lavorano sotto casa sua o un malcapitato musicista di fisarmonica che ha l’ardire di suonare dinanzi alla sua finestra, oppure le signore che lo urtano e toccano insistentemente al supermercato), ma va detto che i protagonisti in negativo di questa invasività sono i cani: abbaiano ma soprattutto lasciano ovunque i propri escrementi – e il regista vi indugia esplicitamente, come del resto sugli stessi animali che defecano; invadono gli spazi di Adamś, sono, in sostanza, lo stadio ultimo di degenerazione, a detta del protagonista, Dzień świra 5 PoloniCultal quale comunque sono arrivate anche le persone. Quando ne sorprende uno a defecare sotto la sua finestra, per ripicca egli stesso fa la stessa cosa sotto la finestra della padrona dell’animale: è un primo segno di cedimento, di riduzione anche dell’integerrimo Adaś all’animalità (si veda più sotto quanto scrivo a proposito della scena finale). Per di più il protagonista tenta di imparare un “altro” linguaggio (l’inglese) proprio mentre siede al bagno, nell’atto di defecare; infine è immediatamente dopo la scena con le tre ragazze in treno che ho appena raccontato che egli va alla toilette ma, sballottato dalla corsa del treno, finisce per orinarsi sui piedi.

Detto questo, la scena finale in cui Ela e Adaś fanno l’amore acquista un profondo significato: i due avanzano gattoni sul bagnasciuga quando a un dato momento Adaś infila la testa sotto la gonna di lei. La macchina da presa stacca e passa al volto della donna, che sta avendo un orgasmo. Adaś, non ancora addormentato raccoglie da terra un giornale e lo infila sotto le lenzuola…Non è forse proprio questo il modo di accoppiarsi di quei cani che Adaś tanto detestava? E infine, il fatto di leccarle il sedere non è in fin dei conti l’abbassamento definitivo del personaggio a quel livello scatologico che è stato ostentato senza mezzi termini lungo tutto il film? Ci fossero dubbi residui su come leggere la scena, va detto che poco prima di coricarsi il protagonista guarda alla televisione delle volgarissime pubblicità di spray “antiflatulenze” e di falli in gomma.

A chiudere un film che davvero non lascia speranze, uno splendido monologo lirico, patentemente ispirato a un frammento di Terra degli uomini di Saint Exupéry: “Towarzyszu podróży, zbudowałeś byt swój zasklepiając jak termit wyloty ku światłu i zwinąłeś się w kłębek. w kokonie nawyków, w dławiącym rytuale codziennego życia. I choć przyprawia cię on co dzień o szaleństwo, mozolnie wzniosłeś szaniec z tego rytuału przeciw wichrom, przypływom, gwiazdom i uczuciu. Dość trudu cię kosztuje, by co dnia zapomnieć swej kondycji człowieka. Teraz glina, z której zostałeś utworzony, wyschła i stwardniała. Nikt już się nie dobudzi w tobie astronoma, muzyka, altruisty, poety, człowieka, którzy zamieszkiwali może ciebie kiedyś” [Compagno di viaggio, hai costruito il tuo essere come le termiti chiudono i fori da cui passa la luce; ti sei avvolto in una matassa, in un bozzolo di abitudini, nel soffocante rituale della quotidianità. E per quanto ogni giorno ti renda folle, faticosamente hai fatto di questo rituale una trincea contro le burrasche, le maree, le stelle e i sentimenti. Ti costa parecchia fatica dimenticarti ogni giorno della tua condizione di uomo. Ora la creta dalla quale sei stato creato s’è asciugata e indurita. Nessuno sveglierà in te l’astronomo, il musicista, l’altruista, il poeta, l’uomo che forse un tempo ti abitavano].

Ringrazio l’amica Barbara Minczewa per i preziosi spunti che sono emersi durante le nostre chiacchierate. S’intende che la responsabilità di quanto si pubblica qui è solo e soltanto del sottoscritto.

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